Democrazia dei territori
Le aree interne italiane, delle quali il Molise rappresenta l’emblema, hanno bisogno di contare di più e di essere considerate
di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)
5 novembre 2019
La democrazia riguarda i cittadini, la loro sovranità come entità collettiva (il popolo) e il loro bisogno di rappresentanza e di partecipazione. Ma i cittadini vivono nel territorio, che si tratti di città o di campagna, di paesi o di coste, di pianure o di aree interne; dunque anche i territori hanno bisogno di rappresentanza e di partecipazione. Nello scenario di crisi delle democrazie contemporanee questi due elementi – rappresentanza e partecipazione – costituiscono anche un modo per superare l’antitesi storica tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Il cosiddetto “taglio dei parlamentari”, riforma costituzionale recentemente approvata dal Parlamento, avrà inevitabilmente un impatto negativo sulla rappresentanza delle zone a bassa densità demografica, impoverendo la democrazia territoriale.
Le aree interne italiane, delle quali il Molise rappresenta l’emblema, hanno bisogno di contare di più e di essere considerate non soltanto su base demografica. Devono essere considerate per quello che hanno, non per quello che manca, per il valore del loro patrimonio territoriale e per i servizi ecosistemici che offrono all’intera società. Si tratta di una grande porzione di territorio (oltre il 60 per cento della superficie nazionale) dotate di risorse e capitale naturale in termini di ricchezza di cultura, paesaggi, ecosistemi e biodiversità. Zone che possono essere metaforicamente considerate come la spina dorsale della nostra Penisola e nello stesso tempo i suoi polmoni. Sono una grande questione nazionale, accentuata dagli effetti della natura imprevedibile e dell’umana imprevidenza. Si tratta tuttavia di territori sempre molto belli grazie all’opera della natura e alle impercettibili, lente ma continue modificazioni che l’uomo vi ha apportato nel tempo, duri e dolci al tempo stesso, rugosi ma fragili e vulnerabili, esposti agli eventi e alle dinamiche ambientali. Essi sono patrimonio delle comunità che vi risiedono e di quelle che, più o meno consapevolmente, ne beneficiano ampiamente a valle e nelle zone urbane. Sono aree con problemi demografici, ma fortemente policentriche e con un diffuso patrimonio storico-territoriale, che mostrano in certi casi prospettive dinamiche di ripresa che devono essere conosciute, incoraggiate, emulate, rappresentate.
Dal punto di vista istituzionale le aree rurali e interne dell’Italia hanno già subìto il pasticcio della riforma delle province, quella delle comunità montane, la riduzione del numero dei comuni attraverso dissennati processi di fusione, tutti provvedimenti che hanno finito per privarle di un presidio territoriale di riferimento. Con la diminuzione del numero dei parlamentari e la ridefinizione dei collegi elettorali le zone rurali riceveranno il colpo di grazia, vittime di una democrazia impoverita, che sta pericolosamente virando verso una postdemocrazia dai tratti poco rassicuranti. La riforma, che taglia linearmente il numero di deputati (da 630 a 400) e di senatori (da 315 a 200), ha trovato consensi sia nelle forze di maggioranza che in quelle di opposizione, tutte apparentemente allineate sulla demagogica necessità di risparmiare, pur sapendo che abbassare i costi della politica non vuol dire ridurre la democrazia: bastava ridurre gli stipendi di deputati e senatori, governatori e assessori regionali, ed eliminare i privilegi. Sono questi che trasformano il ceto politico in casta. Con questa riforma ne avremo una più ristretta e più ricca, praticamente una oligarchia.
Giustamente il presidente degli Agricoltori Italiani (Cia), Dino Scanavino, ha fatto rilevare questo rischio di ulteriore marginalizzazione del mondo rurale, evidenziando anche una sorta di schizofrenia che sembra guidare la politica italiana: in un periodo in cui si è lanciata la Snai (Strategia nazionale per le aree interne), in cui si è fatta la legge per sostenere i piccoli comuni, in cui va di moda assegnare ai luoghi marchi di qualità e bandiere (blu per le località balneari, arancione per quelle dell’entroterra, ecc.), al tempo stesso si sceglie di renderli sempre più “periferia dell’impero”. Forse, nell’ autoreferenzialità della politica e nella distrazione dei media, per i comuni delle aree interne, l’unica bandiera possibile resterà quella bianca, la bandiera della resa, con i paesi più sperduti, sulla soglia dell’estinzione e dello spopolamento, che nel disegno dei nuovi collegi elettorali verranno penalizzati in favore dei candidati dei centri urbani e non avranno più alcuna rappresentanza parlamentare. Non importa se queste zone rappresentano un’importante infrastruttura sociale ed economica del Paese, probabilmente anche quelle dove potrebbe essere possibile sperimentare nuovi modelli di sviluppo.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di ridare voce ai territori che l’avevano perduta. Invece qui si va ancora in direzione ostinata e contraria, riducendo addirittura la rappresentanza parlamentare. Così alla marginalizzazione economica si aggiungerà anche la marginalizzazione politica, con conseguenze negative sulla uguaglianza dei diritti e delle opportunità che costituisce uno dei tratti fondativi della Costituzione Italiana.
di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)