Il Molise sotto attacco. Resterà ancora un’isola felice?
Coronavirus: in Molise un incremento del 10%!
di Alberto Tarozzi (da alganews.it)
12 maggio 2020
Fino a giovedì quasi non esisteva, il Molise, nelle mappe del Ministero che segnalano dove si annida il covit. Isernia quasi ignorata dal virus. Campobasso un giorno un solo caso e l’altro giorno zero, come altre zone d’Italia da sempre o da tempo “virtuose”: Basilicata, Valle d’Aosta, Calabria.
Fino a ieri, nel pomeriggio, quando i bollettini hanno segnalato improvvisamente oltre venti casi in più, un incremento del 10%, da ricordare la Russia o il Brasile. Oggi la replica, altri 20 casi, in un’Italia in cui la curva dei contagi è scesa ben sotto l’1% e la gente comincia a guardare al futuro con l’ottimismo della volontà.
Che cosa sia successo nei dettagli non lo sappiamo, ma l’evento zero, da cui tutto ha tratto origine, è fuori discussione. È morto uno zingaro, è morto di cancro, qualche giorno fa. I contagiati avevano avuto a che fare con lui o comunque coi suoi parenti. Forse, tra di essi, qualcuno che era portatore di un virus contratto da un parente oggi in Lombardia. Solo supposizioni.
In ogni caso le sue ultime ore di vita e le prime successive al decesso erano state occasione di incontro per gli zingari di Campobasso. Forse per recargli un ultimo saluto, ancora in vita, forse per una veglia funebre. Più probabile per l’occasione del suo funerale. Ci si domanda anche se i vigli non siano intervenuti con la necessaria fermezza per fare rispettare il distanziamento. Per certo i contagi sono avvenuti, numerosi. In larga parte asintomatici o fonte di malattia in forma leggera. Ma la macchia d’olio rischia di espandersi. La comunità rom è fatta di famiglie numerose e di famiglie allargate dove l’infezione più si propaga. Inoltre il rom è nomade. Anche se stanzializzato da tempo, come a Campobasso, la sua propensione al muoversi è più elevata della media e con lui il virus maggiormente si sposta e ne ricava maggiori possibilità di colpire su scala allargata. Forse c’è ancora il tempo per stoppare la diffusione. Ce lo diranno i prossimi giorni.
Per noi, che bene conosciamo quelle stradine abitate dagli zingari, è una sensazione strana. Non è solo il dolore per una città ferita. E’ la percezione che si sia potuto rompere l’incantesimo di un luogo in cui gli zingari avevano raggiunto una collocazione diversa, da quella registrabile in altri angoli d’Italia. Nessuna idealizzazione, per carità. Anche lì pregiudizi da un lato e volontà di separatezza dall’altro, ma con qualcosa di diverso. Bastava passeggiare per via Sant’Antonio Abate, dalle parti di Fontanavecchia e qualcosa ti saltava agli occhi.
Non potevi fare a meno di cogliere la scomparsa di una distinzione tra spazi pubblici e spazi privati. Quelle seggiole piantate sul marciapiedi, con le donne e i vecchi a chiacchierare, ti facevano subito capire che lì eri a casa di qualcuno, anche se te ne stavi in mezzo alla strada. Se qualche amico mi veniva a trovare, in Molise, cercavo sempre di farlo transitare per quei luoghi di una semplicità irripetibile, sceneggiatura di un film della vita che sarebbe piaciuto a Wim Wenders.
Ora mi viene in mente quanto sia probabile che sia stato proprio quella socialità non rinunciabile, un fattore di rilievo nel determinare atti da cui ha tratto origine la diffusione del contagio. Il non sapere rinunciare a una stretta di mano. Il provare come un dovere la presenza al fianco dell’amico in lutto. Niente retorica, per favore, lo dico in primo luogo a me stesso. Si è comunque trattato di qualcosa che si doveva assolutamente evitare. Per rispetto delle regole e del senso civico. Ma di fronte a coloro che infrangono le regole nel nome di un diritto a farmi i cazzi miei, non me la sento di mettere sullo stesso piano le colpe di chi quelle stesse regole ha violato per avere cura di qualcuno che gli era amico.
Le conseguenze sono le stesse, purtroppo. Maledetto coronavirus, che mette sullo stesso piano le conseguenze dell’egoismo e quelle imputabili agli atti di affetto.
Coraggio Molise, questi due giorni sono passati all’insegna del terrore, ma forse sarà ancora possibile circoscrivere l’incendio.
di Alberto Tarozzi (da alganews.it)