• 25 Febbraio 2021

Pastiches architettonici campobassani

Altrove i grattacieli sono vetrati, qui hanno pareti murarie, una “nave” o un “transatlantico”

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

25 febbraio 2021

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Altrove i grattacieli sono vetrati, qui hanno pareti murarie, una “nave” o “transatlantico”, termini che qui si usano per definire il palazzo progettato da Pacanoski, il granito come materiale da rivestimento, ma anche lo sferogranito, un edificio a ballatoio che, però, sta solo in un piano e così via. Ci sarebbe da dire che niente è ciò che sembra. Le ambiguità presenti nel panorama urbano.

La superficie esterna, è l’elemento percepibile per primo, è in mutamento a Campobasso ormai da diverso tempo. Si hanno casi nei quali il fronte dell’edificio non è più una cortina, salvo i balconi che fuoriescono da tale piano verticale, un componente architettonico monodimensionale, bensì possiede un suo spessore. La profondità la si coglie bene in quell’edificio di via Crispi che presenta un sistema a doppia facciata in cui quella che è al di fuori, diciamo aggiunta perché ai fini della definizione dello spazio interno se ne sarebbe potuto fare a meno, delimita la scala esterna che introduce all’interno della casa; se ha qualche funzione la facciatina sovrapposta ha quella di proteggere il percorso di accesso all’abitazione.

Se qui si è trattato di una singola unità edilizia, passiamo ora ad un complesso abitativo molto grande, quel lungo fabbricato che costeggia, è inutile dirlo, da un lato via Leopardi, quasi per intero, che, di per sé, non ha una tipologia a ballatoio, limitandosi il ballatoio al solo livello rialzato; esso funge da canale di smistamento degli ingressi alle varie attività commerciali e di servizio che vi sono allocate. La ringhiera di tale fabbricato è a filo della linea di facciata. Il ballatoio, pur non essendo, in senso trasversale, assai profondo tanto da divenire anche luogo di incontro e di socializzazione per coloro che si recano ad alcuno degli esercizi di vendita o delle agenzie alla stregua, per capirci, di una stradina pedonale urbana, rappresenta una zona d’ombra nella fascia basamentale del volume edilizio, un vuoto.

Proseguendo sul tema affrontato nell’esempio precedente dello sfondamento, per così dire, dell’involucro architettonico ci spostiamo alle balconate del palazzo di piazza della Vittoria conosciuto come “la nave” nome ispirato proprio da questi estesi balconi che ricordano un po’ il ponte di una imbarcazione. Si tratta, va detto subito, di rientranze incassati come sono e non di sporgenze. Sono presenti a tutti i piani e perciò non producono effetti chiaroscurali.

I campobassani all’epoca della costruzione di questo stabile non avevano mai visto nulla di simile (almeno in città) sia in riferimento allo sviluppo del corpo di fabbrica che è lineare perché è un tipo in linea, fino ad allora vi erano solo quelli a blocco, le “palazzine” sia alle balconate continue. I cittadini di Campobasso un paio di decenni dopo andando in gita a Campitello, tutti lo hanno fatto, subiranno un ulteriore shock visivo di fronte all’immobile denominato Le Verande in cui il prospetto non è più caratterizzato da balconi, come nella “nave”, bensì da verande; esse sono un interfaccia ancora più spesse del balcone tra il margine estremo della sagoma del fabbricato e il perimetro del nucleo “chiuso” del corpo di fabbrica e ciò in quanto la veranda, mentre il balcone è fatto per affacciarsi, è pensata per stazionarvi nel tempo libero, magari come nella località matesina per prendere il sole sdraiati.

È tempo di rientrare nella nostra realtà cittadina e ritorniamo con negli occhi tale vasta superficie specchiante la luce per cui ci faranno poco effetto le distese vitree, neanche quelle oblique, quella di via Insorti d’Ungheria poco dopo la sede della Banca delle Province Molisane; a quest’ultimo proposito, quello delle pareti inclinate sono da citare gli uffici finanziari prossimi alla Questura dove l’inclinazione è solo della struttura portante che è scalettata verso l’alto per sorreggere i balconcini i quali hanno quindi una profondità decrescente procedendo da sopra a sotto.

Le pareti vetrate presenti nel panorama insediativo non sono, comunque, delle verande, ma autentiche pareti perché racchiudono lo spazio interno; la prima costruzione così fatta, fatta prima, peraltro, del Le Verande, è il «palazzo d vetro», alla congiunzione tra viale Elena e via Scatolone, collocazione che provoca l’effetto dello svuotamento dell’angolo, perseguito nelle architetture da diversi celebri progettisti della corrente Razionalista e, però, qui la scala è urbana. Al capo opposto della medesima via, Elena, si è operata una scelta opposta con la costruzione del “grattacielo” che, invece, nonostante che sia un classico che esso abbia le superfici vitree, ha le tompagnature chiuse (non si ritiene che sia in muratura portante, altrimenti le due aperture ravvicinate del Bar della Regione al piano terra che si incontrano nello spigolo, alla stregua di un locale di ristoro di passaggio come fosse il caffè di una stazione, avrebbero indebolito troppo il basamento, tanto più che si tratta del cantonale).

Quando fu edificato eravamo nell’era dei grattacieli e pure il capoluogo regionale doveva averne uno. Esso ha un valore simbolico anche per la sua localizzazione centrale e nodale; la sua verticalità mette ordine all’insieme urbanistico, una sorta di cerniera tra il cuore dell’abitato e la crescita successiva dell’insediamento. Il vetro, materiale dissonante rispetto ai fronti edificati che convergono in tale punto, non avrebbe impresso il senso di rotazione che si voleva attribuire, probabilmente, a questo momento della struttura urbanistica; non è vetrata neppure la porzione del fabbricato che svetta al di sopra della quota della copertura degli edifici affiancati.

Il grattacielo da un po’ ha cambiato pelle, letteralmente una mutazione, essendo stati sostituiti con intonaco i tasselli di ceramica che lo rivestivano, eliminati per via del deterioramento della malta di supporto. Allarghiamo, partendo dalla questione delle piastrelle, lo sguardo sulle trasformazioni dell’esterno dei fabbricati rispetto ai modi consolidati nel tempo di trattare le facciate i quali sono la pietra, il mattone e l’intonacatura, modificazioni che incidono sulle abitudini visive degli abitanti della “capitale” del Molise.

Il prospetto dell’immobile di via Orefici che ospita l’Archivio di Stato è dominato da pannelli in ceramica con figurazioni stilizzate in rilievo; esso rimane, comunque, un episodio isolato nella città dove non prende piede l’uso della terracotta a scopo ornamentale nelle facciate a differenza, è utile rilevarlo, di Isernia in cui formelle di argilla colorata sono applicati in una serie di edifici all’esterno e ciò si spiega per la presenza in loco dalla prima metà del XX secolo di una scuola d’arte poi evoluta in liceo artistico, la quale deve aver influenzato il gusto della comunità.

A Campobasso a cavallo del nuovo millennio e oltre si è affermata nella produzione edilizia in numerose realizzazioni tra cui la Città nella Città e l’ampliamento della Provincia l’impiego della tecnologia della parete ventilata con il cotto a quadrotti, ben distinguibile dal laterizio tradizionale e dal blocchetto forato perché di formato più grande, che ricopre con continuità, per impedire i ponti termici, il volume architettonico. Quali rivestimenti superficiali si sono adoperati pure per citarne uno, anzi due, tanto il granito nello stabile di via Mons. Bologna che confina con la ex caserma dei Vigili del Fuoco quanto lo sferogranito, un materiale artificiale, che è applicato all’immobile su via Garibaldi che risvolta su via D’Amato. Campobasso, in definitiva, si va rinnovando.

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

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