Raffronto tra Agricoltura (natura e cibo) e il vivere umano
No all’agricoltura industrializzata, un modello fallito che ha prodotto solo disastri
di Giorgio Scarlato
22 marzo 2019
Oggi, ma già da diverso tempo, esiste un preciso programma che con pressioni economiche o militari, un gruppo ristretto di potenti agisce nei confronti dei popoli di tanti Paesi deboli obbligandoli a distruggere il proprio sistema di produzione alimentare che per millenni ha funzionato con un modello di “agricoltura scellerata” basato su grandi aziende agricole industrializzate produttrici di derrate globalizzate nel sapore e salubrità, sull’uso di semi ibridi, di semi geneticamente modificati (OGM), sugli agrofarmaci delle multinazionali; quest’ultimi, peggio, strettamente correlati all’aumento dell’incidenza sull’essere umano, di cancro, morbo di Parkinson, Alzheimer, SLA (sclerosi laterale amiotrofica), autismo, malattie respiratorie, diabete, infertilità, malformazioni fetali, disfunzioni metaboliche, danni neurologici, ecc., ecc.
E’ il cosiddetto agribusiness dell’industria alimentare che è riuscita, con l’aiuto di tanti “cavallini di Troia”, a smantellare le sane agricolture di molti Paesi extraeuropei e da qualche tempo anche in alcuni Paesi europei dove, unita alla “concorrenza sleale legalizzata” da trattati internazionali stanno stremando contadini e le loro famiglie.
Quell’agricoltura industriale che vuole, esige, sempre meno attori ma sempre più concentrazioni, cioè sempre più aziende di grandi dimensioni per aumentare la produttività ( a mio parere fittizia visto poi il dare-avere) a prezzi sempre più bassi. Sono le cosiddette aziende-fabbrica che producono cibo che spesso ha nulla a che vedere con la qualità.
Sfortunatamente, strettamente correlata, c’è la vita dell’essere umano che distaccandosi dalla natura e attaccandosi a tutti i costi al progresso perde il punto nodale della stessa vita, direzionata, improntata più “sull’avere e far vedere” che sull’essere solidali, uniti, o alla tutela della stessa salute.
Un progresso fallimentare che sta distruggendo suolo, acqua, aria, boschi, la vita stessa, visto il tutto e solamente nell’ottica del profitto e della supremazia o della personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico sull’altro di turno, chiunque esso sia.
E’ il dominio globale dei pochi oligarchi che ha portato alla debacle del vivere umano ed
hanno avuto la capacità di globalizzare la povertà.
Il vivere in simile maniera può chiamarsi ancora vivere; può garantire un futuro vivibile alle prossime generazioni?
Oggi, quindi, siamo ad un crocevia. E’ arrivato il momento di scegliere, di decidere se continuare a proseguire su un processo di distruzione o scegliere un futuro sostenibile per produrre cibo sano e difendere la sempre più compromessa sovranità alimentare dei popoli e dei loro territori; perché quando si parla di Agricoltura si parla non solo di cibo ma di futuro, di democrazia e soprattutto di libertà.
L’Agricoltura del futuro deve rispettare la tutela del bene comune, la terra, la stessa vita.
Quanto su scritto non è che una scarna analisi del percorso che stiamo in un modo per certi versi inconsapevolmente tracciando e che se non poniamo la dovuta attenzione ci porterà alla distruzione. Siamo ancora in tempo per cambiare direzione e dobbiamo farlo.
Concludo con due concetti esposti, il primo, sul progresso, di Ed Begley jr, attore americano ed ambientalista convinto; il secondo, più articolato, ancora attuale, sull’inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate, di Robert Kennedy, politico americano, nel discorso del 18 marzo 1968.
Il Primo.
“Non capisco perché quando distruggiamo qualcosa creata dall’uomo lo chiamiamo vandalismo ma quando distruggiamo qualcosa creata dalla natura lo chiamiamo progresso”.
Il Secondo.
” Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né nei successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.
Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le autoambulanze per sgomberare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette in conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini.
Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti tra di noi.
Il PIL non misura la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione per il nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”.
di Giorgio Scarlato (Comitato spontaneo agricolo “Uniti per non morire”)