Distretto BioMolise e i produttori
I tre anni e più di vita del distretto BioMolise hanno dimostrato che l’associazione nelle mani dei soli sindaci e non più dei diretti interessati, i produttori, non funziona
di Pasquale Di Lena
22 marzo 2021
Il “Bio-distretto Laghi Frentani”, poi rinominato “Distretto BioMolise”, da mesi è fermo e, a detta di persone informate, per colpa della pandemia, ma non è così, visto che iniziative similari sono andate avanti in Italia e nello stesso Molise.
La verità è che questi tre anni e più di vita del distretto BioMolise – il 19° nato in Italia (oggi, anche in piena pandemia, ne sono 40 e interessano tutte le Regioni), precisamente nel 2017, a Larino, per iniziativa di alcuni produttori e 14 sindaci – hanno dimostrato che l’associazione nelle mani dei soli sindaci e non più dei diretti interessati, i produttori, non funziona. Così bloccato rischia di frantumarsi o di inseguire, invece di guidarle, le iniziative di altri, alcune – per fortuna – già in atto nel Molise. C’è di più, rischia di non cogliere tutte le opportunità (programmatiche, strategiche, finanziarie) messe in atto dall’iniziativa della Presidente Ue, Ursula Von der Leyen, di trasformare in biologica il 25% dell’Agricoltura dei Paesi dell’Unione Europea, e, anche, dall’ approvazione della legge regionale sui “distretti del cibo”. Un traguardo, quest’ultimo, importante per il piccolo Molise, la regione percentualmente più ricca di biodiversità e, soprattutto, di ruralità. Due valori importanti, fondamentali per ricollegarsi con il passato e riprendere il cammino interrotto drasticamente dalla “rivoluzione verde” della fine degli anni ’40, quella che ha dato, con la cultura della quantità a scapito della qualità, il via all’agricoltura industrializzata e agli allevamenti super intensivi. Una cultura che, purtroppo, ha coinvolto non solo le grandi aziende e le estese pianure, ma la quasi totalità delle piccole e medie aziende, che in questo modo sono diventate prede delle banche e delle multinazionali della chimica, della meccanica e dei medicinali. Il mito della quantità, e tutto a scapito della qualità, non solo del cibo – ovvero della base di un’alimentazione che, solo se sana, è fonte di salute – ma, anche, dell’ambiente; della fertilità dei suoli; della bellezza dei paesaggi; del reddito dei piccoli e medi coltivatori, trasformati – come prima veniva detto – in vittime sacrificali di un sistema predatorio e distruttivo qual è quello nelle mani della finanza.
Il Distretto BioMolise, così bloccato, non svolge più il ruolo di modello agricolo e produttivo e, non sviluppa – nonostante il contributo prezioso di idee e di progetti messi a disposizione dal Comitato tecnico scientifico – alcuna progettualità territoriale, essenziale per la creazione di reti di aziende in grado di dare il via a un processo virtuoso qual è quello, con la sostenibilità, della tutela, della promozione e valorizzazione del territorio molisano. Biologico e sostenibilità, due caratteri indispensabili per rendere il Molise “città ideale” di chi cerca un ambiente sano; vuole respirare aria pulita a pieni polmoni; bere acqua potabile; vivere le sue piazze sempre pronte per un saluto, una stretta di mano, diventare amici. Tutto all’insegna del dialogo, del rispetto reciproco, della sobrietà, con la natura intorno che ispira e stimola non solo a fare, ma anche a creare. Biologico subito, per rilanciare l’agricoltura delle piccole e medie aziende, i prati pascoli, gli allevamenti rispettosi degli animali, i boschi, rendere i produttori i protagonisti principali delle tante filiere agroalimentari.
Oggi – con la presa d’atto del fallimento dell’agricoltura industrializzata e degli allevamenti super intensivi, e, alla luce degli insegnamenti dati, nel corso di un anno, dalla pandemia – il biologico e la sostenibilità sono scelte obbligate dalla necessità e urgenza di quel profondo cambiamento che vede, con il coltivatore, tornare l’agricoltura della qualità protagonista. Scelte che hanno bisogno di una piena consapevolezza degli attori tutti, e, ancor più di coerenza, soprattutto del Comune che è quello che decide delle destinazioni riguardanti il futuro di un territorio.
Ogni insediamento, artigianale, commerciale o industriale, deve favorire la scelta del biologico e della sostenibilità, non contrastarla, sapendo che essa ha bisogno di strumenti e strutture, e, anche e soprattutto, di tempo per affermarsi: il tempo della formazione (ricerca, sperimentazione) come pure della promozione e valorizzazione. Una vera e propria “contro-rivoluzione verde”, che non ammette improvvisazioni, distrazioni, ritardi.
Il distretto biologico – quale luogo d’incontro-collaborazione tra produttori, trasformatori, operatori nel campo del commercio e della ristorazione, artigiani, consumatori e pubbliche amministrazioni – ha bisogno, per un suo pronto rilancio, di ripartire dal basso se lo si vuole far diventare il principale protagonista di uno sviluppo che pensa alla sostenibilità e rimette al centro la natura, e, con essa, il dialogo e il rispetto reciproco dei suoi protagonisti.
di Pasquale Di Lena