I tratti distintivi della cultura
Senza una definizione condivisibile è arduo determinare le connotazioni di cultura
di Umberto Berardo
29 ottobre 2019
Senza una definizione condivisibile è arduo determinare le connotazioni di cultura.
Non è facile in ogni caso esplicitarne il concetto, considerato che esso è variato come vedremo più volte nel corso della storia.
Attualmente l’enunciazione più chiara dello stesso ci sembra quella che ne vede gli elementi nelle cognizioni intellettive, nelle opinioni, nelle norme valoriali, nelle abilità, nelle attività, nelle tradizioni e nelle manifestazioni variamente acquisite attraverso processi di apprendimento, di ricerca e di confronto che permettono a un individuo di essere parte attiva di una collettività della quale si riconosce membro.
È questa una definizione che contiene in sé la nozione di un processo di crescita che non avviene per via genetica ma sul piano sociale e ci permette di formarci in tutti gli aspetti della personalità e di diventare colti.
Si tratta di una concezione allo stesso tempo pragmatica e antropologica che definisce aspetti materiali, immateriali, individualistici e sociologici della cultura che caratterizzano la vita di una collettività in una precisa epoca.
Cultura in sintesi è la sedimentazione individuale e collettiva di un patrimonio di sapere, di esperienze, di abilità, di codici comportamentali, di valori etici che costituiscono una visione identitaria condivisa dell’esistenza e del modo di viverla.
In Grecia con la Paideia, nella civiltà romana con l’Humanitas, ma anche con l’Umanesimo, soprattutto nel XV secolo, la cultura assume accezioni fondamentalmente aristocratiche ed elitarie con forti tratti di distinzione sociale che saranno superati solo a partire dall’Illuminismo e successivamente con la trasmissione del sapere attraverso le nuove forme della scuola, dei mass media e delle tecnologie multimediali.
Una sua divulgazione sempre più diffusa contribuisce sicuramente ad evitare chiusure e steccati aprendo a un confronto di natura critica capace d’innovare, ma anche di evitare omologazioni, etnocentrismo, assolutismi, modelli dominanti, processi di acculturazione e derive xenofobe.
L’antropologo britannico E. B. Tylor nel suo saggio “Primitive culture” del 1871 ha dato una prima definizione articolata, scientifica e non più solo umanistica del tema di cui ci occupiamo, ma si è conservata in molti studiosi ancora l’idea di una cultura al singolare, diversificata, relativa a uno specifico contesto storico ed espressione di gruppi e popoli particolari.
Tale concezione, da taluni manipolata ideologicamente, ha portato ad immaginare una gerarchizzazione delle culture stesse sostenendo non solo che ne possano esistere alcune superiori ad altre, ma persino che si possa avere la loro inesistenza presso alcuni popoli definiti perciò “primitivi” o “barbari”.
Classificazioni analoghe e inaccettabili rischiano di avvenire quando il lemma in questione si associa ad aggettivi quali “elevata”, “popolare”, “massificata”.
È evidente invece che di fronte ad una cultura egemone, per dirla con lessico gramsciano, è del tutto plausibile che possano esistere delle subculture o controculture che identificano gruppi specifici di soggetti i quali intendono affermare principi, valori e sistemi esistenziali diversi da altri insiemi di cittadini.
Il concetto di cultura richiede in tal modo un’estensione che permetta sempre il riconoscimento dell’identità culturale di ogni società.
Siamo, come si può intuire, di fronte al concetto di pluralità e dinamicità culturale in una prospettiva di confronto, d’indipendenza reciproca e di rispetto, ove possibile, tra le varie culture per costruire quelli che alcuni antropologi chiamano “gli universali culturali”.
Sosteniamo questo perché evidentemente all’interno della multiculturalità per un confronto costruttivo occorre verificare che ogni cultura abbia nei propri caratteri il rispetto per la dignità e i diritti di ogni essere umano non solo a livello di dichiarazioni ma di comportamenti; accade molto spesso infatti che le dimensioni soggettive o collettive delle scelte nelle azioni possano contraddire i valori idealmente prescritti e quanto affermato perfino nelle Carte costituzionali dei propri Paesi come sta avvenendo ad esempio oggi in molti Stati dell’Europa nei confronti dei richiedenti asilo.
Occorre in altre parole che la condotta di un popolo sia sempre rispettosa della cultura di appartenenza e dei bisogni di chi viene discriminato o menomato nei diritti da condizioni di ingiustizia come lo sfruttamento e la sopraffazione .
Pur nella difesa doverosa dei principi ritenuti validi per l’ispirazione di un’esistenza libera e democratica, tuttavia vorremmo riflettere come i criteri dello schiacciamento e dell’opposizione tra diverse concezioni non possono che generare contrapposizioni di un radicalismo pericoloso sul piano della convivenza facendo regredire quest’ultima in una difesa assurda dell’idea di superiorità che talora può diventare una forma di colonialismo culturale.
Aspetti di natura ambientale, geografica o sociale possono influenzare e perfino plasmare una cultura, ma non la determinano essendo essa configurata storicamente ma necessariamente aperta in piena libertà ad un’evoluzione in un processo di crescita a contatto con altre realtà.
È per questo che un’analisi antropologica va fatta sulle singole culture nella loro identità e autonomia che costituisce quello che potremmo definire oggi un modello culturale, come sostiene giustamente l’inglese Bronislaw Malinowski, perché esse si formano e si evolvono a suo giudizio per aiutare l’uomo a soddisfare i bisogni, ma è necessario anche che lo studio si allarghi sulla loro relazione per ricercare l’esistenza di elementi comuni all’interno del cosiddetto relativismo culturale.
Ciò che distingue i diversi modelli normativi è costituito sicuramente dai sistemi di valori che ne sono alla base.
Nessuno può sottrarsi al processo d’inculturazione nella propria società, ma dev’essere anche capace di aprirsi a interrelazioni con il multiculturalismo.
Ogni cultura ha una lunga storia e un considerevole grado d’integrazione di elementi interconnessi determinati dai patrimoni precedenti di conoscenze, ma anche dagli apporti e dalle relazioni di quanti contribuiscono a formarla e ad evolverla.
È per questo che la sua rilevanza affonda nei valori corrispondenti che non possono essere mai predeterminati, ma prodotti dalla ricerca continua del bene e del vero fino a diventare costume quando vivono nella partecipazione collettiva.
La relatività delle culture, legata ai gruppi umani che le elaborano, non comporta che norme o valori pure molto diffusi possano avere un riconoscimento globale perché potrebbero avere a fondamento idee negative e discriminanti come tante volte abbiamo potuto rilevare storicamente.
In realtà le culture possono incontrarsi su quei fondamenti di universalità quale ad esempio può essere la condanna della violenza, della falsità, del tradimento, del latrocinio, della corruzione.
Si tratta di elementi che potremmo definire valori planetari o modelli culturali condivisi.
Nelle culture particolari e in quella immaginata come una totalità organizzata o da organizzare crediamo che gli elementi fondamentali debbano essere il rigore metodologico e scientifico, il carattere democratico e la condivisibilità.
Uno dei pericoli in questa direzione è che un’antropologia da web di quel mondo sovrastrutturale costituito dai social network possa, nella logica dell’uno vale uno, imporre una costruzione della cultura non più per opera di ricercatori, esperti, studiosi o intellettuali ma semplicemente di spot spesso senz’anima e senso che imperano in una sorta di mondo parallelo a quello reale e che hanno la pretesa di dettare ideali e norme di comportamento spesso rozze e fuori da ogni logica di umanità.
Fuori da un appiattimento sull’immagine e sull’apparenza a tutti i costi dobbiamo recuperare ciò che può dare significato e autenticità all’esistenza.
Il compito di ogni persona e quindi di ciascuno di noi allora è quello di stare dentro il processo di creazione della cultura verificando che essa abbia fonti non istintive, ma razionali e controllabili perché essa possa essere sempre più libera nelle dinamiche di evoluzione e garante dei diritti individuali e collettivi.
di Umberto Berardo