Riccia e il vuoto che ha colmato
Questo centro sembra essere nato per riempire una lacuna nella distribuzione degli insediamenti perché in epoca romana qui c’era un Municipio
di Francesco Manfredi Selvaggi
14 luglio 2016
Percorrendo la strada statale 212 non si ha alcuna consapevolezza dello stare per passare i confini fra due regioni. Magari, lo si avverte se invece si segue la storica «Beneventana» oggi provinciale che è posta lungo la medesima direttrice, sostituita dalla nuova arteria che corre quasi parallela, ma pur sempre percorribile: è forse la casa cantoniera di Vado Mistongo la località che si trova al limite regionale, a conferire a tale punto il significato di luogo di passaggio perché richiama l’immagine di una casermetta della dogana. Siamo in un valico,seppure non vi siano forti dislivelli tra i due versanti e ciò non induce a considerarlo una frontiera.
Comunque, i rilievi collinari (solo Colle Casarenella raggiunge i m. 851) che separano il Molise dalla Campania hanno una speciale valenza in quanto dividono le acque che vanno nel Volturno e, quindi, nel Tirreno da quelle del Fortore e, cioè, dell’Adriatico. È l’unico tratto del perimetro territoriale molisano che non è costituito da un elemento orografico forte, come lo sono i massicci montuosi del Matese (verso la Campania) e delle Mainarde (con l’Abruzzo e il Lazio), le aste fluviali del Trigno (in comune con l’Abruzzo), del Fortore e del Saccione (i quali costeggiano la Puglia). Di tale carattere interregionale del comprensorio che fa capo a Riccia ne aveva tenuto conto il Piano Regionale del Molise, redatto proprio nel 1964 quando avvenne la nascita della nostra Regione, dove vengono individuate 8 unità territoriali delle quali solo 2 comprendono Comuni appartenenti ad entità regionali differenti, si tratta del Matese per quei paesi che vennero sottratti al Molise nel momento della costituzione della provincia di Caserta e la «Valle del Fortore» che include centri pugliesi e campani, con l’esclusione, però, di Castelpagano e Colle Sannita i quali, nonostante siano vicini a Riccia, stanno all’interno di un altro bacino idrografico. Se per la generalità delle aree comprensoriali indicate in tale Piano si riconoscono caratteri definiti capaci di conferire una chiara individualità alle stesse, si prenda, di nuovo, il Matese o l’Alto Molise o, ancora, la Costa, per la Valle del Fortore non si ritrova una altrettanta sicura identità.
Sarà per la teoria di colline e di vallette che la compongono, una serie che potrebbe continuare al’infinito e, pertanto non è un concluso, a differenza di un gruppo montuoso o di una piana. Nell’orografia locale non vi sono fatti di spicco e neanche la suddivisione tra le province di Campobasso e di Benevento rappresenta un episodio morfologico distinto. In effetti questa è una ripartizione unicamente di tipo amministrativo perché sotto l’aspetto ambientale e, soprattutto storico rientrando tutto questo territorio nell’antico Sannio, siamo in presenza di una entità territoriale unitaria. Nonostante che il circondario di Riccia sia un momento di congiunzione ci si sente, in qualche modo, appartati.
È vero che si è realizzata una nuova superstrada di rilievo addirittura interregionale, ma la sensazione di isolamento persiste; il progetto, non ancora finanziato, dell’arteria Succida-Tammaro punta proprio a superare la condizione di separatezza dell’area. Non doveva essere così in passato, almeno fino a quando la statale 17 che ripercorre una via romana, la Minucia, ha avuto un ruolo centrale nel sistema delle comunicazioni; essa passa a pochi chilometri da Riccia che, così, assurge a centro di mercato. Non è lontano neanche il tracciato del tratturo Castel di Sangro-Lucera che si sovrappone per un pezzo alla SS.17 (che in precedenza si era affiancata ad un altro percorso tratturale, il Pescasseroli-Candela) scavalcando insieme il Tappino, poco prima della sua confluenza con il Fortore, chi, la strada, mediante il ponte dei Tredici Archi, chi sfruttando un guado. È assai distante, invece, la ferrovia. L’essere isolati non è, comunque, sempre un fattore negativo: si prenda il caso di Riccia che diventa un centro di servizi per gli insediamenti abitativi circostanti i quali convergono qui per lo scambio dei prodotti, per alcune funzioni terziarie, per diverse pratiche amministrative (Riccia prima della soppressione delle Comunità Montane è stata sede di una di queste). Riccia e Agnone, ma anche Campobasso paiono essere sorte per colmare dei vuoti nell’organizzazione territoriale del Molise; la quale si basa tutt’oggi sulla struttura insediativa disegnata dai Romani composta dai Municipi (Venafrum, Aesernia, Bovianum, ecc.) che, in effetti, ricalca la distribuzione delle tribù sannite. Essa venne confermata dal successivo sistema delle diocesi e Riccia non è neanche tra le sedi vescovili. Vanno considerate, quelle dei Romani e quelle ecclesiastiche, una sorta di «sviste» storiche, poiché è evidente la necessità di un polo urbano in questo angolo della terra molisana, per cui l’affermarsi di Riccia riempie una evidente lacuna.
La zona ne ha bisogno in quanto un agglomerato edilizio di consistente dimensione garantisce la fornitura di prestazioni di natura commerciale, sanitaria, artigianale, ecc. di un certo livello. L’agricoltura di certo se ne avvantaggia, una agricoltura, quella dell’area, che ha una spiccata peculiarità che è quella di essere praticata in alto (con successo visto che i fagioli coltivati in località La Paolina sono tanto rinomati), nelle fasce altitudinali superiori all’agro riccese; potrebbe sorprendere che le colture stiano al di sopra del bosco, il Bosco Mazzocca, essendo abituati, invece, a vedere i campi agricoli posti più in basso delle superfici forestali se non si riflette sulla circostanza che in questa situazione i versanti sono abbastanza acclivi per cui poco idonei per lo sfruttamento agrario, mentre la cima è formata da una dorsale rotondeggiante.
Il Bosco Mazzocca, però, occupa pure il piano e ciò, da un lato, è strano in quanto ovunque le foreste planiziali sono state oggetto, appunto, di de-forestazione quando vi era la fame di suolo coltivabile e, dall’altro spiega le ragioni della presenza del confine le quali sono quelle che in una vasta distesa boschiva peraltro pianeggiante è facile perdere l’orientamento non avendo punti di osservazione superiori.
Di Francesco Manfredi Selvaggi