Regionalismo differenziato
Confronto tra i Consiglieri PD e Toma
di Miriam Iacovantuono (da moliseweb.it)
4 gennaio 2019
Il regionalismo differenziato ha ripreso slancio, dopo diversi anni in cui sembrava completamente sopito. Il 22 ottobre 2017 Lombardia e Veneto hanno tenuto un referendum consultivo per una maggiore autonomia. In precedenza, l’Emilia-Romagna si era mossa nella stessa direzione, senza alcun referendum. Ad oggi solo l’Abruzzo e il Molise non hanno avviato iniziative formali per l’avvio della procedura del regionalismo differenziato (ex art.116, terzo comma, della Costituzione).
Ma cosa ne pensano gli amministratori regionali del Molise?
Secondo la Consigliera regionale del PD, Micaela Fanelli, “è pericolosissimo per il Sud Italia e il Molise in particolare”. Esprime preoccupazione in merito al tema che la lega porta avanti e che prevederebbe la secessione dell’Italia che trasformerebbe così il Paese in “una confederazione degli Stati Uniti d’Italia con dei gesti localizzati sul territorio rendendo impossibile la sopravvivenza della regione Molise. Su questo – continua – l’allarme è massimo e l’evidenza che viene data dalla politica regionale è ancora troppo bassa”. Perplessità è stata espressa anche dal capogruppo PD in Consiglio regionale, Vittorino Facciolla. “Oggi ci troviamo a confrontarci su un’idea di riorganizzazione dello Stato che supera lo straordinario valore del regionalismo italiano che aveva matrici solidaristiche straordinarie, dove il ‘più piccolo’, quello meno capace, nell’ambito di un’unica nazione doveva essere supportato. L’idea del regionalismo differenziato – ha continuato – vuole far residuare le risorse delle regioni più importanti e più grandi solo a favore delle regioni più importanti e più grandi e manda all’aria il regionalismo solidale e supera il valore della nostra Carta Costituzionale”.
Diversa la posizione del governatore Toma. “Se il regionalismo differenziato fosse finalizzato davvero a ridurre l’apporto e la solidarietà delle Regioni a saldo finanziario particolarmente elevato in misura tale da provocare la riduzione della loro maggiore capacità contributiva al fondo, allora si dovrebbe parlare di ‘autonomismo’, ovvero di ‘federalismo’, ma non era questo lo spirito dei padri costituenti, i quali pensavano che la solidarietà nazionale dovesse contribuire a ridurre il gap tra regioni e, in special modo, tra le regioni del Nord e quelle del Sud”.
Sempre più vivo così il dibattito sul regionalismo differenziato, voluto – non può essere dimenticato, ndr – dal centrosinistra nel 2001: è un regalo alla propaganda autonomistica, oppure può essere uno strumento pragmatico, in grado di incidere in modo positivo sul diverso rendimento istituzionale delle regioni italiane? E’ noto che in Italia il tema del regionalismo differenziato si è riaperto nel momento in cui la Lega ha virato verso il sovranismo populista. In un mondo globalizzato con problematiche che vanno quasi sempre al di là degli stessi confini nazionali ha ancora senso aspirare a 20 piccole entità autonome, ciascuna con competenze e poteri? Il mondo che cambia non dovrebbe suggerire nuovi modelli di governo locale?
di Miriam Iacovantuono (da moliseweb.it)