Un vigneto distrutto
Al primo stupore incredulo della scoperta si mischia un sentimento di rabbia e un dolore tutto fisico
di Lorena Di Maria (da italiachecambia.org)
18 novembre 2020
“Mal comune, mezzo gaudio”, così recita un detto popolare ad indicare che un dolore, un dispiacere, una disgrazia, uno dei tanti intralci che la vita comporta, se condiviso con altri, appare più lieve. La solidarietà collettiva, la condivisione può lenire l’affanno e togliere un po’ di amarezza rendendo più tollerabile ciò che appare troppo difficile da affrontate da soli, il male che ci ha colpito al cuore.
Una bella mattina di autunno mentre ci apprestavamo all’attività che più di ogni altra è attesa e sospirata, come premio di un anno di lavoro e di sacrificio, la scoperta più dolorosa: viti atterrate, pali divelti, lo scheletro del vigneto distrutto, l’uva calpestata.
Al primo stupore incredulo della scoperta si mischia un sentimento di rabbia e un dolore tutto fisico che solo chi conosce il profondo legame che unisce un vignaiolo alla sua terra può intuire; trent’anni di storia aziendale se ne è andato così per un gesto inspiegabile carico di incuria o invidia o, peggio, di un più profondo, temibile significato, un annuncio di un male più grande che incombe come un’ombra impalpabile ma oscura sulla nostra realtà, un fare capolino lentamente nei nostri tranquilli giorni, qui nella regione che tutti dicono che non esiste e che, invece, non è affatto immune da fatti come questi, già accaduti in altre proprietà, distanti solo pochi chilometri dalla nostra, nell’arco temporale angusto dell’ultimo mese.
Fa male. Fa male il silenzio assoluto delle pubbliche istituzioni, il silenzio dei sindacati di categoria, l’indifferenza dei consorzi nati per finte tutele, l’assenza di tanti “Colleghi” produttori e associazioni dell’enogastronomia, quelli che hanno sempre l’amore per il territorio sulla bocca e si professano profeti del nuovo sviluppo salvo poi chinare la testa e tacere, magari pensando che, per fortuna, non è capitato a me.
Fa male il silenzio di chi pensa che lasciar correre sia la strada migliore, che possiamo difenderci abbassando, ancora e sempre, la testa in modo che nessuno ci noti, che, magari, in poco tempo l’intera vicenda, se non la si rimesta, perderà di interesse anche nelle chiacchiere degli avventori davanti ai bar.
E allora il Molise davvero non esiste, non esiste perché vogliamo e ci fa comodo così, perché esistere significherebbe alzare la testa e affrontare vicende come questa a viso aperto, chiamare le cose con il loro nome e sapersi schierare apertamente dimostrando solidarietà con azioni e scelte concrete.
Scelte che difendano il nostro territorio e la nostra onesta gente da quanti vogliono spaventarci o asservirci o depredarci, assumendosi la responsabilità di questa difesa.
Per amore della nostra terra noi non ci rifugiamo dietro a banali e facili proclami, ringraziamo di cuore i veri amici che ci hanno soccorso, rialzato e sostenuto, ma rifiutiamo, ancora e sempre, il “gaudio del mal comune” e scegliamo consapevolmente di denunciare il male ricevuto.
Senza paura, ad alta voce.
di Cantine D’Uva (da lafonte.tv)