Il ruolo del sindacato nella società odierna
Le necessità primarie sono quelle di rompere il processo di burocratizzazione e di dotarsi di personale sempre più formato e qualificato
di Umberto Berardo
12 febbraio 2019
In un’indagine condotta dall’Istituto Demoskopika emerge con chiarezza come le iscrizioni al sindacato siano in caduta libera.
Negli ultimi due anni CGIL e CISL hanno perso qualcosa come 450.000 iscritti, in gran parte giovani e precari, mentre in controtendenza la UIL li ha aumentati di 26.000.
Crollano dunque le adesioni e si riduce il numero dei volontari impegnati in attività gratuite.
Si registra tra l’altro un incremento delle sigle soprattutto nell’area della cosiddetta autonomia.
Il sindacato, non riuscendo più a giocare un ruolo attivo nelle dinamiche economiche e sociali del nostro tempo, non appare solo indebolito ma talora ossificato su categorie di analisi che sembrano ormai appartenere a un’epoca tramontata.
Le cause di tale processo sono innumerevoli e attengono all’assenza d’interventi su problemi già incancreniti come quello della scuola, dell’assistenza sanitaria, della difesa dell’ambiente e del diritto per tutti alla casa e al lavoro, ma sono relative anche a una inadeguatezza di analisi dei problemi attuali del mondo del lavoro, alla irrisolutezza e incapacità di mettere in cantiere riflessioni efficaci sul quadro economico, talora all’assenza di competenze dei dirigenti nazionali e locali, infine alla palese insufficienza degli strumenti e delle azioni messe in atto per difendere i lavoratori nei confronti delle controparti, delle autorità di governo e del mondo finanziario.
Tale debolezza è apparsa evidente nei confronti della gestione Fiat di Sergio Marchionne, ma soprattutto rispetto al processo di delocalizzazione, al Jobs Act e alla riforma del diritto al lavoro in Italia attuata dal governo Renzi che non ha previsto solo la precarizzazione e la licenziabilità dei lavoratori, ma soprattutto ha cercato subdolamente d’introdurre un modello di rappresentanza diretta individuale del lavoratore nei confronti del datore di lavoro e quindi la fine dell’intermediazione sociale del sindacato stesso.
Rispetto poi alla globalizzazione, all’internazionalizzazione e ai nuovi sistemi di produzione e di commercializzazione il sindacato manca di un articolato coordinamento mondiale capace di far fronte a imprese che mobilitano e trasferiscono in maniera sempre più rapida capitali, merci e forza lavoro.
Se nella rappresentanza non esiste una conduzione globale delle lotte sindacali capace d’incidere nella difesa dei diritti, è difficile rispondere ai processi di delocalizzazione e indebolimento salariale in atto specialmente da parte di taluni Paesi.
Il sindacato può uscire dall’impasse riflettendo sugli errori e le debolezze strutturali e strategiche per manifestare di se stesso un’immagine diversa da quella attuale.
La prima necessità è quella di rompere quel processo di burocratizzazione che lo ha fortemente ingessato, ma è urgente dotarsi di personale sempre più formato e qualificato e digitalizzarsi non solo per la rappresentanza ma anche per i diversi servizi da offrire.
C’è bisogno poi di più democrazia interna e di meno giochi di potere che sono apparsi anche a nostro avviso nell’ultimo congresso CGIL dove il confronto ci è sembrato alquanto soffocato dalla necessità di trasmettere a ogni costo la parvenza dell’unità.
La funzione di rappresentanza, individuale e collettiva, deve riguardare poi tutta la forza lavoro, da quella occupata fino all’altra disoccupata o in cerca di occupazione evitando di dimenticare proprio i più emarginati come purtroppo è avvenuto finora.
Occorre ancora riflettere su un multiforme inquadramento dei problemi per trovare così le soluzioni più adeguate agli stessi.
Si deve lavorare con studi e progetti innovativi sul tema del diritto al lavoro studiando le strategie da mettere in campo per raggiungere la piena occupazione piuttosto che rincorrere i diversi tipi di sussidio alla disoccupazione che ancora oggi il governo sta cercando di mettere in campo.
A tale proposito anche la manifestazione di Roma del 9 febbraio 2019, pure molto partecipata, è apparsa tardiva, mentre occorreva agire per tempo sulla Legge di stabilità con proposte alternative già nell’autunno 2018.
Oltre alla piena occupazione è necessario lavorare ad una legge sul salario orario minimo legale per garantire figure scoperte di lavoratori atipici come ad esempio i riders, che sono privi delle più elementari tutele, o gli operatori della Gig o New Economy, che dir si voglia, i quali lavorano connessi da remoto attraverso un dispositivo mobile e non sono mai entrati in una fabbrica.
Sarebbe deleterio rappresentare solo le fasce tradizionali del mondo del lavoro dimenticando chi vi entra solo in maniera fluttuante, sporadica e precaria o chi ne è fuori.
La tutela del diritto al lavoro va poi coniugata con il discorso dell’equità sociale e con la demolizione dei tanti privilegi retributivi che finora non sono stati mai attaccati con determinazione.
La concertazione poi non può ridimensionare, come spesso avviene, l’azione rivendicativa e di contrapposizione a politiche neoliberiste inaccettabili.
La frantumazione corporativa delle sigle va evitata o quantomeno ridimensionata attraverso un’unità di azione coordinata, come dicevamo, non solo a livello nazionale ma mondiale.
Tra alcuni lavoratori c’è oggi una solitudine disarmante rispetto ai problemi creati dalle nuove organizzazioni della produzione e della distribuzione nel mercato del lavoro il quale rischia di diventare talora sempre più irregolare e perfino selvaggio.
In questa situazione il sindacato può avere ancora una funzione importante e utile a condizione che riesca a ricostruire una relazione autentica con i lavoratori e funzionale alla gestione dei loro bisogni.
Il conflitto sociale e la tutela della dignità del lavoro oggi presentano aspetti ed elementi profondamente diversi e innovativi rispetto al passato; occorre pertanto analizzarli con categorie adeguate ed entrarvi in profondità con nuove chiavi di lettura, di elaborazione e di soluzione.
In altre parole c’è sempre più bisogno di produrre pensiero, interloquire con i lavoratori e cercare sinergie con le forze vive della società che dentro e fuori dalle istituzioni possono dare un contributo per la realizzazione della giustizia sociale che dovrebbe poi essere l’obiettivo fondamentale del sindacato.
Molti oggi ne auspicano la fine e rincorrono un modello di rappresentanza diretta e individuale del lavoratore nei confronti del datore di lavoro.
Ovviamente questo è pericolosissimo nell’era del Jobs Act perché aggraverebbe la precarietà del lavoro, la licenziabilità e la solitudine dei lavoratori.
Esponendo questi ultimi a ritorsioni, come è avvenuto in Fiat con quelli iscritti alla FIOM a Pomigliano d’Arco, si è cercato praticamente di abbassarne il tasso di sindacalizzazione e di indebolire le rivendicazioni.
Noi siamo convinti che il sindacato possa e debba avere un ruolo essenziale nell’organizzazione economica e sociale, ma che per questo, come nei tempi migliori della sua storia, abbia bisogno di tornare ad occuparsi del mondo del lavoro ma anche degli esclusi dai diritti, di liberarsi da inutili privilegi, di diventare democratico, partecipato, innovativo, inclusivo, pluralista e diretto alla costruzione di un’economia dove la dignità del lavoratore sia al di sopra di ogni altro scopo.
di Umberto Berardo