L’esempio del Comandante Alfa, cuore di rondine
Frasi choc del Comandante: “Se Carlo Giuliani restava a casa non gli succedeva niente”
di Marinella Ciamarra (da ilbenecomune.it)
24 maggio 2018
Back
Si è tenuta ieri, mercoledì 23 maggio 2018, alle ore 10.00, nell’Aula Magna del Dipartimento Giuridico, l’incontro-dibattito con il Comandante Alfa, co-fondatore del GIS (Gruppo Intervento Speciale) dei Carabinieri, sul tema “Missioni di pace in contesti internazionali”
“La conferenza – che si inserisce nel quadro delle iniziative e delle attività seminariali della filiera didattica di Scienze politiche – si propone di fornire agli studenti alcuni elementi per l’analisi del mondo contemporaneo e della sua complessità, desunta da un osservatorio privilegiato”
Cita così il comunicato pubblicato sul sito dell’Università degli Studi del Molise che stamattina ha ospitato il Comandante Alfa nell’Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza, evento che rientra anche nella formazione triennale prevista dall’Ordine dei Giornalisti del Molise.
Gli elementi per l’analisi del mondo contemporaneo e della sua complessità, ora, non solo non sono stati minimamente analizzati dall’incappucciato Comandante, se non in maniera retorica e superficiale, ma sono stati presentati, davanti ad un pubblico fatto soprattutto di studenti chiamati ad ascoltare l’ “illustre ospite”, in maniera distorta e faziosa.
Il Comandante ha fatto delle precise dichiarazioni relative all’utilizzo della violenza nelle manifestazioni, sostenendo che davanti ai violenti non si può che rispondere con la violenza e stravolgendo completamente la verità storica dei fatti di Genova 2001.
Dopo aver offeso Carlo Giuliani e la sua famiglia, riferendosi a lui e ai suoi cari con un tono spregiativo e denigratorio, è passato a difendere l’indifendibile: le responsabilità dei poliziotti nell’assalto alla scuola Diaz e nelle torture svolte nella caserma di Bolzaneto.
Nei luoghi citati, in particolare nella caserma di Bolzaneto, lo ricordiamo, il personale delle forze dell’ordine utilizzò violenze fisiche e psicologiche, annullando ogni rispetto dei diritti degli imputati come quello ad essere assistiti da un legale o di informare qualcuno del proprio stato di detenzione; gli arrestati riferirono, inoltre, chiari episodi di tortura uniti ad un clima di euforia tra le forze dell’ordine per la possibilità di infierire sui manifestanti, e riportarono anche invocazioni a dittatori e ad ideologie dittatoriali di matrice fascista, nazista e razzista, nonché minacce a sfondo sessuale nei confronti di alcune manifestanti.
Per quanto riguarda i fatti della scuola Diaz, nel quartiere di Albaro, a Genova, ricordiamo al Comandante il quale, dopo aver espresso un preciso giudizio dei fatti accaduti, ha tuttavia dichiarato di non sapere nulla, perché non presente, come la sera del 21 luglio 2001, tra le ore 22 e mezzanotte, nelle scuole Diaz, Pertini e Pascoli, divenute centro del coordinamento del Genoa Social Forum, facevano irruzione i Reparti mobili della Polizia di Stato con il supporto operativo di alcuni (non tutti) battaglioni dei Carabinieri.
Furono fermati 93 attivisti e furono portati in ospedale 61 feriti, dei quali 3 in prognosi riservata e uno in coma. Finirono sotto accusa 125 poliziotti, compresi dirigenti e capisquadra, per quello che fu definito un pestaggio da “macelleria messicana” dal vicequestore Michelangelo Fournier.
Nell’aprile del 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo, condannando lo Stato italiano al pagamento di un risarcimento di 45.000 euro nei confronti di Arnaldo Cestaro, uno dei feriti che aveva fatto ricorso alla corte, ha evidenziato come durante l’operazione fossero avvenuti eventi contrari agli articoli 3, 6, 13 e 34 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativo alla tortura e alle condizioni e punizioni degradanti ed inumane.
Il 22 giugno 2017 la stessa Corte ha nuovamente condannato l’Italia per i fatti della scuola Diaz, riconoscendo che le leggi dello Stato risultano inadeguate a punire e a prevenire gli atti di tortura commessi dalle forze dell’ordine.
Ricordiamo come Amnesty International richiese ufficialmente nel 2002 un’indagine sull’operato delle forze dell’ordine nella gestione dell’ordine pubblico durante il G8 italiano, criticandone l’eccessiva violenza e chiedendo anche indagini in merito alle istruzioni impartite dai vertici. Amnesty International, pur accogliendo con favore l’apertura di una serie di indagini penali da parte dell’autorità giudiziarie italiane, ritenne che, vista l’ampiezza e la gravità delle accuse e il gran numero di cittadini stranieri con conseguente elevato livello di preoccupazione a livello internazionale, esse non fossero sufficienti per fornire una risposta adeguata. Raccomandò quindi l’istituzione di un’apposita commissione d’inchiesta indipendente, ritenendo insoddisfacente e viziato da disaccordo e acrimonia il lavoro svolto dalla prima commissione nel 2001.
Nel suo rapporto sui fatti di Genova, l’associazione ha parlato di “una violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia recente”.
Il Comandante, però, non doveva avere bene in mente né le valutazioni di Amnesty International, né la realtà storica dei fatti, né gli esisti delle indagini e delle sentenze, nè la dichiarazione unanime della Corte dei diritti dell’uomo che il 7 aprile 2015 ha dichiarato che a Genova è stato violato l’articolo 3 sul “divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti”, né la responsabilità ammessa dall’Italia il 6 aprile 2017 per gli atti di tortura subìti presso la caserma di Bolzaneto, ma solo la sua visione faziosa e distorta dei fatti, se ha ben pensato di presentarla ad una platea di giovani, che probabilmente dei fatti di Genova sanno poco o nulla, e pertanto avranno accolto le parole dell’ “illustre ospite” come vere, visto che erano lì per acquisire (citato sempre dal comunicato stampa di cui sopra) alcuni elementi per l’analisi del mondo contemporaneo e della sua complessità.
E l’illustre comandante ha poi dato ai suoi giovani un valido esempio di come si reagisce di fronte al dissenso. Contestato da un collega (ndr: Giuseppe Pittà) dell’Ordine dei Giornalisti – che ha organizzato l’evento e che successivamente (almeno fino al momento in cui tale articolo viene redatto) è rimasto in silenzio innanzi a tale episodio – il Comandante Alfa ha inveito contro il giornalista intimandogli di stare zitto, di uscire dall’aula e di vergognarsi.
Di cosa? Del fatto che il noto e professionalmente valido giornalista molisano si fosse permesso di dire che la versione dei fatti del Carabiniere delle forze speciali non era oggettiva, e che i fatti di Genova sono stati una gravissima violazione di diritti, come dimostrano le condanne di tanti colleghi del Comandante n.1 e che lui, il giornalista, a Genova c’era, ed era lì, tra i tanti giovani, anziani, donne, bambini, per combattere per un mondo migliore.
Il Comandante Alfa cuore di rondine gli ha intimato di vergognarsi.
Quello che è successo dopo nell’aula è ignoto, perché chi scrive ha abbandonato l’aula per solidarietà al collega giornalista preso a male parole.
(Ma l’avrebbe abbandonata comunque, anche se il collega non fosse intervenuto come coraggiosamente ha fatto innanzi ad un platea di giovani sì, ma anche di tanti adulti e giornalisti silenti).
L’esimio comandante che vive nell’ombra, autore anche di ben tre libri relativi alle sue vicende e alla sua quarantennale carriera nel GIS, Gruppo di Intervento Speciale nato nel 1978 per volere dell’allora Ministro dell’Interno Francesco Cossiga, ex parà, perché “prima di accedere al GIS si passa per il reggimento del Tuscania” sostiene che “i giovani non hanno bisogno di insegnamenti, hanno bisogno di esempi, soprattutto se parliamo di certi valori che si tramandano di generazione in generazione, il senso di Patria, l’orgoglio di essere italiani. Io vado anche nelle scuole e cerco di far capire ai ragazzi la bellezza della legalità e noi possiamo farlo, perché siamo un esempio”.
Grazie per l’esempio di oggi, Comandante.
di Marinella Ciamarra (da ilbenecomune.it)