Silenzio, parla un olivo
Sono un albero, se mi ascoltate ho voce e so raccontare
di Pasquale Di Lena
28 settembre 2016
Sono un ulivo della famiglia “Gentile di Larino” e vivo, con altri miei 615 fratelli e sorelle, su un dolce colle dell’antica terra dei Frentani, non lontano da Gerione, il luogo dove Annibale sostò prima di partire per Canne nella Puglia assolata.
Nei miei ormai sedici anni di vita in questo luogo sferzato dai venti che arrivano da ogni parte e, quasi sempre, all’improvviso, mi sono, anche se con fatica, pian piano acclimatato ed ora li aspetto questi amici per avere da ognuno novità raccolte lungo i percorsi segnati dal tempo.
Per noi alberi il vento è vita, soprattutto in questa fase dove il clima non è più quello di una volta, con le stagioni sconvolte dalla follia a cui l’hanno portato, soprattutto gli uomini, con le loro scelte scellerate. Non si ha più la sensazione delle stagioni che anch’io, nonostante la mia giovane età, ho avuto modo di vivere. Non solo io e i miei familiari, ma anche gli altri alberi – lo so dagli echi che rimbalzano da lontano – non sappiamo più come ripararci dal caldo e freddo improvvisi, dalle bombe d’acqua e, ancor più, dalla grandine che ci lascia ferite su ognuno dei nostri rami, che poi danno forma a bubboni. Vere e proprie piaghe, brutte al solo guardare, che sono fonti di infezioni alle quali bisogna porre pronto riparo.
Chi ci assiste e ci coltiva è più preoccupato per l’attacco degli insetti, tignola e mosca in particolare, che di queste ferite aperte, che, per me e gli ulivi tutti, rappresentano dolore e preoccupazione. Oh, certo, dispiace anche a noi vedere le piccole olivine che cadono una volta che viene indebolito il peduncolo; come pure dispiace sapere che le olive punte dalla mosca diventano ricettacoli di vermi che si nutrono della polpa, cioè dell’acqua e delle particelle grasse che, una volta separate, si trasformano in olio.
E’ un problema per gli olivicoltori che aspettano un anno per raccogliere quantità e qualità, non per noi che ci rimettiamo alla natura, per la verità abbastanza stressata in questi ultimi tempi, stanca e indispettita dalla stupidità e dalla violenza con cui viene maltrattata. La pazienza sì, ma fino a un certo limite, ed è così che ha cominciato a reagire, e, da quello che mi raccontano i patriarchi sparsi tra gli uliveti di questo incantevole territorio e quelli, non lontano, di Portocannone, vi posso assicurare che sarà cattiva se l’uomo non torna a ragionare e a dialogare. Noi ulivi e, così, tutti gli alberi, consideriamo saggi questi nostri vecchi ed è forte il rispetto che a loro riserviamo. Il rispetto che resta, al pari della sobrietà, un valore fondamentale per vivere in pace e trovare nel dialogo le risposte migliori per continuare. Non a caso siamo capaci di campare anche millenni se non c’è il pazzo che ci viene a tagliare.
Ci accontentiamo di quel poco che serve per stare bene insieme e fare quello che ci spetta di fare. Ci nutriamo di emozioni e, anche, della bellezza che rappresenta il paesaggio. E’ bello stare qui e svegliarsi alla prima luce del mattino e, subito dopo, vedere uscire il sole bagnato dal mare e l’alba di un nuovo giorno, con i suoi colori che si riflettono sulle foglie verdi e farle apparire color del rame. Il sole è un amico che se non viene oscurato dalle nubi e dalla nebbia, ci accompagna fino al suo calare dietro i monti dell’Abruzzo. Uno spettacolo di colori che dà emozioni stupende, difficili da dimenticare. È, quello del tuffo in qualche mare lontano, il momento in cui senti il silenzio e provi la sensazione che il tempo sta lì fermo a guardare.
Per noi alberi il tempo passa senza fare alcun rumore, impegnato com’è a misurare la vita di ognuno e di ogni cosa.
Qui, dalla dolce Maiella – nei giorni limpidi anche il più lontano Gran Sasso – alle isole Tremiti e il Gargano, il paesaggio è stupendo, grazie anche a noi olivi, ai boschi, ai prati e ai seminativi, alle sorelle vigne oltre che al piccolo lago e al mare.
Il paesaggio, questo bene fonte di bellezza e di emozione, è sempre più a rischio, al pari del territorio – il prezioso bene comune, la vera e sola miniera d’oro – che lo esprime.
Ho trovato il coraggio di far sentire la mia voce e far capire che è tempo di stare insieme e porre ascolto al lamento della natura se non si vuole provocare la sua rabbia. Noi alberi siamo abituati a stare fermi, ci muoviamo solo con un vento o un venticello, ma abbiamo la nostra anima e un cuore generoso.
di Pasquale Di Lena