Non solo murales per colorare le facciate
I piani del colore sono uno strumento per migliorare la qualità estetica degli insediamenti abitati che sta cominciando a diffondersi anche nel Molise
di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)
24 ottobre 2017
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Non esiste una disposizione normativa in riguardo al piano del colore, eppure alcuni comuni molisani cominciano a dotarsene e tra questi sono S. Pietro Avellana e Pettoranello, mentre in diversi centri della media valle del Biferno, ormai circa 10 anni fa, con uno specifico finanziamento rientrante tra i fondi per lo sviluppo locale è stato predisposto un catalogo delle coloriture da applicare agli edifici e realizzati interventi campione (è davvero interessante quello eseguito a Spinete in un fabbricato prossimo al castello, che, però, è rimasto, isolato). Manca ancora sia a livello regionale sia a quello statale una definizione giuridica di cosa debba intendersi per piano del colore. Esso può essere inteso tanto atto regolamentare autonomo quanto appendice al Regolamento Edilizio e ciò dipende anche da come tale pianificazione è composta, se cioè è costituita da prescrizioni scritte, magari accompagnate da grafici esplicativi, oppure se è composta da elaborati planimetrici, prospetti in serie delle case che fiancheggiano le strade ad un’opportuna scala di rappresentazione, ecc. nei quali vengono indicate puntualmente le tinte delle facciate.
In tale seconda versione del piano del colore è possibile conferire un particolare aspetto a qualche angolo dell’edificato, quale per esempio quella assunta dal pezzo terminale del corso Garibaldi ad Agnone, altrimenti detto La Ripa, con le casette in fila dalla tinta l’una diversa dall’altra, assomigliando in questo modo al villaggio di Burano; non si è trattato qui di una imposizione amministrativa, ma di una scelta condivisa dai proprietari di questi immobili inclusi in un Progetto Edilizio Unitario all’interno del programma degli interventi di riparazione ex sisma del 1984. Tutto il resto della città altomolisana con la ricostruzione acquisì un colore bianco-latte oggetto di molte polemiche in quei lontani anni ottanta. Una colorazione differenziata dei fabbricati è frutto di una volontà espressiva che trova quale campo di applicazione specifico il nuovo edificato, mentre per il costruito si richiede il rispetto dei colori ricorrenti in quel determinato contesto con poco spazio per le innovazioni. Gli organi preposti alla tutela paesaggistica prescrivono generalmente per interrompere l’uniformità di una schiera edilizia in progetto oppure per spezzare la massa visivamente di un manufatto da realizzarsi assai grande di frazionare in parti ciò che si deve costruire utilizzando tinte, o tonalità della stessa tinta, differenti se materiali di rivestimento distinti.
Ciò anche al fine di ricondurre l’immagine ai moduli visivi ai quali siamo tradizionalmente abituati che sono piuttosto contenuti; il presente concetto è alla base, per fornire un esempio, dell’articolazione coloristica del palazzo INCIS a piazza Savoia a Campobasso. Le variazioni cromatiche servono pure per ottenere certi effetti percettivi: per creare o rafforzare un punto focale di visione l’edificio che conclude la prospettiva, siamo in una strada urbana, avrà un colore più intenso di quelli che lo precedono. Tale risultato è possibile raggiungerlo anche senza i colori, ma con il bianco e nero mediante le tantissime sfumature del grigio. Sarebbe auspicabile a questo proposito e senza paura di smentire quanto affermato in precedenza poiché, ci stiamo spostando in un contesto storico per il quale si era detto che bisognerebbe tendere a conservare i connotati originari, che il palazzo feudale di Civitanova dei duchi D’Alessandro poi frazionato in più proprietà contraddistinte dal trattamento esterno differenziato abbia la medesima dipintura sia per sottolineare l’unitarietà e con essa l’imponenza sia perché così si marcherebbe la sua posizione a fondale della principale via cittadina, il corso Fedele Cardarelli; si potrebbe scegliere di fare il fronte tutto di quel grigio di provenienza genovese che già ne ricopre la sua metà il quale non è troppo scuro (una riflessione su quest’ultimo punto meriterebbe di essere sviluppata qualora il prospetto fosse troppo lungo, ma non lo è). Una ulteriore annotazione riguarda la pavimentazione di questo corso che è costituita da betonelle cementizie e, in quanto tali, grigie: il grigio viene considerato un colore “neutro” che non imponendosi alla vista non distoglie dall’osservazione dei fronti edilizi che contornano il percorso i quali qualora di pregio architettonico come accade in tanti borghi medioevali molisani hanno diritto di stare al centro dell’attenzione.
È una questione che occorre rientri nello studio per la predisposizione del piano del colore. Affrontiamo adesso una tematica che è abbastanza ricorrente nei nuclei abitati minori della nostra regione che è quella delle dimore con scale esterne poste frequentemente in modo parallelo alla parete, con pochi casi dove sono collocate perpendicolarmente ad essa (perché interromperebbe la continuità del percorso viario se la casa non è arretrata rispetto al ciglio stradale). Mario Catandella nella sua memorabile ricerca effettuata nel 1964 su incarico del CNR e pubblicata con il titolo «La casa rurale nel Molise» riconosceva nella presenza di tali scale che contraddistinguono le tipiche architetture contadine il carattere di ruralità dei paesi (tra i quali si cita S. Massimo in cui ve ne è una serie quasi ininterrotta in via Luigi Piccirilli, l’arteria maggiore dell’aggregato ai piedi del castello) che si contrappone a quello di urbanità. La domanda da porsi è se esse figurativamente appartengono alla casa cui si affiancano o all’intorno e da qui stabilire quale debba essere la loro coloritura. Altra problematica è quella delle trasformazioni che hanno subito le abitazioni nel corso del tempo a causa dei rimaneggiamenti subiti a seguito di eventi tellurici che sono frequenti nell’area appenninica la quale ricomprende una porzione consistente del Molise e della fusione di unità immobiliari: secondo la teoria del restauro le varie fasi costruttive dovrebbero essere evidenziate e anche di ciò si dovrebbe interessare il piano del colore.
Vi è, poi, la inevitabile crescita in altezza di tanti fabbricati effettuata con materiali dissimili da quelli dei piani sottostanti: secondo i principi del restauro architettonico la sopraelevazione va lasciata a vista. A Oratino, famosa per l’arte lapidea, non c’è, peraltro, verso per omogeneizzare le aggiunte in verticale con i livelli inferiori caratterizzati in genere da un bel paramento lapideo. Nei centri storici non si persegue l’obiettivo di rendere apparentemente con partizioni di colore meno alta la sagoma di un edificio, cosa che invece si è resa necessaria per l’istituto fisioterapico adiacente all’impianto termale dell’Acqua Sulfurea di Isernia. In definitiva, l’operazione piano del colore è un’impresa complessa che, comunque, è opportuno venga avviata anche con pianificazioni minimali.
di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)