Uno storytelling per il nuovo Molise
Editoriale del numero di marzo de “il bene comune”
di Antonio Ruggieri
29 marzo 2016
Il nostro piccolo, tenero, marginale e poco comunicativo Molise, si trova in mezzo al guado. Può scomparire nel gorgo di processi planetari manovrati dal “nazismo bianco” del capitalismo finanziario in declino, oppure può imparare a “vivere col terremoto”, mobilitando e mettendo a frutto le sue migliori vocazioni, quelle territoriali e quelle antropologiche, detenute (anche nel senso reclusorio del termine) dai trecentomila più o meno che ancora abitano fra il Trigno e il Fortore.
Che lo sappiamo oppure no, abbiamo un’unica, difficile e sofisticata possibilità: quella di diventare una “comunità competente”, capace di coniugare la sua origine e le sue tradizioni, con la lingua e le tendenze più innovative della contemporaneità. Siamo inattuali; viviamo in ritardo, avvoltolati in un profilo basso che permea anche l’interstizio più nascosto della nostra condizione. Ancora più dei finanziamenti dal Governo centrale, abbiamo bisogno d’inaugurare un Rinascimento comunitario che metta fuori legge mediocrità e cultura del sospetto.
Dobbiamo condividere il patto di nascita di una comunità fondata su una nuova etica della responsabilità, individuale e collettiva. Dobbiamo imparare a riconoscere il nostro patrimonio e a progettare una strategia aggiornata per metterlo a frutto. Dobbiamo promuovere e valorizzare i nostri giovani migliori, in modo che il loro talento sia messo al servizio di chiunque ne abbia bisogno, e dei più svantaggiati innanzitutto. Il Molise del futuro, ci sforziamo da tempo di dire, dovrà essere autentico, innovativo e solidale. Questa prospettiva ambiziosa e problematica, in definitiva, non è altro che un articolato e pervasivo progetto culturale.
La cultura cambia il mondo; genera e risolve le crisi; produce ricchezza e povertà; scatena le guerre e coltiva la pace. La cultura è la sola arma che può salvare il Molise dal declino, dall’avvilimento e dall’abbandono che lo intristiscono. Abbiamo bisogno di un racconto nuovo, di uno storytelling della riscossa gioiosa, giovanile e universalistica a cui dobbiamo dar luogo (è il caso di dire). Il Molise del terzo millennio dovrà essere sobrio e responsabile, disposto al sacrificio e all’abnegazione, aperto all’innovazione e comunicativo, basato su una multiculturalità, frutto ragionato e distillato di una empatia, che abbia per scopo di farci “restare umani”, come ci ha chiesto di fare Vittorio Arrigoni, prima di lasciarci. Leggiamo per scrivere e scriviamo per leggere; mentre esercitiamo questa dialettica suggestiva e complicatissima, però, lottiamo in difesa della sanità pubblica, per il riconoscimento universale del lavoro e dei suoi diritti, contro le clientele e le sudditanze che hanno costituito e costituiscono l’impalcatura portante dell’identità culturale del Molise contemporaneo, a disposizione di una politica senza progetto, madre e figlia di una democraziacristiana mai morta, che ha nell’occupazione della pubblica amministrazione e nel sottogoverno, la sua avvilente e sordida strategia.
La democrazia, quella di rappresentanza che abbiamo conosciuto nella società dello spettacolo (o nello spettacolo della società), sta cambiando per effetto dei mezzi di comunicazione di massa, sempre più personal e pervasivi. Nel vortice di questo cambiamento, noi abbiamo bisogno di una cultura che difenda l’impianto, i principi e il disegno sociale della nostra Carta costituzionale, che va finalmente attuata e casomai rinnovata. Abbiamo bisogno di un radicale progetto di transizione al quale noi, naturalmente dal nostro punto di vista, sommessamente, lavoriamo a seconda di una regola cardinale: che la cultura che non ha per ambizione di cambiare il mondo, è complice della reazione più subdola.
di Antonio Ruggieri