• 6 Marzo 2018

Cinque Stelle primo partito ovunque in Molise

Da Campobasso a Termoli a Isernia: così tramonta l’era democristiana. E il Molise si scopre (anche) leghista

di primonumero.it

06 marzo 2018

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Cinque Stelle primo partito ovunque, anche nelle storiche roccaforti di destra e sinistra. E Salvini fa man bassa di voti nei centri “moderati”, a cominciare dal capoluogo di Regione dove supera il 9%. Un dato che manda sotto choc i moderati. Il BassoMolise, governato dal Pd a cominciare da Termoli, registra un trionfo senza precedenti dei pentastellati. E a Isernia e Venafro il centrodestra cede il passo, per la prima volta nella storia. Un voto che spazza anche i “miti” locali dell’accoglienza: a Ripabottoni, il paese “che lotta per i migranti”, vince Aida Romagnuolo. 

Per Luigi Di Maio, uno dei vincitori principali di questa tornata elettorale, siamo alla «nascita della Terza Repubblica». Azzardata o no che sia la sua affermazione, è un dato di fatto in Italia come in Molise: certezze disciolte come la neve dei giorni scorsi. Uno: le vecchie roccaforti sono crollate, nel Belpaese così come nella nostra regione. Quelle rosse come Casacalenda, Portocannone o Ururi, ma anche quelle più moderate come Campobasso, oppure quelle marcatamente democristiane come Termoli. E persino le roccaforti del terzo Millennio, quelle realtà dove era il politico di turno a fare man bassa di voti: San Martino sfugge a Facciolla, Patriciello perde Venafro, Iorio non è più il numero uno a Isernia. Il Movimento Cinque Stelle fa piazza pulita e in un certo senso prende proprio il posto della Dc nel cuore elettorale dei molisani. E poi l’altra grande rivoluzione del 4 marzo è targata Lega, senza più l’indicazione geografica Nord: capace di sfondare anche nella terra dell’accoglienza e dell’emigrazione. In Molise Salvini è quarto partito. Una svolta che ha il sapore di uno stravolgimento epocale. 

Le “fortezze” elettorali, per cominciare. Alzi la mano chi domenica mattina avrebbe azzardato che a San Martino in Pensilis il più votato non sarebbe stato Vittorino Facciolla. Il vice presidente regionale si è visto mancare la terra da sotto i piedi, battuto in casa propria: 1332 croci sul nome di Antonio Federico, contro le 1200 su quelle dell’ex primo cittadino e oggi responsabile dell’Agricoltura regionale. E c’è di più: Facciolla ha perso soprattutto nelle sezioni dei “suoi” agricoltori, quelli che teoricamente hanno beneficiato della politica avviata in ambito regionale e nazionale. Nelle terre dove il candidato di punta del centrosinistra avrebbe dovuto vincere, la sconfitta è pesante e la debacle si estende a macchia d’olio lungo tutta la costa: Portocannone, Ururi, Campomarino, Guglionesi, Termoli, Petacciato, Montenero di Bisaccia, San Giacomo degli Schiavoni e Larino. Doveva essere una giornata “go on” per il vicepresidente della Regione, e suoi più fedeli collaboratori, ed invece il risultato è stato una sorta di punto di non ritorno. Idem a Ururi, a Portocannone, a Campomarino. Tutti centri in cui il dominatore elettorale degli ultimi anni era stato lui. Ma qualcosa è cambiato, forse irrimediabilmente.

Se ne è accorto persino Aldo Patriciello. Da oltre un decennio considerato ago della bilancia delle elezioni nella più giovane delle regioni della Penisola, l’eurodeputato di Venafro si è visto sfilare dalle mani una vittoria che tutti ritenevano scontata, “blindata” addirittura: quella del collegio uninominale di Isernia. E non sono stati certo i paesi a pesare nel risultato. No. Il cognato, Mario Pietracupa, ha perso proprio a Venafro, e di quasi 200 voti. Ed è accaduto contro una semisconosciuta professoressa che da oggi i molisani conoscono come l’onorevole Rosa Alba Testamento. 

Non c’è storia, è un sovvertimento politico inedito. Il segno che è accaduto qualcosa di imprevedibile per gli stessi protagonisti del voto, “signori” incontrastati del territorio, che dopo decenni di dominio grazie a un bacino elettorale fedelissimo assistono attoniti alla fine di un sistema. Poco importa – nel senso che non modifica il trend – che in centri come Pozzilli, che ospita la Fondazione Neuromed della famiglia Patriciello della quale Pietracupa è presidente, Forza Italia abbia vinto. In un contesto del genere è la classica eccezione che conferma la regola, e la regola è che una intera classe dirigente è stata spazzata via. 

Certo, il voto punisce soprattutto il centrosinistra. Il Pd, ma anche Leu. Frattura, ma anche Danilo Leva, che a Isernia e dintorni tracolla. I pentastellati stravincono a Montenero Di Bisaccia, il paese dei Di Pietro. É un segno anche questo. Il Pd resiste a Riccia, ma solo per riconfermare il sindaco Micaela Fanelli candidata alla Camera sul proporzionale. Perfino qui, perfino a Riccia, che sembrava inossidabile, al Senato – dove non era candidata il sindaco bensì Enrico Colavita e Laura Venittelli – i pentastellati sono in testa, e il consenso per Fanelli non modifica la situazione. 

I dem franano anche nel capoluogo di Regione. Lo sconcerto maggiore per i rappresentanti delle Istituzioni, basiti dai risultati che arrivano come una valanga di pugni in faccia, giunge proprio da Campobasso. Nella città di Paolo di Laura Frattura, dove governa un sindaco del Pd come Antonio Battista, il vincitore assoluto è Antonio Federico, il primo partito è il Movimento 5 stelle che vola sopra il 45%. Ma il vero colpo è un altro: quel 9,3 per cento ottenuto dalla Lega, che oggi sembra la vendetta contro chi irrideva al pienone di piazza che pochi giorni fa acclamava Matteo Salvini. Campobasso, la città dove i migranti sono centinaia, dove “convivono serenamente” secondo le versioni ufficiali, ha cambiato drasticamente faccia. E si scopre nazionalista, oltre che grillina. Grida il malcontento e la volontà di cambiare, regalando una batosta di proporzioni inimmaginabili per il Pd, che si ferma al 14,7%.

Non è immune dalla “rivoluzione” nemmeno il centrodestra, anzi. Un altro grande vecchio della politica nostrana, Michele Iorio, ha imparato ieri notte che Isernia non è più suo terreno esclusivo di caccia elettorale. Al Senato il grande dominatore nel capoluogo pentro non è più il suo partito, ma quello a Cinque Stelle.

Il crollo delle roccaforti è anche l’addio alla Dc. Da sempre il Molise ha avuto un forte marchio democristiano, prima con sindaci, governatori e parlamentari democristiani, poi con moderati che a seconda delle alleanze sono stati di centrodestra o centrosinistra. Il 4 marzo appare una sorta di capolinea in quello che è un viaggio al termine di un’epoca. Obbligatorio andarci coi piedi di piombo, ma mai come stavolta l’elettorato moderato pare aver preso un’altra direzione, che è quella del M5S. 

Termoli, forse la più democristiana delle città molisane, la città di Lapenna e D’Aimmo, il cui figlio era candidato al Senato, ne è l’emblema. E il dato per la Camera è quasi scioccante: il 52 per cento dei votanti termolesi ha votato per i Cinque Stelle. Mai prima d’ora una formazione non di estrazione democristiana – anzi, nata in opposizione a un sistema – era arrivata a tanto. Vale per i centri grandi come per quelli piccoli. Castropignano, roccaforte della sinistra, è andata ai Cinque Stelle. A Bojano, amministrazione a guida Pd di Frattura, i pentastellati hanno vinto per un voto (uno, sì) ma il Pd è terzo dopo il centrodestra. A Baranello, il paese di Vincenzo Niro, il M5s ha stravinto. Insomma, una Caporetto, una Waterloo, la fine delle certezze. Un trend che ricalca quello di Campobasso, città del presidente Frattura, del sindaco Battista, persino del senatore uscente Ruta, dove i pentastellati si sono issati su vette impensabili quattro anni fa, quando l’attuale primo cittadino vinse le comunali al primo turno, quindi col 50 per cento dei consensi e dove emerge anche un altro dato sorprendente: l’exploit della Lega con il 9,3 per cento alla Camera. Una novità assoluta in quella che da sempre è stata terra di emigrazione e oggi vota per chi propone di bloccare gli sbarchi e modificare le regole, per altro europee, sull’accoglienza dei migranti. La terra dell’accoglienza si scopre d’improvviso pronta a chiudere le porte. 

«Le elezioni sono andate benissimo, la gente è stanca e il risultato è sintomatico – dice la candidata al maggioritario per la Camera, Aida Romagnuolo -. Salvini ha portato la Lega dal 3,8 per cento al 18, un risultato che parla da solo. Io sono stata la più votata a Casacalenda, il mio paese». Un’altra roccaforte rossa, che passa alla destra, mentre i grandi partiti si vedono rosicchiare terreno anche dal Pci (15,4 al Senato) e Valore Umano (3,3). 

Ma la Lega arriva all’8 per cento a Isernia e Venafro, il 7 a Termoli, addirittura il 13 a Bojano. «Il centrosinistra ha fatto solo disastri, per le regionali saremo distinti e distanti. La lista è già pronta» annuncia la Romagnuolo. Il caso emblematico è però forse Ripabottoni, paese balzato alle cronache perché non voleva che venissero mandati via i migranti ma che alle urne ha premiato proprio l’esponente della Lega Salvini, prima per preferenze sull’uninominale per Montecitorio. Nel piccolo centro, non più tardi di un mese addietro, c’è stata una protesta popolare contro la chiusura del centro d’accoglienza. Una protesta raccontata da emittenti televisive internazionali, da periodi esteri. Eppure anche qui la Lega di Salvini e la Romagnuolo si sono imposti con il 38,81 per cento. Una vittoria simbolo, un manifesto per la destra, un voto che segna un cambio di passo storico delle dinamiche elettorali: se da un lato il Movimento spacca il cosiddetto metodo “democristiano”, la Lega annienta quel concetto di accoglienza e di sussidiarietà sociale da sempre una delle prerogative dei molisani

di primonumero.it

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