• 23 Aprile 2019

Cambiamento climatico

C’era qualcosa prima di Greta?

di Redazione Contropiano

23 aprile 2019

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Ci battiamo da sempre sul fronte ambientale, tra sorrisi di compatimento dei potenti di tutto il mondo e imprenditori criminali di casa nostra. Abbiamo visto nascere e morire partiti e movimenti “verdi”, presto piegati alle logiche di compatibilità del “sistema”, quelle per cui “se vuoi raggiungere le leve di governo ti devi sporcare le mani e fare compromessi con le forze che ci sono”.

Alcuni di noi sono invecchiati in questa lotta, altri sono morti, altri ancora hanno pagato e stanno pagando col carcere e con condanne pecuniarie da esproprio (andate a chiedere ai valsusini NoTav). Altri più giovani ci hanno raggiunto e hanno preso in mano le stesse bandiere, vivendo lo stesso ostracismo e pagando gli stessi prezzi.

Abbiamo capito che ogni cambiamento, su qualsiasi fronte, richiede conflitto e prezzi da pagare. Perché chi sta ammazzando il mondo, e l’umanità che ci vive, non si fermerà solo perché centinaia di migliaia di scienziati – da decenni – ci spiegano, dati alla mano, che il tempo per invertire la rotta è sempre meno.

Poi una mattina il “sistema” scopre e mette una bambina sul palco mediatico, altre decine di migliaia di giovani scendono fortunatamente in strada ancora una volta. Sappiamo benissimo, infatti, che il tema ambientale, e in particolare il dramma del cambiamento climatico, è oggettivamente anticapitalistico. Non si può seriamente perseguire nessun cambiamento su questo fronte senza mettere in discussione un modello di produzione fondato sul profitto privato e senza scontrarsi con le multinazionali che dominano il mondo della politica.

Eppure, intorno a Friday for Future e Greta Thunberg i media mainstream – tranne la ristretta ma rumorosa pattuglia della destra estrema –  hanno costruito una narrazione che separa nettamente lotta al cambiamento climatico e critica radicale del capitalismo. Si stempera ogni critica con la melassa dei buoni sentimenti, come se le responsabilità fossero “di ogni essere umano” anziché, fondamentalmente, di chi ha creato e si arricchisce con questo modo di produrre. 

Si ridicono le stesse identiche cose degli ultimi 50 anni, come se nessuno avesse mai detto e fatto nulla. Azzerando decenni di movimenti reali, di battaglie anche grandiose.

Ma tutto viene raccontato in modo più vago, generico, blando, senza colpevoli identificabili. Senza dar fastidio a chi dirige. I quali anzi invitano, si alzano, applaudono, corrono a farsi un selfie, pretendendo il monopolio della “direzione della lotta” che, in teoria, dovrebbe avventarsi contro chi ha diretto finora i paesi avanzati e saccheggiato quelli colonizzati. 

E’ accaduto spesso su altri temi centrali come lo sfruttamento dei lavoratori e dei migranti, con la repressione di chi organizza le lotte di liberazione dei soggetti collettivi e l’affidamento dei “singoli casi individuali” alle Caritas o al “terzo settore”, ampio universo che comprende ancora gente perbene (come i volontari e i lavoratori sottopagati) e altra molto meno, fino a qualche sosia di Buzzi e Carminati.

In giorni di rarefazione dell’informazione – le feste tacitano un poco persino i Salvini – forse è bene rileggersi qualcosa di assolutamente “nuovo”sul tema ambientale e climatico. Per saper distinguere, se non altro, tra “problema”, soluzioni reali o fittizie, amici e nemici dell’umanità. Per saper distinguere, insomma, tra novità che aprono davvero nuove strade, e fenomeni transitori, pulsioni autentiche, sceneggiature complesse, ecc. Tra realtà conflittuale che richiede partecipazione diretta di tutti e narrazione innocua di contraddizioni mortali, che stimola l’applauso dal divano di casa. 

Abbiamo conoscenza e storia. Non ci faremo scippare questo argomento dal potere del profitto.

«Un’importante specie biologica corre il rischio di sparire per la rapida e progressiva liquidazione dalle sue condizioni naturali di vita: l’uomo.

Ora prendiamo coscienza di questo problema quando é quasi tardi per impedirlo.

È necessario segnalare che le società consumistiche sono le fondamentali responsabili dell’atroce distruzione dell’ecosistema. Sono nate dalle antiche metropoli coloniali e dalle politiche imperiali che, a loro volta, hanno generato il ritardo e la povertà che oggi colpiscono l’immensa maggioranza dell’umanità. Con solo il 20% della popolazione mondiale, consumano i due terzi dei metalli ed i tre quarti dell’energia prodotte nel mondo. Hanno avvelenato i mari e i fiumi, hanno inquinato l’aria, hanno indebolito e perforato la cappa di ozono, hanno saturato l’atmosfera di gas che alterano le condizioni climatiche con effetti catastrofici che incominciamo già a soffrire.

I boschi spariscono, i deserti si estendono, migliaia di milioni di tonnellate di terra fertile vanno ogni anno a fermare il mare. Numerose specie si estinguono. La pressione delle popolazioni e la povertà conducono a sforzi disperati per sopravvivere, anche a costo della natura. Non è possibile incolpare di questo i paesi del Terzo Mondo, colonie ieri, nazioni sfruttate e saccheggiate oggi da un ordine economico mondiale ingiusto.

La soluzione non può essere impedire lo sviluppo di coloro che più ne hanno bisogno. La realtà è che tutto ciò che oggi contribuisce al sottosviluppo ed alla povertà costituisce una flagrante violazione dell’ecologia. Decine di milioni di uomini, donne e bambini muoiono ogni anno nel Terzo Mondo in conseguenza di questo, più che in ognuna delle due guerre mondiali. Lo scambio disuguale, il protezionismo ed il debito estero aggrediscono l’ecologia e propiziano la distruzione dell’ecosistema.

Se si vuole salvare l’umanità da questa autodistruzione, bisogna distribuire meglio le ricchezze e le tecnologie disponibili sul pianeta. Meno lusso e meno sperpero in pochi paesi affinché si abbia meno povertà e meno fame su gran parte della Terra. Non più trasferimenti al Terzo Mondo di stili di vita ed abitudini di consumo che rovinano l’ecosistema. Rendiamo più razionale la vita umana. Applichiamo un ordine economico internazionale giusto. Utilizziamo tutta la scienza necessaria per uno sviluppo sostenuto senza inquinamento. Paghiamo il debito ecologico e non il debito estero. Scompaia la fame e non l’uomo.

Quando le supposte minacce del comunismo sono sparite e non rimangono più pretesti per guerre fredde, corse agli armamenti e spese militari, che cosa impedisce di dedicare immediatamente queste risorse a promuovere lo sviluppo del Terzo Mondo e a combattere la minaccia di distruzione ecologica del pianeta?

Cessino gli egoismi, cessino gli egemonismi, cessino l’insensibilità, l’irresponsabilità e l’inganno. Domani sarà troppo tardi per fare ciò che avremmo dovuto fare molto tempo fa».

[Fidel Castro, Conferenza ONU su ecosistema e sviluppo, 12 giugno 1992]

di Redazione Contropiano

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