IL POZZO DEL CONIGLIO
Favole bengalesi che vogliono far riflettere
di p. Antonio Germano Das, sx.
04 gennaio 2018
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BREVE PREMESSA. Una favola, i cui protagonisti sono gli animali della foresta, che, ovviamente, impersonano gli umani ed il loro modo di comportarsi. Leggendola viene spontaneo alla mente il ricordo della favola di Fedro: Il lupo e l’agnello. Da una parte ci sono ci sono gli animali astuti, arroganti e prepotenti rappresentati dalla volpe, dalla tigre, dal leopardo, dal lupo e dal pitone, che la fanno da padroni nella foresta, simbolo della società, dall’altra ci sono i deboli: conigli, uccelli, api, ecc., che ne subiscono i soprusi. Nell’epilogo della favola, però, vediamo che i deboli si organizzano fra di loro, creano unità e riescono così a fronteggiare e sconfiggere il sopruso dei prepotenti. L’autore della favola, all’inizio della sua missione tra i fuoricasta di Borodol, aveva scritto un libro dal titolo: “Boka bole gorib”, che significa: siamo poveri perché ignoranti. Io mi sarei aspettato che ne avrebbe scritto un altro dal titolo: “Ekota nei bole gorib” e cioè: siamo poveri perché disuniti. Dopo la mia lunga presenza tra i fuoricasta, devo purtroppo constatare che la loro vera debolezza è la mancanza di unità fra di loro, per cui possono essere facilmente manovrati e calpestati dalle varie volpi o tigri che si alternano al potere.
Nella foresta viveva un coniglio. Con lui c’erano sua moglie la coniglia e quattro coniglietti. Nella foresta non c’era alcuna sorgente, ma solo una pozzanghera, tra l’altro, molto lontana. Ogni giorno la coniglia madre vi si recava ad attingere acqua da bere con grande fatica. Non solo, sulla strada spesso la volpe, il leopardo e grossi serpenti le tendevano agguati. Con sua grande fortuna per tanti giorni ebbe salva la vita. Rendendosi conto del pericolo, un bel giorno il papà coniglio disse: “A lato della nostra tana dobbiamo scavare un pozzo. Coraggio dunque, oggi stesso mettiamoci al lavoro. Scaveremo un pozzo largo due piedi e, finché non troveremo l’acqua, non smetteremo di scavare”. Scavare un pozzo in mezzo alla foresta non è impresa facile. Bisogna scavare la terra con le unghie e rosicchiare con i denti le grosse radici degli alberi. A più riprese, con il fango bisogna irrobustire l’argine perché non frani. Scava e scava, passarono l’uno dopo l’altro un giorno, due giorni, dieci giorni. Alla fine essi incontrarono terreno morbido, poi terra bagnata e, finalmente, trovarono l’acqua. Fu allora che il papà coniglio, la mamma coniglia, i coniglietti e le conigliette, dopo aver bevuto a sazietà, dalla gioia si misero a danzare e danzando intonarono un canto: “Acqua chiara noi berrem, dalla pozzanghera acqua sporca più non berrem, vita rischiando a prender acqua lontano non andrem”.
In seguito, per difendere il loro pozzo e la loro tana, cominciarono a piantarvi intorno cespugli spinosi. Dopo aver piantato cespugli spinosi, cominciarono ad innaffiarne le radici. Nel giro di alcuni giorni i cespugli si infoltirono. Poi si riempirono di fiori. Fu allora che cominciarono ad arrivare api e calabroni, che, dopo aver succhiato il nettare dai fiori, andavano a dissetarsi nel recipiente posto accanto al pozzo. Anche il picchio, planando dall’albero, scendeva a dissetarsi. Un po’ alla volta la siepe dei cespugli spinosi era diventata alta e robusta come una muraglia. La volpe non poteva più avvicinarsi alla loro tana. Il coniglio aveva quattro cuccioli. La volpe sperava di beccarseli, ma la sua speranza fu vanificata. La volpe sperava anche di impadronirsi della tana, ma anche questa speranza svanì. Perciò grande era la sua rabbia.
Un giorno ghermì un grosso pollo e lo portò alla tigre. La tigre lo divorò con un solo boccone. Leccandosi poi i baffi, le chiese: “Dimmi allora: cosa devo fare per te?” La volpe rispose: “Mami(=zia), io, con molta fatica, avevo scavato un pozzo. Quindici giorni dopo avevo fatto visita alla casa di mio suocero. Quando son tornato a casa, ho visto che il coniglio ha circondato il pozzo con cespugli spinosi. Egli va predicando in giro che non si atterrà a nessun giudizio”. La tigre non tardò a capire il discorso astuto della volpe e disse: “Dal momento che ho mangiato il tuo pollo, devo dare ascolto a quello che mi hai detto. Fai così allora: domani convoca un’assemblea per il giudizio”. La volpe, andando di tana in tana, portò altri tre polli, che aveva rubato. Uno lo offrì al leopardo, un altro al pitone ed un altro ancora al lupo e a tutti riferì la propria storia dolorosa. Nessuno prestò fede alle sue parole, ma tutti promisero che, se ci fosse stato un processo, loro si sarebbero schierati dalla sua parte.
Al mattino la volpe si presentò alla tana del coniglio e disse: “Mami tigre ti chiama. Alle dodici devi presentarti da lei, perché ci sarà un processo nei tuoi confronti: perché hai circondato il mio pozzo con una siepe? Tutti i capi della foresta sono arrabbiati con te”. Sparate queste frottole, si allontanò ridendo sotto i baffi. Nella tana del coniglio scoppiarono grida di pianto: piangevano i cuccioli, piangeva la coniglia madre ed anche gli occhi del papà coniglio si appannarono di lacrime. Tutti poterono sentire le loro grida di pianto: le api, i calabroni ed anche i picchi sentirono. Essi dissero al coniglio: “Non aver paura! Noi sappiamo di chi è il pozzo. Noi diremo la verità: siamo piccoli, ma sterminato è il nostro numero”.
Alle dodici in punto il coniglio si presentò al cospetto della tigre. La volpe, il lupo, il leopardo ed il pitonele sedevano a destra e a sinistra. Iniziò il processo. La tigre chiese alla volpe: “Qual’ è la tua denuncia, bhagne (=nipote)?” Proprio in quel mentre si udì nell’aria un suono come di vento impetuoso. Migliaia e migliaia di calabroni discesero e riempirono la corte di nero; centinaia di picchi scesero dal cielo e si appollaiarono sui rami degli alberi; centinaia di migliaia di api vennero e si posarono sulle foglie e sui fiori dei cespugli. Rimasero tutti in silenzio. La volpe sa che essi sono tutti amici del coniglio: i picchi possono bucarle gli occhi; i calabroni e le api, se l’assaltano insieme, possono provocarle la morte. Incominciò a tremare di paura e non riuscì ad aprir bocca. La tigre chiese di nuovo: “Perché ci hai convocati per il processo, bhagne? Fai presto a dirlo, perché noi abbiamo altro da fare”. La volpe fece un balzo e si dileguò nella foresta. Si rifugiò là dove nessuno la conosceva. D’allora in poi non volse più lo sguardo verso la tana del coniglio. Cosa può fare lei contro le migliaia e migliaia di amici del coniglio?
di p. Antonio Germano Das, sx.