La pandetta di Sprondasino a Bagnoli del Trigno
L’epigrafe, dopo varie peripezie, è stata collocata dignitosamente nella Sala Consiliare di Bagnoli del Trigno
di Franco Valente – fb
12 marzo 2021
Ho saputo della Pandetta di Sprondasino di Sprondasino da una nota di Guido Lastoria (dicembre 2009).
“Sprondasino era un importante nodo tratturale, rilevante crocevia per pastori e greggi transumanti e non solo; punto di partenza e di arrivo di due tratturelli, rispettivamente per Pescolanciano e per Castel del Giudice-Capracotta, nemmeno tanto distante dall’altro grande tratturo, il Lucera-Castel di Sangro che attraversa parte dell’abitato di Civitanova.
Lì, a Sprondasino, c’era naturalmente anche una taverna, luogo di sosta e di ristoro, sulla cui facciata fu murata nell’anno 1691 la “Pannetta” (Pandetta) di cui sopra.
Era, questa, una lapide che riportava, incise, le tariffe del pedaggio dovuto al Duca Giuseppe D’Alessandro che al tempo aveva in feudo quel territorio.
Ne conservo da molti anni la trascrizione su un grande foglio arrotolato, quasi un manifesto, sul quale la riprodussi a caratteri cubitali, copiandola, se ben ricordo, da un articolo di Antonino Di Iorio sulla rivista dell’Archeoclub di Pietrabbondante.
La lapide era scomparsa da molto tempo e nulla di essa si era più saputo fino al suo ritrovamento che ho appreso essere avvenuto di recente in Bagnoli del Trigno e che ovviamente va accolto con vivo compiacimento”.
Sollecitato dalla nota di Guido Lastoria sono andato a Bagnoli del Trigno a leggere questa pandetta che, pubblicata da Antonino Di Iorio (A. DI IORIO, Bovianum Vetus- Pietrabbondante la viabilità antica, Roma 1994, pp.61,62) senza che venisse indicato il luogo di deposito, io ritenevo fosse scomparsa da tempo.
L’epigrafe, dopo varie peripezie, è stata collocata dignitosamente nella Sala Consiliare.
Ero convinto che avrei trovato una pietra piuttosto imponente, pensando a quelle di Monteroduni o di Sesto campano. Invece è una tavola molto piccola (poco più di 40 centimetri per 60) arricchita da una modesta cornice rettangolare.
È stata incisa su pietra locale da un lapicida del posto che, anche se non era il massimo della bravura, sicuramente sapeva leggere e scrivere. Gli allineamenti delle righe sono abbastanza regolari e le lettere scolpite, sebbene piuttosto rozze, sono discretamente leggibili.
Rispetto al testo trascritto da Di Iorio vi sono da fare modestissime correzioni che non modificano il senso del testo già conosciuto:
CAROLVS DEI GRATIA REX
PANETTA SEU TARIFFA DELLI DERITTI DEL PASSO DI SPERONASINO DELL N. LRE
DON GIVSEPPE D’ALESSANDRO DVCA DI PESCOLANGIANO
PER QVALS.A SALMA DI ROBBE MERCANZIE DI QVALS.A SORTE E VA
LORE CHE PASSA PER D.O PASSO GRANO VNO E MEZZO
PER QVALS.A PERSONA A PIEDI ED A CAVALLO GRANO UNO E MEZZO
PER CENTENARO DI PECORE, CASTRATI, PORCI, CAPRE ED ALTRI AN.LI MINVTI
G(ran)A VENTICINQE, E SE SARANO DI MAG.RE O MINOR NVMERO SI PAGHI PRO RA
TA A D.TA RAG.NE DE CENTENARO, PERO’ SE D.I ANIMALI SARANNO DEI LOCATI DELLA RE.A DOGANA
S’ESIGGA SOLAM.E A RAG.NE D’VN CARLINO PER MORRA E NON PIV’ CITRA PRE
GIVDIZIO PER L’IMMVNITA’ PRETESA PER LI LOCATI PREDETTI
PER CENTENARO D’AN.LI VACCINI ED ALTRI AN.LI GROSSI CHE PASSERANNO PER D.O PASSO CARLI
NI CINQVE, E SE SARANNO DI MAG.RE O MINOR NVM.RO SI PAGHI PRO RATA A D.A RAGIONE
DI DENARO. DATVM NEAPOLI EX REG.A CAM.RA SVMARIAE, DIE 20 M. OCTOB.S 1691. D.
SEBASTIANO DE COTES R. M. L. L. ANDREAS GVERRERO DE TORRES VT
FISCVS = IANVARIVS CECERE ACTVARIVS
La pandetta di Sprondasino rappresenta un documento di notevole valore per la ricostruzione dei sistemi fiscali adoperati dai feudatari per la gestione delle gabelle sui punti di maggiore interesse nelle strade dell’interno molisano. Anche nei luoghi apparentemente più sperduti come quello in cui si trovava la nostra.
Il tariffario è reso in maniera semplificata e fissa una tariffa generica di un grano e mezzo per ogni mercanzia trasportata e per ogni persona a piedi o a cavallo che utilizzi il “passo”.
Stabilisce che la valutazione del pedaggio delle “morre” di animali avvenga in ragione delle loro dimensioni e in proporzione percentuale determinando in venticinque grani il pedaggio per i piccoli (pecore, castrati, porci, capre e “altri animali minuti”, e in cinque carlini per ogni centinaio di “vaccini ed altri animali grossi”.
Nel documento lapideo, diversamente dagli altri, vi sono alcuni riferimenti importanti alle locazioni della Dogana e ai diritti che erano riservati agli animali che si spostavano per la transumanza che vengono contenuti in maniera generica in un carlino per morra di animali piccoli senza alcun riferimento a quelli grandi che evidentemente non partecipavano ai grandi spostamenti stagionali.
Del “passo” non rimane traccia. Probabilmente era un ponte sul Trigno andato completamente distrutto, a monte di quello più recente, forse ottocentesco.
Dell’antico tracciato stradale solo qualche segno e l’allineamento delle case che variamente modificate nel tempo, conservano l’originario impianto fortemente condizionato dal tratturo Celano-Foggia che vi passava di fronte e che in questo punto si biforcava con la strada per Bagnoli.
Nel luogo vi era una taverna che ha dato il nome attuale alla località, ma altri toponimi hanno il loro fascino come quello di “fonte dei ladri”, un po’ più a valle, o quello di “fara” la cui origine si collega con molta evidenza ad un insediamento longobardo che andrebbe ricercato in uno dei piccoli nuclei abitati che ancora sopravvivono o in quello del castello diruto di Sprondasino che sicuramente esisteva in epoca normanna e che nelle mappe viene definito “Terra Vecchia” (vedi http://www.francovalente.it/?p=182 ).
Il significato del toponimo ricorrente di fara (che si ritrova anche nei pressi di Lupara, di Carpinone, di Bagnoli del Trigno, di Toro, di Gambatesa, di S. Martino in Pensilis, di Termoli, di Ururi) deve ricondursi ai nuclei familiari che componevano il primo corpo di spedizione longobardo. Significato analogo a quello di “sala” che si ritrova in S. Maria in Sala di Venafro e in un non meglio precisato “in loco Sale iuxta Bifernum” del Chronicon Vulturnense.
Dalla pandetta, murata alla Taverna di Sprondasino nel 1691, come si ricava dalla sua data, sappiamo anche il nome del feudatario.
Era Giuseppe d’Alessandro.
Come ricorda il suo discendente Ettore d’Alessandro, si tratta più precisamente di Giovanni Giuseppe d’Alessandro che nel 1704 risultava essere VIII barone e III duca di Pesolanciano.
Un personaggio che era talmente preoccupato di affermare la titolarità dei suoi boschi contro l’università di Civitanova che fece incidere il monogramma di famiglia su tutti gli alberi esistenti nel feudo di Civitanova per dimostrarne il proprio possesso (Scandiglieri, Forconi, Monticello, Selvapiana, Spelonca, Castelluccio, Pescovenafro).
Furono per questo costanti le liti tra i d’Alessandro e le varie Università locali come è testimoniato da numerose cause dal XVII al XIX secolo.
di Franco Valente – fb