• 10 Marzo 2016

Baranello: la pincera

“LA PINCERA” UN PEZZO DI STORIA DIMENTICATA 

di Giovanni Manocchio

10 marzo 2016

Scendendo da Largo Zullo per Guado Dei Ricci fino in fondo e poi a dx,siamo in contrada Petrole.Dopo poche centinaia di metri a sx si diparte una strada sterrata ,in abbandono ,(tranne il primo tratto dove ci sono alcune abitazioni) che arriva fino al torrente Isca.L’area prima di arrivare al fiumiciattolo non e’ menzionata sulle mappe,ma dai baranellesi è conosciuta come”La Pincera“. Dalla fine del diciannovesimo secolo fino a gli anni trenta del ventesimo qui esisteva una cava di argilla che serviva per poi fare i mattoni nelle le fornaci.Ma il toponimo “Pincera” la dice lunga sulla sua storia; etimologicamente vuol dire il luogo dove si fanno “ri pinc”; i coppi di una volta.Quindi anticamente sarebbe esistita in questa zona una fabbrica di “pinc” vicino alla cava.E quanto antica poteva essere?Tenendo presente che il coppo ha sostituito la piatta “tegula” romana;dal Medioevo fino all’800″pensate voi quanto antica potrebbe essere la nostra Pincera.Ma torniamo a tempi più recenti;Nei primi decenni del secolo passato, l’argilla da questa cava veniva trasportata in una zona più pianeggiante.Un gran via vai, era questa allora la strada più trafficata di Baranello(nella 1a foto di qualche settimana fà sono evidenti i residui di pavimentazione che ancora affiorano dal fango).Da Busso arrivavano ogni mattina una ventina di operai, che con muli bardati con basto e bigonci, trasportavano la terra su per la salita e la scaricavano a Largo Zullo.

Da qui carrettieri la portavano fino a contrada Gaudo,deve c’era il primo embrione di fornace che successivamente diverrà una grossa industria di laterizi.

Scaricavano il prezioso materiale dentro grosse vasche con acqua , e qui altri operai pigiavano il tutto con i piedi scalzi fino a che il materiale, amalgamato con l’acqua, diventava una poltiglia.

Con le mani poi veniva trasferito nelle formine di legno per mattoni e tenuto ad essiccare per tre o quattro giorni al sole,subentravano le “carriolanti”;così erano chiamate le donne,per la maggior parte originarie di Vinchiaturo, che con le carriole di legno trasportavano il prodotto rassodato all’infornatore che faceva il resto.Era la ceramica firmata di una volta; quei mattoni servivano anche per la pavimentazione interna delle case e sullo stampo era impresso in negativo il nome del produttore.Il procedimento era rimasto uguale a quello dell’epoca romana di 2000 anni prima; e c’è da dire che la rivoluzione industriale dalle nostre parti è arrivata quasi 100 anni dopo l’Europa e nord Italia.La prima fornace era dei Barone poi sono subentrati i Discenza e i Primiano e con loro la fabbrica si ingrandisce,viene aperta una cava piu grande oltre il torrente alle falde del massiccio di Monte Vairano ed una nuova fornace a Baranello-paese.Dalla nuova cava fino a contrada Gaudo viene costruita una teleferica con cavi d’acciaio sulla quale i carrelli girano in continuazione per caricare e scaricare la terra.Ma il divertimento dei ragazzi, allora, era quello di appendersi ai carrelli e farsi trasportare anche per qualche km su dislivelli che nelle vallate raggiungevano i 20 metri.Poi quando i cavi tornavano a radere il suolo si lasciavano cadere a terra.Era un pò quello che avveniva alla più nota linea circumvesuviana;ma quella è stata immortalata con “Funiculì Funiculà”,da noi non ci ha pensato nessuno.

Con la guerra era rimasto tutto fermo. Il ponte ferroviario era stato fatto saltare dai tedeschi stessi che occupavano Baranello per rendere meno agile l’avanzata degli alleati;(i primi mattoni sfornati nel dopoguerra sono serviti proprio a ricostruire questo ponte) ed ad ogni lato del ponte erano rimasti fermi, in abbandono, due treni a vapore ,uno da e uno per Baranello. Gli abitanti della zona, quando nell’aria non c’era fiuto di bombe,avevano trovato il diversivo, si arrampicavano sui treni e segavano le tubature di rame che poi trasformavano in serpentine per la distillazione dell’alcool.Praticamente era anche questa una macchina a vapore;nella locomotiva il vapore acqueo è trasformato in energia meccanica,nella serpentina il vapori alcoolici incrementano l’energia mentale; il principio è lo stesso.

erò c’è da dire che allora, nonostante le poche risorse ed il duro lavoro,la gente s’ingegnava e con una grande tempra andava avanti.Abituati al poco riuscivano a sopravvivere anche col nulla.

E noi saremmo in grado di fare altrettanto in caso, facendo i dovuti scongiuri,di una nuova calamità? Non ne sono proprio convinto!

Poi i ragazzi di allora non avevano scarpe da trekking ne tantomeno giochi elettronici; si divertivano con mezzi di fortuna o inventati all’occorrenza e non avrebbero mai ammazzato un coetaneo solo per il gusto”di vedere l’effetto che fa”.

di Giovanni Manocchio