Le vie degli ulivi, dei paesaggi e dei sapori del Molise
Voglio raccontare, a chi vuole scoprire il Molise, le vie degli ulivi e degli oli, quali basi di un percorso dell’enogastronomia molisana, che porta alla scoperta di 5 dop e 1 igp; 4 doc e 2igt, e, cosa davvero interessante, ben 159 prodotti tradizionali, cioè prodotti riconosciuti tali almeno da 25 anni
di Pasquale Di Lena
8 febbraio 2021
Una realtà che, viste le dimensioni del Molise, onora quella complessiva del Paese Italia con le sue 311 indicazioni geografiche Dop, Igp e Stg, che, con l’aggiunta dei 525 vini Docg, Doc (Dop) e Igp (Igt), sommano 825 riconoscimenti (aggiornamento 01.02.2021), a dimostrare un Paese ricco di territori che, quali luoghi di origine della qualità e, anche, della bellezza dei suoi paesaggi, si fanno rappresentare da accattivanti testimoni quali sono i nostri prodotti prima citati. Complessivamente quasi 6.000 eccellenze se si aggiungono i 5.266 prodotti tradizionali ad oggi riconosciuti, con il Molise che, come citato all’inizio, con 159 (mai, purtroppo, un aggiornamento nei vent’anni trascorsi dal primo elenco), occupa la tredicesima posizione, subito dopo il Friuli Venezia Giulia (178) e prima delle Marche (154). A primeggiare è la Campania (552 prodotti) davanti alla Toscana (461) e al Lazio (436).
Stiamo parlando dei prodotti più accreditati e più rappresentativi della Dieta Mediterranea, patrimonio culturale dell’umanità, che si conferma al primo posto tra i sessanta e più stili di vita e alimentari noti nel mondo. Sono i promotori veri di questo stile di vita nonché testimoni di territori, che abbinati ai valori storico-culturali da questi espressi, rendono la nostra Italia ciò che da sempre è stato ed è, un Paese unico al mondo.
Un patrimonio importante, quello del piccolo Molise, che, se aggiornato, ha molti altri testimoni da raccontare, grazie alla ricchezza della biodiversità sparsa sui 4,4 mila chilometri quadrati della sua superficie, e, grazie anche, alle mani sapienti delle donne e degli uomini che questo territorio – segnato da 136 centri storici circondati da campagne e boschi – hanno animato nel corso di millenni. Tanti millenni per la verità, se a Isernia c’è un campo, la Pineta, vissuto dal primo Homo erectus di 750mila anni fa, noto come Homo Aeserniensis.
Altri prodotti. che ritengo possibili di riconoscimento Dop o Igp, sono: il “Tartufo bianco”; la “Pampanella di San Martino in Pensilis”; il “Brodetto di pesce alla termolese di Tornola”; la “Stracciata di Agnone”; il “Pane di Longano, come pure di Venafro o di Macchiagodena”; la “Treccia di Santa Croce di Magliano”; il “Mais Agostinello”; la “Salsiccia di Pietracatella”; l’”Ostia di Agnone”; il “Fagiolo della Paolina” a Riccia e quello “ Bianco di Acquaviva di Isernia”; la “Cipolla di Isernia”; “la “Stracciata”; la “Ventricina di Montenero di Bisaccia” o “della Valle del Trigno”; la “Pezzata di Capracotta”; “Pizz’e menes’tre o pizz’e foje”; “A pezzènte”; “A ciabbotte”; “A fruffele di Bojano”; “Saragolla rossa o Saragolletta”, un grano, fino agli anni ’60, diffuso nel Molise; tre delle mele e delle pere salvate da Michele Tanno, “Limoncella”, “Gelata” e “Zitella”; “Zingara”, “Natale” e “Spina” .
Penso, anche, alla trasformazione dell’attuale olio evo “Molise” Dop – la sola delle sei indicazioni geografiche, che riguardano anche il territorio molisano, ad oggi riconosciute, tutta molisana – in una Igp “Molise” e due Dop, “Aurina di Venafro” e “Gentile di Larino”, che, con le 19 varietà autoctone sparse su tutto il territorio non montano, arricchirebbe l’immagine di un Molise ricco di olivi. La Regione che, grazie ai suoi olivi e ai suoi oli, ha dato i natali all’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio (Larino, 17 dicembre 1994); si è inventato, già nel 1996, il “Parco dell’olivo di Venafro”, realizzato nel 2008 come “Parco storico regionale dell’olivo di Venafro”, unico in Italia e nel mondo ad oggi riconosciuto, e, ultimamente, ha lanciato con l’olio evo “ASPEm” della cooperativa Kairos, il primo progetto rivolto al recupero – con la cura degli olivi di Guardialfiera – delle donne che sono state oggetto di violenza, ciò che rende il filo d’olio legame e intreccio di amore e rispetto reciproco. Un’iniziativa fatta propria dalle Città dell’Olio, grazie al suo promotore, Nicola Malorni, che dell’Associazione Nazionale è il vicepresidente.
Una lunga premessa, ma necessaria, che spiega meglio i percorsi possibili da tracciare e segnalare che portano alla scoperta di una stupenda “città—campagna”, il Molise, non a caso una farfalla colorata da un arcobaleno.
Il luogo di partenza da me scelto è Conca Casale, ai confini con il Lazio, il piccolo centro che profuma di un salame speciale, “la Signora”, che, da secoli, proprio le “Signore” del posto si sono premurate di realizzare con le carni nobili dei maiali, lì allevati allo stato semibrado, per raggiungere, poco dopo, gli olivi secolari di “Aurina” e “Rossuola”, “Olivastro d’Aprile” e “Olivastro dritto” del Parco di Venafro e, da lì, diramarsi in tante vie segnate da oliveti e olivi ultrasecolari che si affiancano al Matese de la “Paesana bianca” e “Paesana nera”, e, da qui, salgono verso le Mainarde o, come l’ “Olivetta nera”, che si porta nella propria patria di elezione, Poggio Sannita, non lontano da Agnone e Pietrabbondante . Dalla Valle del Verrino scendere lungo il Trigno con la “Gentile di Mafalda”, la “Cerasa” e l’”Olivastro” fino al mare di Montenero di Bisaccia, il luogo di origine dell’altro salame tipico, la “Ventricina”, quello che a me piace definire “salame che non si taglia ma si scava” con quei “pezzi grandi” di magro e di grasso ben combinati. Altre vie che seguono i tratturi, entrano, con l’oliveto più alto posto sopra Macchiagodena (sopra gli 800 ms.l.m.), per raggiungere, in compagnia dello “Sperone di gallo”, il cuore del Sannio fino al Fortore, e, poi giù, fino a la “Oliva nera di Colletorto” la “Rumignana”, e la “Cazzarella”, per incontrare, subito dopo, la “Rosciola” e la “Cellina” di Rotello. Tutto questo prima di entrare in quell’area vasta che è la valle del Biferno, con la “Gentile di Larino che, da Montelongo a Petacciato e da Campomarino a Lupara, domina, con il suo paesaggio, le dolci colline e le Piane di Larino che portano al mare e fanno vedere le Tremiti e il Gargano. Il Basso Molise, il territorio eletto de la “Gentile di Larino”, oltre 800mila piante delle quasi due milioni e mezzo (1% degli olivi italiani) sparse sul territorio regionale. Con la “Gentile” le altre due varietà proprie della città frentana, la “Salegna” e la “San Pardo”, a raccontare una storia di millenni di anni tramandata dal mare. Poco lontano c’è Portocannone, il paese di origine albanese, circondato da oliveti secolari e patriarchi millenari, a pochi chilometri dalla patria della “Pampanella”, San Martino in Pensilis, e dalla prima “Città del Vino” del Molise (oggi c’è anche Toro, il paese del pluripremiato vino Tintilia del Molise Doc “Herero”), Campomarino, che è anche, con Termoli, Petacciato e Montenero di Bisaccia, una delle quattro Città di mare poste lungo i 27 chilometri della fascia costiera molisana.
Tante vie che portano a 136 piazze dominate da una Chiesa, un Castello o un Palazzo antico, anche là dove gli olivi non ci sono, ma ben conosciuti da chi l’olio lo andava a prendere nel frantoio più vicino. Tante vie che affiancano o si confondono con i tratturi, tutte segnate da olivi, in particolare quelli secolari per rendere possibile l’abbraccio di Venafro con Portocannone e, così, dar vita a un olio particolare, quello del tempo, ovvero di un valore maltrattato dal cosiddetto “progresso”, che serve, oggi più che mai, per ricucire il passato con il presente, e, solo così, poter sognare il futuro.
di Pasquale Di Lena