• 20 Maggio 2019

La ridefinizione di un’identità della politica

Non è pensabile l’accettazione di ideologie totalizzanti, pervasive nell’assolutizzazione dei principi, tendenti ad una radicalizzazione che impedisce il confronto 

di Umberto Berardo

20 maggio 2019

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Già nel 1960 il sociologo americano Daniel Bell aveva segnalato che le teorie economiche, politiche e sociali dell’Ottocento e del Novecento non avevano più rilevanza per la società americana per la quale vedeva un futuro sempre più determinato dalla tecnologia.

È stato in ogni caso il politologo Francis Fukuyama nel volume “La fine della storia e l’ultimo uomo” a parlare del raggiungimento della cosiddetta società ideale fondata su un ordinamento liberaldemocratico, sulla globalizzazione e sulla fine delle ideologie come retaggi inutili del passato.

Ad un tale pensiero fanno riferimento anche in Italia movimenti sovranisti e populisti come la Lega e il Movimento Cinque Stelle che nell’alveo di un sedicente pragmatismo di una retorica antipolitica e antisindacale stanno eliminando ogni forma d’inclusione, egalitarismo e giustizia sociale con concezioni del tutto neoliberiste come quelle del “prima gli italiani”, della flat tax, della “legittima difesa” o dello stesso “reddito di cittadinanza” che sono davvero fuori dalla logica dell’eguaglianza tra gli esseri umani, del bene comune e della realizzazione dei diritti fondamentali previsti nella Dichiarazione Universale del 1948.

La pretesa della fine delle ideologie non si concilia né con la teoria del pensiero unico neoliberista che fonda la concezione dello Stato come guardiano degli interessi della proprietà privata né con movimenti di opinione neofascisti che mirano, come è palese, da posizioni tenute in diversi Paesi europei e ripetute in questi giorni in Italia a Milano e Roma, ad imporre con l’intimidazione e la violenza modi di pensare che appaiono chiaramente xenofobi, discriminanti e totalitari.

Che ci siano paradigmi e criteri di analisi della società ormai non più attuali, utili e adatti a definire i diversi aspetti del mondo in cui viviamo è sicuramente corrispondente al vero, ma da qui a parlare di un’epoca post ideologica ci sembra davvero inaccettabile.

In realtà la tecnocrazia e il mondo finanziario, detentrici del potere politico, del sapere e dei sistemi di comunicazione, hanno imposto un pensiero unico di difesa della proprietà con la cosiddetta politica dell’austerità che ha reso gli abitanti del Pianeta sempre più diseguali con una redistribuzione della ricchezza prodotta in mano ad una ristretta minoranza.

Il neoliberismo, impostosi come pragmatismo neopositivista, ideologia del mercato e supremazia del privato sul pubblico, sta procedendo in maniera spedita verso forme di presidenzialismo come allo smantellamento del welfare e alla inesorabile privatizzazione dei servizi sociali di ogni tipo a partire dai sistemi di comunicazioni fino ad arrivare a quelli di natura sanitaria.

Il risultato è il progressivo arricchimento delle classi abbienti e l’impoverimento di miliardi di esseri umani che ora in maniera planetaria cercano nuove speranze in un’emigrazione sempre più contrastata dalle classi dirigenti del mondo benestante che non potrà mai contrapporsi alla disperazione di chi cerca semplicemente il diritto alla vita.

Sicuramente non è pensabile l’accettazione di ideologie totalizzanti, pervasive nell’assolutizzazione dei principi, tendenti ad una radicalizzazione che impedisce il confronto e ogni istanza di revisione di valori, metodi e sistemi analitici ed operativi.

La cosiddetta fine delle ideologie è in realtà sfociata nel dominio incontrastato del pensiero unico capitalista che appare al momento senza opposizione alcuna perché non esiste alcuna forma politica di contrasto organizzato in grado di mettere in discussione l’assetto economico e sociale del mondo in cui viviamo.

Le ideologie non sono morte, ma oscurate totalmente da un pensiero neoliberista, antistorico e disumano che considera l’essere umano dalla sola angolatura economica ossia come strumento di produzione e di consumo che vale per la ricchezza posseduta piuttosto che per i valori autentici e la bontà che è capace di esprimere.  

La destrutturazione dei gruppi sociali, la dissoluzione della sinistra marxista storica e del gruppo di Paesi comunisti, come nuovi orientamenti culturali assuefatti alle logiche del potere impediscono forme di pensiero e di azioni socio-politiche in grado di orientare le masse verso quel pluralismo ideologico che solo può garantire in alternativa al sistema attuale la democrazia e la giustizia sociale.  

Ha ragione chi considera le ideologie un bisogno radicato nello spirito umano e sostiene la necessità di un’adesione ad esse per continuare a coltivare le utopie come fari in grado di aiutarci a costruire progettualità che, pur nella ricerca del bene assoluto, devono tenerci lontani dal male peggiore e sempre vicini al bene possibile.

Le ideologie in tal modo ci aiutano a razionalizzare sentimenti e impulsi e quindi ci guidano a persuadere, ma anche a dirigere la progettazione e l’azione.

Noi necessariamente siamo produttori di idee e teorie come modelli concettuali interpretativi ed organizzativi della realtà; dunque il ritorno ad esse come ridefinizione dell’identità della politica è una via obbligata purché abbiamo consapevolezza della loro relatività e non le assolutizziamo culturalmente, ma anzi riteniamo una necessità sottoporle a critica per non trasformarle in un sistema totalizzante.

Per evitare che venga meno nella società lo spirito dell’utopia occorre pensare a ideologie come sistemi di ricerca aperta al confronto democratico nella definizione di principi, metodi e obiettivi.

In altre parole non ci si può rifiutare di sottoporre le proprie opinioni al dibattito pubblico e al confronto dialettico se non si vuole che il proprio atteggiamento ideologico coincida con l’intolleranza.

La diversità e la pluralità delle opinioni sono garanzia di un cammino di ricerca e di condivisione di un orizzonte comune capace di orientarci al bene dell’intera collettività.

Per non assumere caratteri olistici la riflessione ideologica deve necessariamente aprirsi ad aspetti e caratteri pragmatici in grado di dare risposte ai problemi contingenti delle popolazioni.

Con l’affermarsi del pensiero unico neoliberista attraverso metodi sofisticati come la disarticolazione del tessuto sociale, la delocalizzazione della produzione, nuove forme dei servizi ma soprattutto la manipolazione mediatica della pubblicità e dei nuovi sistemi di comunicazione noi siamo sempre più succubi del potere tecnologico e finanziario che stanno progressivamente riducendo gli spazi di libertà, di democrazia e di giustizia sociale.

Ridefinire l’ideologia, che Antonio Gramsci chiamava una “nuova concezione del mondo”, significa anzitutto portare le masse a una presa di coscienza della situazione attuale lavorando politicamente non solo per obiettivi di medio termine, ma per definire la progettazione di un modello sociale alternativo in grado di rifondare gli assetti geopolitici di livello nazionale ed internazionale.

Rifondare la democrazia partecipata, sconfiggendo il potere plutocratico, dev’essere l’obiettivo fondamentale dell’azione politica.

Tutto questo non si potrà ottenere se non attraverso il rafforzamento di una cultura liberatrice e insieme popolare capace

di Umberto Berardo

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