Ripartire dai legumi per vivere la sobrietà, il domani
Con la terribile raccolta delle olive del 2014 i nodi sono arrivati al pettine di un comparto che ha bisogno ora di scioglierli tutti. Nodi propri e nodi ereditati dalla crisi dell’agricoltura, che si sono formati e ingrossati nel corso di tanti anni a causa di numerosi e pesanti limiti politico – amministrativi, oltre che culturali.
di Pasquale Di Lena
07 marzo 2016
Se avessi la possibilità, non dico di prendere decisioni, ma anche solo di dare dei consigli a chi ne ha il compito, appunto quello di decidere sulle cose che sarebbero da fare per contrastare la crisi di un sistema fallito, direi di giocare prima di tutto sulla corretta informazione e educazione del cittadino, soprattutto dei giovani e giovanissimi, quelli più a rischio di una vera e propria deriva.
Suggerirei subito di sviluppare il tema del territorio – questo bene comune che appartiene a ognuno di noi e dal quale dipende il domani di tutti, che il sistema considera sempre più un patrimonio privato, al pari della nostra salute – per sottolineare la sua centralità, dopo aver ben spiegato il significato ed il valore che esso sempre più ha.
In pratica, arrivare a creare la consapevolezza che il territorio è, oggi, ancor più prezioso di sempre, nel momento in cui viene distrutto e fatto oggetto di scempio da vere e proprie azioni criminali, come il furto di terreni fertili, paesaggi, siti archeologici, documenti, tradizioni, lingue e dialetti, usanze, mestieri, piccole ma fondamentali attività che servono a dare forza a una comunità e a mantenere in vita un centro abitato, tanto più se storico.
Un bene comune che esprime la nostra identità ed è il solo sul quale possiamo contare se vogliamo davvero programmare il domani. In pratica, la grande risorsa da salvaguardare per poterla così rendere eredità da lasciare alle nuove generazioni.
Una certezza, ancor più che una speranza, visto che esso non solo è contenitore di storia, cultura, tradizioni, ma anche l’origine della qualità del cibo, che l’agricoltura e la zootecnia mettono a nostra disposizione, oltre che espressione della bellezza degli ambienti e dei paesaggi.
Per tutto questo, il territorio è il patrimonio di una comunità, un paese, un popolo, una nazione, nelle mani di un “proprietario” (com’è scritto nella nostra Carta costituzionale) ma solo per una sua gestione temporanea, con il compito di averne cura e premura proprio per preservarlo e non distruggerlo.
In verità siamo di fronte a un vero e proprio spreco di questo bene fondamentale, oltretutto finito, e ciò mostra che è proprio lo spreco, che tocca, non solo il territorio, ma l’insieme di valori e risorse, il male da curare.
L’antidoto più efficace allo spreco è la sobrietà (moderazione, misura), che è alla base di uno stile di vita che ci appartiene da sempre, la Dieta Maditerranea. Oggi, grazie anche al suo riconoscimento di bene culturale dell’umanità, sta trovando sempre più attenzioni e consensi in ogni angolo del Pianeta.
Uno stile di vita che ha nell’alimentazione la sua espressione più manifesta, con il cibo – la primaria energia del regno animale – nel ruolo di attore principale.
Potrebbe prendere in considerazione l’olio da oliva, quale filo conduttore della Dieta Mediterranea, come argomento nuovo da sviluppare, ma – non chiedetemi la ragione – suggerirei di parlare dei legumi.
I legumi, non importa se fagioli o lenticchie, ceci o cicerchie, piselli o fave (un piatto con almeno quattro nel mio Molise viene denominato “a pezzente”, cioè la povertà, la miseria), come a esprimere un significato alto che essi hanno sempre avuto, quello della solidarietà con chi aveva fame e bisogno di proteine, cioè di mattoni.
Un piatto che permette, anche, di spiegare il valore delle piante di leguminose nella rotazione e avvicendamento delle coltivazioni agricole, quale significato e attualità dell’agricoltura contadina che ha sempre pensato di dover dare alla terra per avere il raccolto migliore e non solo di prendere, come accade con l’agricoltura super intensiva o industriale. Un prendere senza dare che, nel tempo, porta il terreno a diventare prima povero e, poi, addirittura sterile.
I legumi nel loro significato di “carne dei poveri”, cioè di fonte importante di proteine, non a caso dette nobili, che hanno nutrito l’umanità. La “carne dei poveri” in contrapposizione con la “carne dei ricchi”, quella proveniente dagli allevamenti di animali, che, con la crescita del suo consumo, è diventata fonte di discussioni, anche accese, riferite a più aspetti: lo stato di salute, nel caso degli allevamenti industriali, degli animali e i pesanti maltrattamenti; la salute delle persone che esagerano con il consumo di carne, fino a farne un vero e proprio abuso alimentare; l’incidenza sul clima, con l’emissione di quantitativi enormi di anidride carbonica. Non solo, direi di continuare a svolgere il tema affrontando la grande questione della deforestazione a causa degli allevamenti industriali e, cioè, la distruzione di enormi superfici di foreste, con una perdita netta di biodiversità vegetale e animale, uomo compreso, per fare posto alle monocolture di mais e di soia. E infine, parlare di acqua, la vitale risorsa che le leguminose usano con grande parsimonia e, anche, di quella potabile che è sempre meno. Senza dimenticare gli inquinamenti dei fiumi e dei mari.
Per dare un po’ di leggerezza al tema, posso suggerire al mio interlocutore di parlare della pignata e raccontare il perché “solo la cucchiaia sa i guai e le gioie” di questo contenitore proprio dei legumi, di terracotta e, come tale, resistente al fuoco, o delle tradizioni nate intorno a una batteria di pignate di legumi sulla soglia del focolare, e penso alla devozione a San Giuseppe, alla vigilia dell’entrata della primavera, che vive dalle mie parti.
E, ancora, lo stretto rapporto che i legumi, al pari dei cereali e della frutta e verdure, hanno con l’olio extravergine di oliva e, così, entrare in quel mondo speciale dell’olivo e dell’olio e, soprattutto, dei territori che li esprimono, abbinati a paesaggi e ambienti stupendi, storie, culture e tradizioni, che sono parti di una civiltà che è nata e si è sviluppata con la sobrietà e che lo spreco di questi ultimi decenni sta distruggendo.