• 13 Gennaio 2021

Quasi un ingorgo di beni ambientali

È quanto si verifica nell’alta valle del Trigno tante sono le peculiarità storiche e naturalistiche

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

13 gennaio 2021

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A Pietrabbondante vi è uno dei più importanti siti archeologici molisani. Quello di Pietrabbondante è stato uno dei santuari più celebri dell’antichità. Esso era la meta di pellegrinaggi religiosi, ma anche luogo delle adunanze delle tribù italiche, quindi di pellegrinaggi, per così dire, civili. È situato a m. 966, in una posizione dominante sulla confluenza tra Trigno e Verrino; verso l’alto, invece esso è in linea con il monte Caraceno (o Saraceno), nella cui parte sommitale vi sono le mura ciclopiche a protezione di un insediamento sannitico che in seguito divenne un accampamento dei saraceni i quali da qui dovevano partire per le loro scorrerie.

Non è un argomento secondario, parlando del sito archeologico altomolisano, quello della topografia perché è stata questa, sicuramente, a spingere alla disposizione delle strutture che compongono il complesso monumentale in senso assiale. Si tratta, in effetti, di un’unica opera architettonica piuttosto che di due distinte, il tempio a monte e il teatro a valle, tanto sono compenetrate tra loro; dall’orchestra si vede la facciata del templio il quale sovrasta il teatro non solo perché è a una quota superiore, ma pure per il fatto che è posto su un alto podio.

È un impianto dotato oltre che di assialità, di simmetria e ciò rivela una matrice classicista nel disegno dell’insieme. Si avverte chiaramente l’influenza ellenistica della vicina Magna Grecia con la quale la nazione sannita prima della sua sottomissione a Roma era entrata in contatto; nel medesimo periodo nel Sannio emergeva una classe dominate, una sorta di aristocrazia, sia militare sia intellettuale, capace di assimilare la cultura e l’arte della più avanzata civiltà campana. Sono di grande interesse, siamo passati a Salcito, anche i geositi che ricadono in quest’area.

Uno dei simboli più forti del paesaggio molisano, orgoglio non esclusivamente del Molise centrale, bensì dell’intera regione è la Morgia dei Briganti che sta nel perimetro comunale di Salcito. La geomorfologia qui da noi dà luogo a volte a manifestazioni spettacolari come il circo glaciale sulla cima di monte Miletto, la forra del Quirino e le morge del Parco delle Morge in cui rientra quella in questione. La Morgia dei Briganti (o di Pietravalle dal nome del bosco ai cui margini ricade) presenta diverse cavità, tutte poco profonde che sono state condivise nel tempo, è da ritenere non contemporaneamente, da pastori, eremiti e briganti, le stesse grotte o grotte distinte e magari antri a quote diverse.

Gli uomini primitivi vivevano in grotte e, perciò, si può presumere una continuità d’uso di tali cavità a partire dall’età preistorica fino ad un’epoca recente perché in zone di montagna, come lo è l’agro di Salcito, i pastori hanno sempre sfruttato le cavità quali rifugi.

La grotta evocando quella dove è nato Gesù ha anche un significato sacro, vedi la chiesetta rupestre di Pietracupa. C’è da aggiungere tre cose: la prima è che le morge non costituiscono emersioni della roccia di cui è formato il sottosuolo dell’ambito territoriale che la comprende, al contrario sono spuntoni rocciosi isolati, infissi in un “mare” di terreno argilloso, la seconda è che alcuni paesi del medesimo comprensorio di Salcito sono sorti sulle morge per ragioni difensive, Pietracupa, Bagnoli e Pietrabbondante, dove gli affioramenti lapidei nell’area urbana condizionano la conformazione urbanistica (con pericolo di crollo, come è successo a Pietrabbondante a causa delle scosse sismiche del 1984, di porzioni delle rupi calcaree che incombono sull’abitato), la terza è che nelle morge, per via della scarsa frequentazione antropica, allignano specie vegetali rare tali da farle includere nei Siti di Importanza Comunitaria.

A volte, colme succede a Bagnoli con la taverna di Sprondasino, è pregnante il luogo pur se ormai sono scomparse le tracce fisiche di ciò che vi si svolgeva. Durante l’età di mezzo che nel Molise è durata a lungo, appunto il “lungo Medioevo”, i collegamenti di vasto raggio erano ostacolati dal frazionamento politico, dalla frammentazione del territorio in tantissimi feudi; unicamente la transumanza, tra gli spostamenti a lunga distanza, non poteva subire vessazioni da parte dei poteri locali in quanto una delle primarie attività economiche del Regno.

Il passaggio delle greggi transumanti era, comunque, soggetto al pagamento di gabelle in particolari punti, dovute non al feudatario, ma al re, quali l’attraversamento di un ponte, Sprondasino, o la sosta in un Riposo o qualcosa di simile presso la cappella di S. Domenico a Carovilli. Bisogna dire che nel passato le sole infrastrutture a corredo delle strade, con la precisazione che al centro del tratturo vi è la “via regia”, sono i ponti e le taverne. Il pagamento dovuto era indicato nell’iscrizione, la Pandetta, murata sulla parete della taverna di Sprondasino, oggi conservata nel municipio di Bagnoli.

I ponti nell’antichità erano rari per cui erano punti di convergenza delle direttrici viarie le quali, necessariamente, qui dovevano confluire. A Sprondasino si incrociano i percorsi per Pietrabbondante, Salcito, Civitanova, Poggio Sannita e Bagnoli. Per quanto riguarda le taverne occorre distinguere tra le mansiones, stazioni di cambio con stalla, fienile, magazzino, locanda per dormire e mangiare, con le botteghe del maniscalco e del carrettiere e le mutationes, strutture più semplici per una sosta breve con il cambio dei cavalli e non per il pernottamento; le prime, alle quali appartiene quella di Sprondasino, si giustificano se il centro abitato è distante dal tragitto stradale di grande comunicazione.

Le taverne stanno prevalentemente nei nodi viari, proprio quello che succede a Sprondasino. Sicuramente ha un posto di rilievo in quest’area il patrimonio naturalistico. È un atteggiamento strano il nostro, quello di interessarci noi profani maggiormente alle specie animali trascurando quelle vegetali quando ci avviciniamo alla paleontologia. Eppure esistono piante antichissime come l’abete bianco presente nell’area Assomab, residuo dell’ultima glaciazione, che se non è un fossile vivente poco ci manca. Gli scienziati, invece, hanno appuntato la propria attenzione da tempo, almeno dagli anni 70 del secolo scorso, su questa particolare formazione boschiva, le abetine di Collemeluccio e di Montedimezzo, tanto da spingere l’Unesco a farne Riserve della Biosfera.

Nella impostazione iniziale del programma MAB (acronimo che, tradotto, sta per Uomo e Biosfera) i siti prescelti sono rappresentativi di ecosistemi unici nei quali condurre ricerche scientifiche e, specialmente, il monitoraggio per studiare l’evoluzione naturale. Non è previsto il coinvolgimento della popolazione se non nelle azioni di educazione ambientale. Non è previsto il trasferimento delle informazioni che vengono fuori dagli esperimenti e dagli studi su una più larga scala per cui l’influenza delle riserve della biodiversità nella definizione delle strategie di conservazione della natura è limitata, chiuse come sono in sé stesse.

Le cose cambiano nel finire del XX secolo quando comincia ad emergere, come distinto campo di conoscenze, pure in conseguenza del deterioramento della salute del pianeta, una nuova disciplina, anche dal punto di vista accademico, quella della sostenibilità la quale, in verità, è interdisciplinare occupandosi delle interrelazioni tra esseri umani e ambiente. Proprio per questo è necessario allargare i confini delle aree Mab che ora include 7 comuni (tra cui Carovilli) per verificare i rapporti tra presenza antropica e sistema ecologico.

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

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