Maschere della transumanza
L’incanto del Carnevale di Tricarico
di Maurizio Cavaliere
19 gennaio 2017
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Maschere della transumanza? Davvero ci sono pure quelle a Carnevale? La ruvida civiltà dei tratturi può stuzzicare le fantasie della più colorata tra le feste di stampo cattolico? Tre domande, stessa risposta. Non solo è possibile, ma a Tricarico, nella Collina materana, è una meravigliosa certezza che affonda nei secoli e nei luoghi rurali, proprio come l’antico rito agropastorale che ispira questo blog.
Due volte all’anno chi è nell’orbita del bel centro lucano noto per il suo notevole borgo, può godersi la sfilata carnevalesca di mucche e tori impersonati da uomini e, da alcuni anni (prima era proibito), anche da donne. La prima transumanza delle maschere c’è stata ieri. Bella, partecipata spettacolare. Come ogni 17 gennaio, il protettore degli animali, Sant’Antonio Abate, è stato invocato dalla comunità di Tricarico che chiede benevolenza per le mandrie.
Tutti si vestono, anche i bambini che sentono questa giornata quasi come una ‘nuova iniziazione’ alla vita, quella che per secoli ha rappresentato l’unica forma di economia di una buona fetta d’Italia del Sud. Il Carnevale parte tra sottili suggestioni. Ci si ritrova prima dell’alba al vecchio frantoio nel borgo nuovo. Si formano alcuni gruppi ciascuno dei quali rappresenta un ‘massaro’. Le maschere dei tori sono in ‘total black’ sfumato da nastri rossi, le ‘vacche’ sono invece bianche, cappello a falda larga, su cui si applicano un velo e un foulard, e dal quale diversi nastri colorati si allungano fino alle caviglie, come ornamento, coprendo le calzamaglie immacolate. I figuranti portano un campanaccio, grande con batacchio piccolo quello delle mucche, più piccoli con batacchio lungo quelli dei tori. Differenti lunghezze per differenti suoni che, dalle ore prima dell’alba, suonano la sveglia nel paese vecchio. E’ il rumore della transumanza, meno dolce forse di quello scatenato dal moto dei bovini di razza podolica che percorrono i tratturi della zona, ma più ossessivo, proprio a simboleggiare l’eco senza tempo di una tradizione da affermare con forza. E’ un suono che evoca un passato lontanissimo, quasi primitivo, una specie di richiamo alle divinità per propiziarsi il buon raccolto nella stagione ciclica della vita.
Il corteo delle maschere avanza nel centro storico, fino alla caratteristica chiesa del Santo davanti alla quale viene acceso un falò. Il fuoco fonde sacro e profano nello stesso rito di aggregazione cui partecipano anche gli animali veri portati dagli allevatori. Tre giri intorno alla chiesa (foto Roberto Incudine) costituiscono il percorso spirituale necessario per ‘guadagnarsi’ la benedizione. Dopo di che i cortei proseguono nel pomeriggio, sempre animati da figuranti che saltellano, avanzano ritmicamente al suono dei campanacci. Sono attenti a tutto, anche a rappresentare le ‘prove di monta’ dei tori sulle mucche.
Guida la carovana un capo massaro che sprona la mandria usando il bastone, aiutato dal ‘sotto massaro’ e dai ‘vaccari’. Conte e contessa, i nobili di fine Ottocento che fanno da contraltare allo spirito contadino della festa, chiudono il corteo.
Quando la sfilata rallenta, la mandria si disperde, isolando piccoli gruppi che s’impegnano per la ‘questua’. Raggiungono cioè alcune abitazioni dove sostano e suonano forte i campanacci, fino a quando le porte dell’accoglienza tipica di questi luoghi si spalancano per ristorare le maschere con cibo e vino in quantità.
La transumanza di ieri è stata magica. Non solo ha trasportato la città nella sua dimensione più arcaica, ma ha pure rivitalizzato l’essenza intima dei tricarichesi. Tutti partecipano, anche chi non sfila per i rioni, ma si limita a ospitare o, nel caso delle anziane signore, a confezionare gli abiti tanto particolari. Cosa c’è di più autentico di un’intera famiglia riunita intorno a un figurante del Carnevale?
Se state leggendo questo pezzo probabilmente ieri non eravate a Tricarico per la mascherata. Ma non dovrete aspettare un anno per rivederla. Domenica 26 febbraio si replica: stessi luoghi, stesse maschere, stesso tributo alla transumanza. Save the date, please, vi attende il Carnevale più rurale d’Italia.
di Maurizio Cavaliere