Belmonte, paese poco studiato
Ovvio Paccio, famoso per il Giuramento della Gioventù Linteata, fu sepolto dalle parti di Belmonte del Sannio
di Franco Valente – fb
15 gennaio 2021
Se già si è nel Molise, per andare a Belmonte del Sannio si deve passare per Agnone, da cui dista solo 5 chilometri. Prima di entrare al paese, un vistoso cartello posto dall’Amministrazione Comunale, indica la via che porterebbe alla tomba di Ovvio Paccio. Sicuramente possiamo affermare che la localizzazione precisa di quella tomba è frutto di una invenzione di qualche cultore locale buontempone, ma altrettanto sicuramente possiamo dire che Ovvio Paccio da queste parti sia stato sepolto.
Ma chi era costui? Per saperlo dobbiamo leggere il capitolo 38 del libro X degli Annali di Tito Livio e andare all’anno 293 prima di Cristo. Vi si racconta con dovizia di particolari che quell’anno si era fatta per tutto il Sannio una chiamata alle armi con una nuova legge che stabiliva pene severe per chi non si fosse presentato. In particolare chi non fosse accorso all’appello dei comandanti, o si fosse allontanato senza ordine, sarebbe stato consacrato alla vendetta di Giove. Dopodiché l’esercito ricevette l’ordine di concentrarsi in Aquilonia, dove si raccolse una forza di circa sessantamila uomini. Qui, quasi al centro dell’accampamento, un’area era racchiusa da palizzate e plutei e coperta da un telo, misurando circa duecento piedi da ogni parte (Ibi mediis fere castris locus est consaeptus cratibus pluteisque et linteis contectus, patens ducentos maxime pedes in omnes pariter partes). In quel luogo si offrì un sacrificio seguendo una cerimonia descritta in un vecchio libro di tela e secondo una prassi che il sacerdote Ovvio Paccio affermava essere di antica tradizione sannita. Livio continua la descrizione della cerimonia e puntualizza che quella legione sannitica si chiamò linteata per aver giurato sotto un grande telo (linteus). E poiché io personalmente credo che quel tragico giuramento sia avvenuto nel recinto dell’attuale Pietrabbondante, non è peregrina l’idea che Ovvio Paccio vivesse da queste parti e da queste parti sia stato sepolto.
Di sannitico a Belmonte non rimane più nulla di evidente, ma un qualche nucleo di quell’epoca molto probabilmente costituì il motivo di un insediamento in epoca longobarda, anche se le prime notizie si hanno dal periodo normanno immediatamente successivo.
Anzi, in quest’epoca Belmonte doveva avere un nucleo urbano ben definito e di una certa importanza se è vero che un giorno vi si recarono importanti personaggi per sottoscrivere una donazione che si faceva, con il consenso di Oderisio dei conti di Borrello, alla chiesa del beato Lorenzo de Carcamo che era nel territorio limitrofo.
Era il 12 marzo del 1166 ed erano presenti, tra gli altri, Rainaldo Montiorsario e Bonohomo Marticano. A quei tempi il feudo di Belmonte, che apparteneva ad Oderisio, aveva anche una rendita leggermente più alta della media, perché contribuiva a reggere due militi nell’esercito normanno, quando in genere i feudi di quel territorio ne mantenevano solo uno. Da ciò possiamo dedurre pure che un castello vi doveva essere e che il suo antico impianto sia nascosto all’interno dell’attuale palazzo baronale che occupa la parte più alta del paese. Un palazzo che ha perso molto del suo carattere originale e delle sovrapposizioni rinascimentali che oggi si vedono malamente sopravvivere tra infissi di alluminio che andrebbero sicuramente eliminati. A ciò si aggiunge che, per una damnatio memoriae, anche lo stemma della famiglia che lo trasformò radicalmente (probabilmente i Caracciolo) è stato abraso con cura sicché sul portale rimane uno scudo anonimo. Su una facciata secondaria, invece, sopravvive una pietra dall’incomprensibile blasone con un campo a due fasce, caricato di tre stelle, con l’epigrafe POST FATA RESURGO (Dopo la rovina risorgo).
Belmonte è un paese poco studiato per capire quale sia stato il suo sviluppo urbano e come si sia trasformato nel tempo. Varie famiglie si alternarono nel possesso del suo territorio, dai Borrello ai Cantelmo e ai Filangieri che ne furono i padroni nel periodo angioino, fino a Mario di Sangro cui fu tolto con l’avvento degli Aragonesi. Nel 1436, dopo essere stato demanializzato, passò per qualche anno ai Caldora che furono sostituiti dai Caracciolo fino alla metà del XVII secolo quando titolare di Belmonte fu Carlo di Tappia che ebbe non poca celebrità a Napoli perché, mentre era Reggente della Gran Corte della Vicaria, fu autore del Codice Filippino, con il quale tentò, per la prima volta ma inutilmente, di rimettere ordine nella complessa legislazione dell’epoca.
Belmonte ha una sola parrocchia la cui chiesa, ad una sola navata, è dedicata al Salvatore, ma il santo patrono del paese è Anacleto papa la cui festa si celebra il 13 luglio ed il cui busto, realizzato in bello stile da Giovannitti di Oratino nel 1748, viene venerato nell’altare che gli è dedicato.
All’interno si conservano bellissime statue. Sicuramente la più bella è quella di S. Rocco, ma non sono da meno quelle di S. Giuseppe, S. Lucia, S. Michele, S. Antonio, S. Nicola e, soprattutto, di S. Antonio Abate con il suo porcello. Hanno tutte bisogno di restauri.
In sagrestia sta un piccolo S. Pietro con il gallo ed un’urna con l’immagine di S. Filomena, che fu tolta dalla chiesa quando dal Vaticano la santa fu declassata. La facciata della chiesa non ha nulla di particolare, mentre il campanile ha un impianto potente.
E’ stato rifatto molto probabilmente nel 1681, come assicura una grande lapide crucisegnata che appare sulla facciata principale, ma la circostanza che sia completamente separato dalla chiesa fa immaginare una sua origine longobarda. Stranissima la grande pietra sulla destra dove è scolpito in forte rilievo un grande pesce. Sicuramente di origini altomedioevali i rozzi faccioni che appaiono subito sotto la pronunziata cornice del primo impalcato del torrione.
Sui vicoli del paese non si affacciano case particolarmente ricche. I portali sono assolutamente semplici e se non fosse per la solita diffusa mania dell’alluminio i prospetti sarebbero gradevolmente a misura di uomo. La solita chiesa di S. Rocco fuori delle antiche mura urbane, ricorda che il santo fu posto a proteggere il paese dall’entrata della peste.
Di Belmonte era Tonino Trapaglia, giovanissimo poeta prematuramente scomparso nel maggio del 1998, dopo aver lasciato come testamento questi versi: Come ultimo desiderio / come l’amen a fine preghiera / chiedo una cortesia / al Padreterno / Vorrei andarmene / in una sera di maggio / ascoltando Oldfield / e bevendo Coca Cola.
(F.Valente. Luoghi antichi della Provincia d’Isernia, 2002)
di Franco Valente – fb