• 26 Aprile 2017

La molisanità degli emigranti

Considerazioni del prof. Sante Matteo, originario di Petrella Tifernina

di Sante Matteo (Professor Emeritus Department of French and Italian Miami University Oxford, OH)

14 giugno 2017

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Ultimamente ho parlato con un duroniese, Pasqualino Germano, che abita a Dayton. Pat (nome americanizzato di Pasqualino) dice che ci sono molti Duronesi in questa zona del sud-ovest Ohio, a Cincinnati e a Dayton, dove gli italoamericani, e soprattutto i molisani, sono molto meno numerosi rispetto ad altre città dell’Ohio: Cleveland e Youngstown, a nord dello stato.  

E` interessante come la diversità demografica italiana si ripete anche nella migrazione: con le comunità che si riproducono in limitate zone all’estero, un paesano seguendo un altro paesano allo stesso posto.  Perciò il termine “Little Italy” ha poco senso,  come ha poco senso parlare di cucina “italiana”, non essendoci una cucina nazionale in Italia, solo cucine locali; e quindi anche le cosiddette “piccole Italie” che si trovano nelle città americane consistono (o consistevano) veramente di piccole Duronia, piccole Petrella, piccole Casacalenda, ecc.  

I Petrellesi di Cleveland arrivati negli anni ’50 e ’60 (una ventina di famiglie, fra cui la mia) vivevano quasi tutti a portata di piedi una famiglia dall’altra, e avevamo relativamente poco contatto, se non al lavoro e a scuola, non solo con gli “americani” ma anche con altri “italiani”, cioè calabresi, siciliani, napoletani, ecc.  A casa fra di noi si parlava solo di Petrella e sempre in petrellese, mai in italiano e mai dell’Italia, nè politica, nè economia, nè cultura, nè cronaca: solo dei fatti nostri e quelli di Petrella stessa, e di tanto in tanto dei fatti dei petrellesi che abitavano a Detroit o a Pittsburgh o a Youngstown, con cui c’erano anche rari scambi di visite, di comparetaggio (se esiste una tale parola), e di qualche fidanzamento e matrimonio.  

Non sapevamo nemmeno del “divorzio” fra Abruzzo e Molise nel 1963, continuando per anni a definirci “abruzzesi” a chi ci chiedeva l’origine regionale.  Perciò siamo rimasti molto più petrellesi noi all’estero che non i petrellesi di Petrella che hanno partecipato alle vicende regionali e nazionali più direttamente e ne sono stati influenzati e cambiati.  Il nostro petrellese parlato è rimasto quello degli anni ’50.  I nostri genitori hanno continuato a fare il vino, le salsicce, il prosciutto, i pomodori, i sottaceti, dopo che a Petrella nessuno li faceva più.  Almeno così è stato per chi era emigrato da grande; i figli invece si sono sparpagliati, o per studio o per lavoro, hanno sposato “americani”, e hanno perso sia la lingua che le usanze petrellesi. La lingua italiana, non avendola mai imparata da piccoli, non si è mai parlata o si è subito dimenticata, nel caso di quelli che avevano fatto qualche anno di scuola in Italia (com’è stato il mio caso).

di Sante Matteo (Professor Emeritus Department of French and Italian Miami University Oxford, OH)

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