Diritto di voto
Riforme costituzionali: forte il rischio di contrazione del diritto di voto e di occupazione del potere da parte dei partiti
di Umberto Berardo
20 settembre 2016
Sulle cosiddette riforme costituzionali proposte dall’attuale governo ci siamo espressi con un fondo già dallo scorso febbraio sottolineando in sintesi come si stia continuando un processo di marginalizzazione della partecipazione popolare alle decisioni sulle questioni riguardanti la vita collettiva.
Già la Costituzione in vigore prevede l’elezione di secondo livello per il presidente della repubblica e tutta una serie di nomine per i senatori a vita, negli organi ausiliari ed in quelli di natura giurisdizionale o di garanzie costituzionali che francamente dovrebbero essere superate per dare spazio a scelte provenienti dalla sovranità popolare.
A ciò occorre aggiungere che elezioni di secondo livello sono ormai in vigore per i presidenti ed i consigli provinciali e sono previste dall’Italicum per il fantasma che resta del Senato, mentre leggi elettorali regionali, come quella del Molise, prevedono i “listini” costituiti da una parte di consiglieri regionali mai eletti, ma nominati in pratica dalle forze politiche.
Per la Camera dei Deputati l’Italicum prevede 100 collegi plurinominali con capilista bloccati ed un incomprensibile premio di maggioranza di 340 seggi alla lista che raggiunge almeno il 40% dei voti al primo turno o che vince al ballottaggio.
Tutto questo è astruso soprattutto in elezioni nelle quali ormai l’astensione supera sempre più spesso il 40% degli aventi diritto e dunque si finisce per dare la maggioranza dei seggi a chi rappresenta appena il 25% della popolazione.
Dopo l’approvazione dell’attuale legge elettorale in parlamento con voto di fiducia Renzi l’ha definita un modello che sarebbe stato copiato sicuramente nel futuro da altri Paesi.
In realtà le ipotesi di molteplici sue incostituzionalità sono avanzate da molti giuristi quali ad esempio Stefano Rodotà, Massimo Luciani, Valerio Onida e Massimo Villone.
Come dicevamo sopra la Costituzione prevede alcune nomine per determinati organismi istituzionali, ma definisce con chiarezza il principio della sovranità popolare nei sistemi di rappresentanza quando prevede per i deputati ed i senatori negli articoli 56 e 58 “l’elezione a suffragio universale e diretto”.
Contro tale spirito le forze politiche, che dovrebbero essere solo organi di elaborazione di idee e d’intermediazione tra popolo ed istituzioni, pretendono di verticalizzare il potere assumendone il controllo e la direzione esclusiva in una nuova forma di oligarchia che tra l’altro le vede succubi del mondo finanziario di cui spesso si limitano ad eseguire i voleri.
Taluni sostengono in modo capzioso che le riforme del governo Renzi dovrebbero essere alla base di una serena e duratura governabilità del Paese; in realtà ciò non avviene come abbiamo più volte dimostrato con analisi approfondite sui pasticci che si stanno creando ad esempio negli iter legislativi e con i diversi sistemi di elezione previsti per le due camere.
La preoccupazione grave è piuttosto la forte contrazione del diritto di voto e la crescente occupazione del potere da parte dei partiti che, mentre già in modo clientelare pongono con designazione propri soggetti in moltissimi enti nei quali occorrerebbe più rispetto del merito con forme concorsuali, ora aspirano a controllare con nomine e premi di maggioranza i massimi organismi istituzionali.
La demagogia di Renzi, che dopo l’intervista di Napolitano al quotidiano La Repubblica, si dice, a poco più di un anno dall’approvazione, disponibile a modificare l’Italicum, è figlia della convinzione della prevalenza dei NO al referendum confermativo e che sia necessario creare negli elettori la certezza che in futuro qualcosa sia modificabile.
Neppure la sinistra PD sembra abboccare a tale amo illusorio.
Da qualche accenno, anche se appena delineato, dovrebbe essere chiaro che non siamo chiusi ad eventuali modifiche della seconda parte della Costituzione Italiana purché questo avvenga contestualmente alle inderogabili soluzioni per i problemi economici ed occupazionali e nel rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini tra i quali ci sono anzitutto quello al voto, secondo il principio della sovranità popolare, e l’altro alla determinazione dei servizi alla persona.
Il NO al referendum, da cui consegue l’immediata cancellazione dell’Italicum previsto solo per la Camera dei Deputati, l’elaborazione di una nuova legge elettorale realmente democratica, nuove libere elezioni per un Parlamento interamente scelto dal popolo piuttosto che in parte nominato e la creazione di un’Assemblea Costituente sono i soli passaggi che a nostro avviso possono assicurare un percorso di revisione costituzionale attento a garantire sistemi di rappresentanza, di governabilità, di equilibrio e controllo tra le istituzioni, ma soprattutto di rafforzamento del sistema democratico che davvero sembra molto malato per non dire addirittura involuto.
di Umberto Berardo