Forme barocche su impianti romanici
Nella cattedrale di Larino è stato attuato il ripristino dell’immagine antica, del medioevo, mentre nella chiesa di S. Francesco di Agnone, anch’essa di origine medioevale, si sono mantenute le modifiche introdotte nel XVIII secolo e ciò è sicuramente dipeso dalla bellezza degli affreschi sulle volte
di Francesco Manfredi Selvaggi
9 marzo 2021
Le chiese presenti nei nostri centri sono state fondate generalmente nel medioevo. Poiché da allora è passato all’incirca un millennio è evidente che esse non possono non essere state oggetto di trasformazioni, leggere o pesanti che siano, durante tutti questi secoli.
Specie a seguito di alcuno dei tanti terremoti che hanno colpito il Molise, quasi in ogni suo angolo, i quali hanno imposto lavori di riparazione accompagnati il più delle volte da azioni di “aggiornamento” dell’impianto architettonico. Non perché non si siano verificati eventi sismici intorno al 1500 (la scossa tellurica del 1456 fu particolarmente violenta) è successo che la fase di più intensa manipolazione, se così si può dire, dei vecchi manufatti ecclesiastici è stata quella successiva al Rinascimento, la cui unica testimonianza è la chiesa del Beato Stefano a Riccia, il periodo Barocco.
Lo stile di quest’epoca prevede un largo impiego di strutture voltate per l’amore che si nutriva per le forme curve e così compaiono in diversi edifici di culto molisani, prendi S. Francesco ad Agnone o la parrocchiale di Pettoranello, a coprire le navate le volte a botte, a crociera o incroci tra le due; non per niente la parola volteggio, la quale entra in gioco quando si descrivono sculture o raffigurazioni pittoriche di tale periodo e diventa la “parola” d’ordine nel Rococò, l’erede del Barocco, deriva da volta.
La passione per le cupole è meno forte, così come è meno apprezzato ciò che è circolare, al cerchio essendo esso una figura geometricamente esatta si preferiva l’ovale il quale ha, invece, una natura ambigua, per i suoi due centri, ben 2, e, dall’altro, poiché non ha un unico fuoco costringe al movimento l’osservatore con un effetto di dinamizzazione dello spazio (vedi Borromini al S. Carluccio alle 4 Fontane a Roma).
Berardino Musenga, incaricato di “aggiustare” S. Maria della Croce nel borgo antico del capoluogo regionale danneggiata dal terremoto del 26 luglio 1805, mette mano alla costruzione di una cupola; è successo che lo “spirito del tempo” è mutato, siamo nel momento di transizione tra il Classicismo, nulla è più classico o, se si vuole, retorico, nel senso di enfatico, di una cupola, e il Neoclassicismo, la cupola è in sé un archetipo come lo è una piramide e qualsiasi altro “solido platonico”. Forse la si è fatta un po’ troppo lunga, ma ci si teneva ad evidenziare che gli elementi barocchi che invadono l’interno delle chiese romaniche (poiché medioevali), non sono dei leziosi orpelli, bensì discendono da una concezione della spazialità rinnovata che, ormai, viene a pervadere il volume architettonico.
Né vanno scambiate per pure e semplici ostentazioni di opulenza ornamentale, ovvero di ricchezza che si contrappone alla povertà, decorativa, delle chiese del medioevo la quale richiama il pauperismo del cristianesimo dei primordi. Sono espressioni artistiche, in definitiva, il Barocco e il Romanico di altrettanto rilievo per cui è difficile decidere se è giusto eliminare i segni lasciati dal primo per mettere in maggior luce i caratteri romanici dell’edificio di culto. A Larino nella cattedrale si è optato per il ripristino integrale della configurazione architettonica originaria.
Devono aver influito su tale scelta piuttosto che valutazioni estetiche, come se si trattasse di togliere delle superfetazioni, la venerazione per l’antico, il quale, al di là della bellezza intrinseca dell’opera, ha un notevole pregio di per sé stesso. In altri termini, il concetto è che una cosa quanto è più remota tanto più va preservata e ciò, si badi bene, non per la sua rarità, bensì perché l’antichità è un valore assoluto.
D’altro canto, si riconosce che è difficile la coesistenza nel medesimo ambiente di due stili diversi, magari con una liberazione parziale dalla sovrastruttura barocca della sua configurazione iniziale, poiché si lederebbe l’organicità dell’immagine architettonica, degli effetti plastici, delle suggestioni coloristiche legate alla luminosità del vano e così via, sia di quella che venne conferita alla chiesa in età medioevale sia di quella impressa dall’affermazione del barocco; tutt’al più, succede nel piano basamentale del duomo di Isernia, può essere ammesso lasciare in vista tracce dello stato del fabbricato antecedente alla mutazione della “pelle”.
È il restauratore che è chiamato, poiché è un atto squisitamente d’autore, a decidere quale strada intraprendere, mentre a noi non tocca altro che fidarci delle sue qualità interpretative. Egli, comunque, sarebbe tenuto a darci conto delle scelte effettuate, pubblicando il progetto di restauro e, perciò, è necessario ripristinare la rivista Conoscenze edita dalla Soprintendenza di cui sono usciti, però, solo pochi numeri negli anni passati. Occorre, evidentemente, anche un contraddittorio che impone ai progettisti di rispondere alle critiche che vengono mosse al loro modo di restaurare.
Si è parlato, finora, di Romanico e di Barocco e si sono citati, sia pure di sfuggita, il Rinascimento, il Rococò (ma non il Manierismo), il Classicismo e il Neoclassico, senza fare mai alcun riferimento al Gotico. Ciò è perché in questa terra non vi è nessuna testimonianza di arte gotica, né possiamo considerare tale, capace di qualificare come tale, la conformazione ogivale dei portali di qualche architettura religiosa. Peraltro, qualora sia presente l’arco gotico è sempre compresente, sotto di esso, l’architrave a delimitare l’ingresso della chiesa, un doppio sistema di sostegno al di sopra dell’apertura analogamente a quanto si riscontra nei fabbricati ecclesiastici romanici con la differenza che l’arco qui è un semicerchio e lì è un’ogiva.
Un esempio sta a S. Massimo nella cappella rurale di S. Maria delle Fratte. L’arcatura con il raggio che tende a disegnare un angolo acuto basta di per sé, non ha bisogno della collaborazione di un supporto aggiuntivo, qual’è la trabeazione per chiudere superiormente la porta, e lo si vede nel campanile di Torella dove essa definisce l’entrata alla parrocchiale o nei ruderi di S. Angelo in Altissimis a Lucito. Neanche questo, però, è ciò che caratterizza il Gotico la cui essenza più profonda è quella della riduzione della struttura a elementi lineari: dai pilastri cruciformi si dipartono nervature sottili che diventano i costoloni sui quali si poggiano le voltine del soffitto.
Le pareti, non avendo più una funzione portante, vengono svuotate da ampi finestroni. L’architettura, come accadeva nei templi, vedi il pronao che è molto di più di un porticato del tempio B di Pietrabbondante, o nelle basiliche, vedi quella di Altilia, si identifica con lo schema strutturale, lo scheletro è in bella vista. Il Gotico è puntiforme, non è basato sui setti, e in questo richiama i telai in c.a.. Al contrario, il Romanico e il Barocco sono connotati da massività, il volume è contenuto entro murazioni su per giù compatte e ciò si contrappone all’organizzazione dello spazio gotico per punti, discontinua, i muri sono continui e il continuum è ciò che rende compatibili tra loro questi due stili, permettendo nel XVII e XVIII secolo la “rivisitazione” in chiave barocca delle chiese romaniche.
di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)