La credenza nel malocchio
Pratica divinatoria popolare
di Arnaldo Brunale – fb
9 febbraio 2021
“…La credenza nel malocchio e nella iettatura, da parte della gente, nel Molise, ha costituito, fin dai tempi più remoti, uno degli aspetti più diffusi del nostro vivere quotidiano.
Forse, a ragione, se rapportata all’invidia nutrita da chi non possedeva nulla nei riguardi di chi aveva tutto, più verosimilmente infondata, se essa si basava sul voler dare dello iettatore a colui che era capace di lanciare il malocchio con il semplice sguardo o a chi era vestito di nero ed esangue nell’aspetto, credendo che potessero ricorrere a riti oscuri per far ammalare le persone o provocare delle disgrazie, degli incidenti, delle sofferenze.
È per questo che i nostri avi si sono affidati, da sempre, a ogni tipo di rituale o di scongiuro per tenere lontano dalle loro famiglie, dalle botteghe, dai campi e dagli animali gli effetti malefici di una iettutatura o di un malocchio.
Naturalmente, i riti di difesa da queste sventure, soprattutto dal malocchio, dovevano essere eseguiti dalle persone a ciò idonee (fattucchiere e magari), che conoscevano le formule magiche e le preghiere per “incantarle”, e in giorni precisi dell’anno, come ad esempio la notte di Natale.
Uno dei più diffusi rituali era quello di far cadere in un piatto colmo di acqua alcune gocce di olio, mentre, nel segnare la fronte del sofferente ed il piatto con tre segni di croce eseguiti con la mano destra, l’officiante recitava una formula magica nota solo a lui con accompagnamento delle preghiere di rito. Se alla fine del cerimoniale le gocce di olio si allargavano voleva dire che il malocchio era stato debellato, se, invece, si raggrumavano l’influsso malefico persisteva ed occorreva ricorrere ad altri rimedi per debellarlo.
Alcuni “santoni” incantavano il malocchio con l’ausilio di chicchi di grano invece dell’olio. Se c’era il malocchio, i chicchi di grano iniziavano a girare vorticosamente nell’acqua distanziandosi tra di loro. Altri, invece, ricorrevano all’uso del carbone acceso immerso in un recipiente colmo di acqua. Se andava a fondo, esso rivelava la presenza dell’influsso malefico. Quando il malocchio resisteva con la sua presenza ad ogni tipo di incantagione scaramantica, la credenza popolare lo definiva “malocchio ferrato”, facendo ricorso, come estrema ratio, all’immersione di un paio di forbici o di un coltello o di una chiave in un piatto colmo di acqua. Tutti simboli, questi, ritenuti idonei a tagliarlo, nel caso delle forbici e del coltello, di rinchiuderlo in un riposto immaginario o, se si vuole, di aprire un varco per farlo uscire fuori definitivamente dall’ambito dove si era annidato, se si trattava di una chiave…”.
Su questo argomento interessantissimo, comunque, ci sarebbe molto da scrivere.
di Arnaldo Brunale – fb