Dove portano le riforme costituzionali
Chiara la volontà politica di continuare la distruzione della Repubblica parlamentare
di Umberto Berardo
04 marzo 2016
Un’assemblea costituente di grandi statisti ha dato origine, attraverso l’incontro delle culture liberale, cattolica e comunista, alla Costituzione Italiana che nell’espressione dei diritti e nella struttura dello Stato rappresenta un modello di democrazia.
Oggi non i rappresentanti del popolo, ma un parlamento di nominati pretende di rivederne gli assetti istituzionali con una riforma che cambia contestualmente la legge elettorale e la composizione e le funzioni della Camera e del Senato, organi un tempo sovrani della rappresentanza politica del popolo.
Si darà sostanzialmente a partiti svuotati di idealità e di principi chiari, senza più strutture trasparenti e classi dirigenti capaci, ma anche privi di radicamento al territorio e lontani dai problemi della popolazione la possibilità di decidere con liste bloccate chi deve sedere in parlamento consentendo ad una lista di minoranza di eletti di governare il Paese senza alcuna possibilità di opposizione vera grazie al cosiddetto “premio di maggioranza” previsto dall’Italicum.
Si voleva ridurre i costi della politica e superare il bicameralismo perfetto sostenendo che è un intralcio alla snellezza del percorso legislativo, ma non lo si è fatto in realtà, visto che il nuovo senato delineato nella riforma è svuotato di competenza legislativa paritaria su questioni fondamentali della vita pubblica, ma mantiene comunque la facoltà di richiamare una legge in discussione alla Camera dei Deputati per esprimere su di essa un proprio parere; ciò richiede tempi tecnici e dunque l’efficientismo decisionale tanto decantato è lontano da venire.
Tale motivazione surrettizia ne nasconde in realtà un’altra nascosta, ma reale, come sostiene giustamente Gustavo Zagrebelsky, che è la volontà politica chiara di continuare la distruzione della Repubblica parlamentare già in atto con decreti legislativi, decreti legge e questioni di fiducia che comprimono il confronto nei canali istituzionali rappresentativi, neppure più tali, per spostare il livello decisionale verso l’esecutivo.
La stessa legge elettorale non è pensata minimamente per realizzare piena rappresentanza democratica nelle istituzioni, ma solamente con l’obiettivo di avere governabilità immediata e duratura per l’intera legislatura.
Se si va a leggere poi il sistema di elezione indiretta dei 95 senatori, sindaci e consiglieri regionali con il cumulo delle due cariche, da parte dei consigli regionali “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri” o le cinque nomine previste da parte del Presidente della Repubblica, mentre da anni si propone l’eliminazione dei senatori a vita, si palesano con chiarezza altre profonde contraddizioni di questa ipotetica riforma costituzionale che oltretutto anche nell’elezione degli organi di garanzia non permette ai 100 senatori di avere alcuna incidenza rispetto ai 630 deputati.
Possiamo anche blaterare, come fanno taluni, sull’importanza del ruolo del senato nella valutazione delle attività delle pubbliche amministrazioni o nella verifica delle politiche dell’Unione Europea sui territori, ma sappiamo bene che il ruolo di tale organo istituzionale è palesemente svalutato.
Tale riforma, di chiara iniziativa del governo Renzi, aggiunta alla profonda involuzione del sistema democratico dovuta al pesante astensionismo elettorale, alla crisi dei partiti, alla trasformazione ed al depauperamento della rappresentanza sindacale, alla nascita di movimenti con incerte basi decisionali nel web o a livello ancora piramidale e verticistico, crea a nostro avviso basi solide per un potere che lo stesso Gustavo Zagrebelsky definisce ” tecnocratico-oligarchico” con un chiaro punto di riferimento nel potere esecutivo.
Tale convinzione è per noi così vicina alla realtà soprattutto se si considera che non viene introdotta alcuna ipotesi di referendum propositivo, si aumenta il numero delle firme richieste per quello abrogativo e per le leggi di iniziativa popolare, si ridimensiona il potere legislativo dei Consigli regionali, prevedendo anche per il governo la possibilità del voto di fiducia e la richiesta di approvazione di una legge entro 70 giorni.
Abbiamo il chiaro presentimento che su tali questioni stia fortemente crescendo il conformismo dei mass-media, del mondo intellettuale, delle forze politiche e di quelle socio-culturali verso le posizioni dell’attuale governo.
Questo potrebbe creare qualche problema in vista del referendum confermativo di tali riforme costituzionali su cui saremo chiamati ad esprimerci in autunno.
Il nostro primo dovere di cittadini è quello di leggere il testo completo di questi tentativi di riorganizzazione delle istituzioni volute dai padri costituenti il 22 dicembre 1947 ed entrate in vigore il 1° gennaio 1948.
Occorre poi, in seconda istanza, portare l’analisi e la discussione delle manovre di cambiamento sul piano territoriale in modo che ciascuno possa farsi in merito un’idea chiara e funzionale al voto referendario.
La visione del modo di concepire la vita sociale e la democrazia nelle proposte del Governo Renzi ci appare un’ involuzione molto forte delle forme della rappresentanza e delle metodologie decisionali perché mirano a marginalizzare la partecipazione dei cittadini verticalizzando sempre più le determinazioni sulle problematiche che riguardano la vita collettiva.
Sulla base di siffatti convincimenti critici, maturati in letture pluralistiche di esperti di diritto costituzionale, abbiamo con certezza deciso di votare “NO” nel prossimo referendum autunnale.
di Umberto Berardo