• 26 Settembre 2018

E se tutta l’Italia fosse una grande area interna d’Europa?

Lo chiedono i sindaci delle aree interne al Ministro per la Coesione

di Bianca Di Giovanni (da huffingtonpost.it)

26 settembre 2018

Back

I sindaci delle aree interne hanno incontrato il ministro per la Coesione Barbara Lezzi. Nell’aula del dipartimento si è ritrovata una piccola rappresentanza degli oltre mille Comuni che hanno avviato un progetto nell’ambito della strategia per le aree interne creata dall’allora ministro Fabrizio Barca ai tempi del governo Monti. Una settantina di amministratori che rappresentavano ogni “angolo” (in senso letterale) della Penisola: dalle valli alpine alle dorsali appenniniche, dagli altipiani montuosi alle zone collinose. Zone di frontiera, a cavallo tra diverse Regioni, a poche miglia dai confini nazionali, o nel cuore profondo delle isole. Tutte aree con un unico segno distintivo: la marginalità dai centri di sviluppo e di offerta di servizi essenziali. Marginalità che non vuol dire povertà. Anzi. Gli interventi evocano nomi lontani (il Matese, la Val Maira, le Madonie, il Sangro, l’Alta Marmilla) e variopinti, usi, linguaggi, ecosistemi e “biodiversità” diffuse. Nel nostro Paese il 53% dei Comuni si trova nelle loro condizioni. E in quelle aree il 23% della popolazione italiana, quasi uno su quattro. I rischi sono l’abbandono, la desertificazione, l’arretratezza. La scommessa della strategia è evitare quei rischi e capovolgere quei destini.

E’ bastata la parola, strategia, e il progetto, per cominciare a “fare sistema”. Gli amministratori vicini si sono incontrati, hanno coinvolto la popolazione, hanno creato reti, avviato procedure, fondato gruppi di lavoro. Già solo questo ha mitigato la marginalità, spostando le aree dalla periferia al centro: il centro delle loro vite.

E’ stato quando è intervenuto il sindaco rappresentante dell’area Vallo di Diano che è balzata l’analogia con tutta l’Italia. Come se tutta la Penisola non fosse che una grande area interna dell’Europa e del mondo. Lì, a due passi da un mare spettacolare, sprofondati nel parco del Cilento, in mezzo a un’agricoltura florida e a una storia secolare, con una delle più grandi certose d’Europa (quella di Padula), lì, proprio lì il rischio è l’abbandono, la desertificazione. Come accade ormai da anni a centinaia di migliaia di giovani che partono dall’Italia per cercare fortuna.

I Comuni del Vallo di Diano hanno deciso di chiederlo a loro, ai ragazzi degli ultimi due anni delle superiori, cosa si aspettano dai loro Paesi. Cosa bisogna fare perché restino non emigrino, come si immaginano la loro vita in quelle aree nel 2036? Il risultato della giornata di riflessione è stato disarmante: innovazione e capitale umano. Questi i due driver di sviluppo che frenerebbero l’esodo.

E se valesse anche per tutti i paesi e le città italiane? Una scuola che valorizzi le abilità, un mondo del lavoro che punti sulla formazione delle persone, servizi innovativi, semplici ma efficaci. Come quelli che stanno ideando in un’area della Provincia di Chieti, in Abruzzo, con interventi sanitari come le infermiere di paese (o di quartiere), o misure che uniscono sanità e sociale. O quello che sta accadendo nell’Appennino emiliano, con unioni di Comuni che gestiscono insieme l’informatizzazione dei servizi, o i plessi scolastici. Scuola, sanità, ambiente e mobilità: su questi temi si interrogano i cittadini e gli amministratori assieme. Naturalmente anche sui costi e sulle regole: non possono essere le stesse di grandi città, che hanno economie di scala.

Un percorso partecipato, che spinge alla cooperazione, già di per sé è un fattore di sviluppo. I soldi ci sono: un po’ li mette l’Europa, un po’ Stato e Regioni. Quello che frena sono le lungaggini, le sovrapposizioni, le matasse inestricabili della nostra burocrazia. Il ministro ha invitato i sindaci a raccogliere le richieste, portare il “pacchetto” all’Anci e chiedere che sia inserito nel dibattito su Def e manovra. Il fatto è che già per fare progetti serve tempo: ma una volta chiusa la fase programmatica, serve quasi un anno per avere tutti i nulla osta. Il lavorìo è costante e continuo, anche se in pochissimi in Italia sanno quello che si sta facendo nelle regioni più remote. Forse se questo metodo fosse governato meglio, se i passaggi fossero snelliti, magari potrebbe servire a tutto il Paese, a quei giovani che fanno un biglietto di sola andata verso un Paese straniero. Per sentirsi più forti anche in Europa.

di Bianca Di Giovanni (da huffingtonpost.it)

Back