La devota del Corpus Domini
I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre
di Vincenzo Colledanchise
5 giugno 2019
La moglie dello scarparo non la si vedeva mai nel vicolo. Mai.
Come un fantasma, rarissimamente e furtivamente, entrava nella piccola bottega del calzolaio e con voce flebile e incerta proferiva parole che solo il marito intuiva e capiva. Allora l’artigiano lasciava il desco e i suoi attrezzi e si avviava al vicino negozio per gli acquisti ordinatele dalla consorte che, a causa dei suoi mali fisici, non usciva mai di casa.
Il marito l’aveva presa per moglie per l’improvvisa sopraggiunta vedovanza, e seppure la poveretta era fin dalla nascita venuta su in maniera incerta, come la sua incerta postura, il calzolaio pur di avere una compagnia in casa, si mostrò sempre docile e tenero per quella donna mite e molto religiosa, perennemente vestita di nero, dal capo ai piedi.
Il mastro era venuto in paese da un paese vicino e, al contrario della sua consorte, era sempre di buon umore sfogando la sua gioia nel canto con la sua voce baritonale.
Non solo per questa ragione la sua bottega era molto frequentata dai paesani, ma pure per la sua arte offerta sempre a prezzi modici e congrui.
Una sola volta l’anno la moglie del calzolaio violava la regola non scritta della sua stretta e severa clausura domestica.
Ciò avveniva puntualmente nel giorno del Corpus Domini.
Fin dal mattino prelevava le sue magre e sbiadite piante di gerani dal balcone e le collocava sul selciato disponendole simmetricamente proprio davanti all’uscio della bottega, dove nel pomeriggio sarebbe passato in processione il Santissimo Sacramento.
Buttava una manciata di petali di rose e di ginestre lungo il perimetro di un consunto suo vecchio tappeto, lasciava scorrere lungo l’inferriata del balcone una sua coperta ricamata all’uncinetto in età giovanile e poi si riportava veloce a casa, dove, nascosta dietro la sua scura finestra, appena illuminata da una fioca lampadina votiva collocata allo scopo, attendeva ansiosa il solenne corteo eucaristico.
Abitando io di fronte alla sua finestra, avevo la possibilità di spiare tutti i suoi gesti, che mi incuriosivano molto, non solo per il modo solenne con cui li compiva per allestire la sua semplice infiorata, ma nella sua devozione annuale vi scorgevo qualcosa di liturgico, quasi mistico, che certamente era frutto di una grande fede e che, comunque, mi edificava molto.
Dopo il passaggio e l’ostensione del santissimo Sacramento, l’umile devota si segnava più volte, facendo trasparire una grande emozione che celava gelosa nel fazzoletto bianco tenuto stretto tra le labbra.
Riprendeva quelle sue cose in strada e riguadagnava felice la sua clausura domestica, che avrebbe violato puntualmente l’anno dopo solo in occasione del Corpus Domini.
(Foto: Processione del Corpus Domini a Toro, anni sessanta)
di Vincenzo Colledanchise