Il caciocavallo e i formaggi PAT e DOP del Molise
La produzione per eccellenza del territorio molisano è quella casearia
di Barbara Serafini (da fremondoweb.com)
16 gennaio 2020
Il Molise ci offre paesaggi naturalistici importanti e dominanti, elementi attorno ai quali negli anni si è costruita d’identità della regione. Il Trigno, il Biferno, il Volturno, il Fortore sono fiumi dai nomi forti e aspri, che seguono importanti percorsi e scavano il paesaggio del Subappennino. Le zone più montuose del massiccio del Matese, e i tratturi simbolo della transumanza, con il percorso pastorale e di greggi che scendevano verso la Murgia, sono i simboli chiave del Molise. Ed è proprio il vivo ricordo della transumanza che dà una forte presenza di animali bovini e ovini, indispensabili per la produzione per eccellenza del territorio molisano che è quella casearia.
In questa terra di tradizioni, si sono conservati intatti alcuni “culti” gastronomici che tendono a sopravvivere su tutti gli altri e che non scompaiono. Generazioni e generazioni di famiglie, pastori, allevatori e contadini danno vita a meravigliose prelibatezze presenti sulle tavole di tutta Italia e non solo. I caseifici sono moltissimi proprio perché figli di questa antica tradizione della pastorizia e molti sono gli allevamenti anche se buona parte di questi si trovano a quote altissime, che possono superare anche i 1.200 metri, e nel periodo invernale chi vi lavora non conosce soste, riposi, ferie: il freddo e la neve non aiutano, certo, eppure il lavoro procede senza fermarsi. Le aziende agricole che conferiscono le materie prime ai caseifici si occupano prevalentemente di fornire latte non pastorizzato garantito e la maggior parte degli allevatori ha superato una certa età, con la speranza che i giovani non si discostino del tutto da queste tradizioni e che riescano a portarle avanti.
Caciocavallo, pecorino, caprino, scamorza sono le eccellenze della tavola della regione Molise. Sono molti i formaggi della regione ad aver avuto il riconoscimento PAT, marchio dato a quei prodotti le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura sono consolidate e protratte nel tempo, secondo le regole tradizionali. La sigla vuol dire Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani e questi prodotti sono profondamente radicati al territorio di produzione dato che ne ereditano caratteristiche particolari che li rendono unici nel loro genere, diversi e quindi riconoscibili da ogni altro prodotto simile.
Il re per eccellenza dei formaggi molisani, a cui scherzosamente si dà anche il titolo di Sua Maestà, è il caciocavallo, uno dei formaggi tipici del sud-Italia, che in Molise, in particolare ad Agnone, Carovilli e Vastogirardi, viene prodotto in maniera eccellente. Fa parte della famiglia dei burrini, tipici formaggi del Sud Italia, profotti con latte vaccino e avente un cuore di burro. Ottenuto dal latte dei bovini che solitamente vengono lasciati pascolare allo stato brado nei campi, prende il suo nome proprio dalla sua tecnica di stagionatura: infatti, in questo periodo che va dai tre mesi ai due anni, viene appeso sempre in coppia, a cavallo di una trave. Ha la forma di una grossa pera, con due corpi tondeggianti uniti da una strozzatura nel punto di appoggio sulla trave, con una crosta sottile e dura che può essere più o meno morbida in base al periodo di stagionatura, in ambienti con temperatura costante e ricambio d’aria: se stagiona di meno il colore è nocciola e risulta più morbido e dal sapore dolce, se la stagionatura si protrae, nel tempo la crosta può apparire variegata con muffe e il risultato è un formaggio più duro dal sapore più deciso. È fatto a pasta filata, lavorata con le mani e acqua calda, con l’aggiunta di caglio, fermenti lattici e sale ed è proprio il caratteristico e antico utilizzo delle mani e non della macchina a renderlo morbido e meno gommoso. Il caciocavallo è un elemento immancabile in ogni scampagnata molisana che si rispetti, e oggi come oggi è nei primi posti tra i souvenir scelti dai visitatori del territorio molisano. È spesso cucinato alla brace con la sua testa riempita di sale o impiccato, come secondo piatto ma è onnipresente anche nei piatti degli antipasti. La presenza di piante aromatiche nella zona in cui si è nutrito l’animale caratterizza le sue note aromatiche e i suoi profumi. Si può trovare quello a erba e quello a fieno, in base al formaggio fatto col latte dei bovini che hanno mangiato erba o fieno, di cui durante la stagionatura il formaggio prenderà l’odore.
Salendo verso le montagne molisane, come quelle del Matese o andando verso Capracotta, ci si imbatte in un altro tipico formaggio della zona: il pecorino, anch’esso derivante dall’antica tradizione della transumanza. Il Pecorino del Matese PAT è un formaggio da considerarsi duro sia per la sua crosta che per il suo interno compatto e con rare occhiature che lacrimano e viene prodotto con latte di capra e di pecora, particolarmente nei mesi che vanno da aprile a settembre. Ha forma cilindrica, con una spessa crosta marrone. Solitamente, anche per questo formaggio la produzione è fatta a mano, o al massimo con strumenti manuali in legno. Il periodo della stagionatura è simile a quello del caciocavallo e la maturazione avviene in luoghi freschi e areati, e le forme in questo caso vengono riposte su ripiani di legno e lavate quotidianamente. Anche in questo caso, il periodo di stagionatura è fondamentale per il gusto stesso del formaggio: ha un sapore fragrante quando è poco stagionato, più inteso invece con il passare del tempo. Il Pecorino di Capracotta PAT, prodotto anche nei territori di Agnone, Carovilli, Vastogirardi, San Pietro Avellana e Pescopennataro, tutti in provincia di Isernia, situati a oltre 1000 metri di altitudine, è molto simile al pecorino del Matese, anche nelle dimensioni, ma delle differenze si possono trovare nella pasta: in questo caso è semidura e untuosa, con un sapore pieno e aromatizzato, e se molto stagionato, piccante e deciso. Si usa solo il latte di pecora, niente capra, e la sua produzione comincia già da marzo. Più la sua forma è piccola più il suo sapore è intenso, perché la pasta è ridotta rispetto alla crosta che in questo caso è color nocciola chiaro. Quando la pasta viene lavorata e messa in forma e pressata per essere liberata dal siero, viene rovesciata molte volte in modo da dare a tutta la superficie del formaggio il motivo rigato del contenitore. Anche nel caso del pecorino, i caseifici ne producono diverse varianti aggiungendo pepe nero, peperoncino, pomodori secchi, olive o tartufo.
A proposito di latte di capra, il formaggio caprino è prodotto in tutto il territorio regionale ma particolarmente rinomato è quello di Montefalcone del Sannio. Il latte è ottenuto da razze autoctone, dove l’allevamento delle capre, riunite in grossi greggi nei pascoli montani, ha ancora particolare rilevanza per l’economia locale. La stagionatura avviene in cantine e luoghi freschi e areati usando la “cascera”, un particolare utensile di legno che viene appeso al soffitto e dove vengono collocate le forme per almeno un paio di mesi. Il suo odore può cambiare in base alle particolari alimentazioni dei pascoli, quindi il sapore particolare del formaggio lo si deve per lo più alla flora locale.
La Treccia PAT di Santa Croce di Magliano, in provincia di Campobasso, è un formaggio a pasta filata dall’aspetto imponente ed è considerato alla stregua di una vera e propria opera d’arte: larga una ventina di cm e lunga circa un metro, ha l’aspetto di una grossa treccia realizzata con vari fili, strisce sottili di circa mezzo centimetro. Ottenuta da latte vaccino crudo, si tratta di un formaggio a pasta filata che inizialmente è di colore bianco che tende a diventare giallo dopo un giorno. La Treccia viene usata come ornamento durante la festività della Madonna dell’Incoronata che si svolge l’ultimo sabato di aprile, periodo in cui solitamente cominciava la transumanza. Ė una festa che richiama molto le antiche usanze pastorali: i pastori e gli animali che ricevono la benedizione del parroco, per auspicare la benedizione anche del Santo patrono del paese, San Giacomo, la portano a tracolla o attorno al collo. Alla fine della processione, i pastori prendono le trecce di formaggio, le tagliano a pezzi e le danno alle varie famiglie del paese, quale simbolo di condivisione. Questo rito è stato decantato, nei primi anni del Novecento, in una poesia in dialetto del poeta Don Raffaele Capriglione. Nel Comune di Santa Croce di Magliano se ne producono circa 1000 kg all’anno.
La stracciata di Agnone del caseificio di Franco Di Nucci, da cui si rifornisce anche il Papa e la Città del Vaticano, è stato eletto Miglior formaggio italiano all’Italia Cheese Award di Bergamo nel 2017, ed è un formaggio a pasta filata fatto con latte vaccino. La pasta, di colore bianco avorio, viene lavorata con una paletta di legno, con movimenti di stiratura e pressione e modellata con le mani. Dopo circa dieci minuti di filatura, viene formata a mano in lunghe strisce di forma appiattita che dopo vengono raffreddate in acqua e ripiegate su se stessa, per dare al prodotto la sua forma. Il nome deriva dal verbo “stracciare” che è appunto l’azione fatta per la realizzazione di questo formaggio. In passato, la stracciata era immancabile nei banchetti nuziali e negli eventi importanti, anche in quelli casalinghi nei quali, tra le altre cose, non mancava mai il pane con prosciutto e stracciata.
La scamorza, formaggio molto comune in Italia e che in Molise ha un’intensa produzione in tutto il territorio regionale, specialmente in Alto Molise la cui produzione è davvero pregiata, è composto da latte vaccino di razza Bruno-alpina. Ha una forma a pera e la sua crosta appare come una liscia pellicola morbida di colore giallo paglierino, la pasta è compatta e profuma di latte, dal sapore dolce e talvolta di fumo in caso di esposizione a esso e presenta sempre il latticello. La metodologia di lavorazione è la stessa del caciocavallo e dopo aver preso la sua forma, la scamorza viene appesa e legata a coppie per qualche ora, qundi si consuma subito oppure si lascia “passire” per 48-72 ore, prendendo appunto il nome di passita. Si può consumare cotta alla brace e servita con pane casereccio e verdure ed è particolarmente versatile in cucina, impiegata come ingredienti in preparazioni gastronomiche come pizza, tortini di verdura e parmigiana di melanzane, rendendo filanti e gustosi primi e secondi piatti. Una volta veniva destinata solo al consumo locale, mentre oggi viene valorizzata e venduta anche al di fuori della zona di produzione essendo un eccellente prodotto.
Il formaggio di Pietracatella viene prodotto con latte intero vaccino e/o ovino e/o caprino nel Fortore molisano, in particolare nel Comune di Pietracatella, in provincia di Campobasso. Ha una crosta con le solcature tipiche del canestro e viene fatto stagionare nelle vecchie case e in grotte di tufo, dette mogie, per almeno un paio di mesi.
Il caciosalame ha origini più recenti ma nasce dalla memoria del nostro passato. La pasta di caciocavallo avvolge una soppressata e ravviva nelle nostre menti le storie e le vicissitudini degli emigranti italiani del secondo dopoguerra: nascondevano nel formaggio il salame soppressata per superare i rigidi controlli doganali a cui venivano sottoposti per raggiungere i Nuovi Mondi.
A parte i prodotti PAT, meritano un’importante menzione fiordilatte e mozzarelle, tradizione antica nella zona molisana di Bojano. Qui si incrociano le correnti d’aria calda, i venti di montagna e il vapore che viene dal fiume Biferno, dando origine a un ambiente molto umido, habitat perfetto per la lavorazione della mozzarella. La mozzarella di Bojano è spesso realizzata a mano, con tecniche e accorgimenti tramandati da generazioni. È un prodotto che nasce esclusivamente da latte vaccino e acqua. È amata da tutti, adulti e bambini, gustata al naturale o al massimo con l’unico condimento ammesso che è un filo di olio extravergine d’oliva. Viene molto utilizzata anche in cottura, come si fa con le suddette scamorze, per timballi, paste al forno, pizze e tante altre bontà.
Se ci spostiamo ai confini con la Campania, la terra per eccellenza della rinomata Mozzarella di bufala, vi è una particolare produzione della stessa seppur trovandoci in territorio molisano, prodotta con latte intero e fresco di bufala mediterranea italiana. Se a quella campana è stata conferita la qualità DOP, anche la mozzarella di bufala molisana, in particolare quella di Venafro, è entrata di diritto a far parte di questo conferimento dato che la sua produzione ha visto coinvolti anche allevatori e produttori molisani che hanno rispettato il disciplinare di produzione perché il prodotto finito avesse tutte le qualità necessarie per continuare a essere una vera eccellenza del panorama agroalimentare italiano. Come mangiare la mozzarella di bufala è scelta di chi la assapora: da sola, in mezzo a due fette di pane, con un’indalata caprese, ma solitamente cruda e mai nei ripieni. Unica raccomandazione, sacra per gli amanti della mozzarella di bufala campana: mai conservarla in frigorifero, piuttosto conservarla a temperatura ambiente nel suo latticello. Buon appetito!
di Barbara Serafini (da fremondoweb.com)