• 25 Giugno 2018

Migranti, Padre Germano e la sua testimonianza

Il Padre è stato ospite dell’Associazione Giuseppe Tedeschi in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato

di Maurizio Silla

25 giugno 2018

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Padre Antonio Germano, missionario molisano in Bangladesh dal 1977, nel corso della sua testimonianza fatta in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dai volontari dell’Associazione “Giuseppe Tedeschi ETS” Auser e tenutasi nella sala della Camera del Lavoro di Campobasso intitolata ad Arturo Giovannitti, poeta e sindacalista di Ripabottoni, emigrato negli Stati Uniti nel 1901, si è soffermato sulla crisi che tocca i Paesi poveri del Mondo ed in particolare i fuori casta del Sub-Continente indiano e del Bangladesh.

Ha illustrato la quotidiana discriminazione, negazione di diritti elementari, violazioni di dignità, miseria e violenza di una nazione con un territorio vulnerabile sottoposto a frequenti inondazioni in cui vivono poco meno di 150 milioni di abitanti con una densità per km quadrato spaventosa. Davanti ad una delegazione di bengalesi, accolti in strutture di accoglienza umanitaria del Molise, ha ricordato la giornata dei martiri della lingua con lo sterminio degli anni cinquanta perpetrato prima dell’Indipendenza dal Pakistan occidentale intonando un canto di libertà che il 21 febbraio intona ogni persona del Bangladesh.

Ha riportato la sua esperienza missionaria ed il suo cambio del nome dove ha ritenuto di aggiungere al suo anche la parola “DASH” che in bengalese è il termine spregiativo con cui vengono identitificati i fuori casta e che significa “SCHIAVO”. Ha raccontato della povertà estrema ma anche della genrosità del popolo bengalese che non si è rifiutato di accogliere i rifugiati della popolazione Ryominga espulsi con violenza dall’ex-Birmania (Myanmar).

Padre Antonio Germano, originario di Duronia, ha manifestato il proprio rammarico nel vedere un Mondo che dagli Stati Uniti all’Europa, fino all’Italia e al Molise, si chiude a riccio e individua nei profughi e rifugiati il capro espiatorio contro cui indirizzare la propria rabbia. Ha ricordato le radici millennarie di un’accoglienza umanitaria trasmessa da generazione in generazione in Molise da una civiltà rurale che rischia di essere stravolta dalla moda dei tempi, e l’ha paragonata alla civiltà millenaria bengalese che in un proverbio molto popolare recita “OTITE NARJO” ovvero “L’OSPITE E’ SACRO” e a tal proposito ha menzionato diversi episodi che gli sono accaduti nei 41 anni di attività missionaria in Bangladesh dove sconosciuti di fede islamica l’hanno aiutato con naturalezza e gratuità.

Don Antonio MASCIA, missionario di CHIAUCI, ha illustrato le difficoltà che attraversa la parte anglofona del Camerun alle prese con una guerra civile che ha visto nella sua Diocesi 160 mila persone scappare per rifugiarsi in Nigeria o nella parte francofona del Camerun con situazioni di disperazione, violenza e disagi già testimoniati dall’ostetrica di Oratino, Pia Fatica che aveva operato per 48 anni nella stessa località di Fontem, recentemente ricordata nel suo paese natale dalla comunità.

La situazione di crisi, miseria, epidemie e violenza dell’Africa sub-sahariana, ha continuato, Don Antonio Mascia, al cospetto di diversi migranti camerunensi ospitati nei centri Sprar molisani, è tale che non ci si può sorprendere se una parte minimale di essi sceglie di sfidare la sorte e la morte attraversando prima il deserto e poi il Mediterraneo per cercare un futuro migliore. La quota di chi scappa verso l’Europa però è minimale se si valuta che le Nazioni Unite hanno statisticato per il 2017, 68,5 milioni di profughi che in gran parte cercano riparo nei paesi confinanti come confermano i dati dell’Uganda, del Libano o della Nigeria.

Nei diversi interventi che si sono succeduti di Giovanni Mancinone, Don Gino D’Ovidio, Luca Fatica, Michela D’Angelo e Chiara D’Amico, è emersa la faccia di un Molise capace di accogliere, ospitare, includere ed integrare sia 14 mila stranieri regolarmente domiciliati da anni nella regione, sia 4 mila profughi e rifugiati con i progetti emergenziali e quelli triennali per richiedenti asilo. Con saggezza e impegno, sostenendo l’opera positiva delle Prefetture di Campobasso e Isernia, si possono migliorare le modalità dell’accoglienza umanitaria, privilegiando il sistema SPRAR per piccoli nuclei in ciascuno dei 136 comuni molisani, svuotando i grandi centri di Campobasso, e puntando con decisione su inclusione e integrazione sociale, poiché le nostre piccole realtà hanno bisogno di questi flussi per avere un futuro.

A tal riguardo il Presidente Onorario dell’Associazione Padre Giuseppe Tedeschi, Michele Petraroia, ha fatto riferimento alla recente ricerca del Dott. Fabrizio Nocera dell’ISTAT in cui è emersa la perdita di ulteriori 2 mila unità nel 2017 con diversi comuni che hanno segnato zero nascite. Il modello RIACE può rappresentare un riferimento positivo a cui ispirarsi per non far morire nel giro di pochi decenni intere comunità molisane. Questi flussi meriterebbero di essere sostenuti ed accompagnati ad ogni livello anzichè essere contrastati, demonizzati e strumentalizzati per logiche di corto respiro.

Molto belli gli interventi dei rifugiati del Camerun, Bangladesh, Kurdistan, Kashmir e della rappresentante della popolazione venezuelana, di Don Pietro, il parroco di Pescolanciano dove si sono verficati episodi esecrabili, Dante Leva Presidente Regionale AUSER e di diverse figure che hanno voluto attestare la propria solidarietà ai migranti e l’apprezzamento all’opera dei due missionari molisani. Per i volontari dell’Associazione Giuseppe Tedeschi una grande soddisfazione per aver offerto l’opportunità a tanti di ragionare e riflettere con pacatezza su una questione con cui il Mondo è chiamato a fare i conti nei prossimi decenni vista la sperequazione di diritti, condizioni di vita, opportunità, pace e dignità che attraversano il Pianeta. Un esodo biblico immane spinge milioni di persone a spostarsi alla ricerca di un futuro migliore in terre più sicure. Non saranno gli slogan, la disumanità, i recinti, le gabbie in cui Trump chiude i bambini strappati alle madri messicane, il filo spinato ungherese o il no all’attracco delle navi nei porti italiani, a fermare il cammino di chi fugge da luoghi invivibili. 

di Maurizio Silla

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