• 23 Marzo 2021

Campitello Matese

Da stazione ski-total a villaggio vacanze

di Francesco Manfredi Selvaggi 

23 marzo 2021

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Campitello nato come polo sciistico ha necessità di riconvertirsi a località di villeggiatura e non solo invernale, vista la riduzione della nevosità negli ultimi decenni. Ne ha tutte le potenzialità vista la ricchezza del patrimonio ambientale del Matese il cui riconoscimento ufficiale è stato l’istituzione del Parco Nazionale che speriamo decolli presto.

Campitello non è stato pensato come un luogo urbano, nel senso cui siamo abituati di aggregato edilizio fatto di case, di strade e di piazze, e neanche possiamo definirlo, all’opposto, un non-luogo, cioè un posto privo di qualsiasi identità. Esso è stato concepito quale insediamento specializzato, tutto finalizzato alla pratica dello sci, niente che assomigli agli agglomerati abitativi ordinari. La tipologia prescelta per la località montana è stata quella della stazione ski-total concepita dall’architetto francese Laurent Chappis e replicata tante volte sulle Alpi; è una formula che si differenzia molto dal modello adottato, ad esempio, a Roccaraso dove lo sci non è il protagonista unico del centro invernale in quanto vi si trovano diverse altre attività di intrattenimento.

Il vasto piazzale che fronteggia, una posizione strategica, la pendice sciabile, destinato a parcheggio delle auto e dei bus, scesi dai quali la si raggiunge sci ai piedi, ora è stato trasformato in piazza per tentare di conferire al polo di turismo che si spera non più solo invernale l’aspetto di un villaggio. È un tentativo, lo si è detto, che appare davvero improbo. Non basta cambiare da piazzale, elemento centrale nella visione «sci totale», totalizzante, a piazza per ottenere l’effetto-villaggio, la piazza del villaggio. Nei borghi tradizionali, ma in qualsiasi realtà abitativa, le piazze sono, seppure tra le principali, una delle componenti degli spazi vuoti che innervano la conglomerazione edilizia, gli spazi pieni, e qui non è presente una trama dei tracciati viari ben definita.

Gli slarghi, quale quelli antistanti gli ingressi degli alberghi Lo Sciatore e Kristall, si intersecano, senza una precisa ripartizione delle superfici dedicate, con le corsie, non vere e proprie strade automobilistiche. Le aree aperte sono slabbrate, ambiti incerti, a tratti residuali, e l’unico segno deciso è rappresentato dalla piazza in quanto incavata. Altrettanto distinguibile è il percorso pedonale, lunghissimo, che dal Rifugio, cioè dalla Campitello vera e propria porta al Cristiania che è a Selvapiana, adesso non perché incassato nel suolo, bensì perché è rialzato come si conviene ad un marciapiede.

Alla quota di campagna, anche per l’invadenza delle macchine, tutto si confonde. Per lasciar spazio al traffico, si starebbe per dire, l’edificio ecclesiastico, dedicato a S. Maria della Neve, non si è dotato di un sagrato. È una piccola architettura religiosa, vocata al raccoglimento di preghiera individuale più che allo svolgimento di funzioni liturgiche con una partecipazione comunitaria dei fedeli, la quale ha l’ambizione di qualificare l’intorno e, purtroppo, lo riesce a fare esclusivamente in un raggio spaziale ristretto; appena oltre, i luoghi, contrassegnati da una distesa d’asfalto continua, ricadono nell’anonimato.

Il riferimento alla religione più forte rimane la croce che svetta su cima Croce, né vi sono edicole votive o statue a soggetto devozionale a richiamare i valori spirituali. La piazza, non ancora completata la gradonata dell’emiciclo con fontana al centro, ha subito una sorta di cambiamento in corso d’opera avendo dovuto cedere una porzione del terreno assegnatole alla piramide vetrata che è la copertura della pista di pattinaggio. È come se dal sottosuolo, perché la base è diversi metri al di sotto, fosse spuntato un misterioso oggetto prismatico, un abitante delle viscere della terra, per vedere la luce del sole.

Esso è un estraneo che non dialoga con il contesto come, invece, sarebbe obbligato se avesse l’ingresso dalla piazza, un po’ ciò che succede alla cuspide piramidale disegnata dal giapponese Pei nel giardino del Louvre a Parigi che dà accesso ai musei. La finiamo qui sugli aspetti formali e passiamo alla sua destinazione funzionale. È un’attrezzatura sportiva e a tale proposito ci sarebbe da obiettare, nell’ottica dello ski-total, che lo sciatore al termine della giornata trascorsa sulle piste non ha voglia di intraprendere un secondo sport, con i pattini ai piedi al posto degli sci, quanto riposarsi, distendersi.

Se, invece, la si vede nella prospettiva del villaggio-vacanze, essa costituisce un’opportunità, una delle possibili attrattive da sfruttare per trascorrere il tempo che in vacanza è sempre libero, una delle cose da fare durante il soggiorno in quota, almeno per i non-sciatori. La piramide, in definitiva, rappresenta in maniera “plastica” l’evoluzione della nostra località, alla stessa maniera della trasformazione che abbiamo visto del piazzale in piazza. Quanto si va mettendo in atto va nella direzione della riconversione del centro turistico da monofunzionale, interamente concentrato sullo sci, a plurifunzionale, con un’offerta ricreativa variegata, e, contemporanea- mente, da monostagionale a pluristagionale.

Se è possibile mutare la funzione è sicuramente impossibile mutare la “pelle”, quindi l’assetto fisico, a meno di demolire l’esistente, opzione da non scartare a priori, per ridurre le volumetrie che, di certo, sono eccessive, con grave danno al paesaggio e, nello stesso tempo, la consistenza della massa edificata è assai superiore a quella di un borgo tradizionale, il villaggio. Non è una soluzione, né lo sarebbe stata, prevedere invece che i grossi complessi residenziali, a parità di volume, una sommatoria di villette e di palazzine per il problema che ne deriverebbe di un insopportabile consumo di suolo, meglio concentrare le residenze per turisti in unità architettoniche compatte.

In verità, si sarebbe potuto coniugare la voglia di attribuire all’insediamento turistico la fisionomia di un villaggio con la richiesta di un quantitativo elevato di superfici abitative da parte del gruppo imprenditoriale del conte Stella che ne ha promosso la formazione, ai fini della redditività dell’investimento tra i cui costi vi sono gli impianti di risalita, se solo si fosse imitato ciò che fece l’architetto Ruspoli nel progetto del S. Nicola 1 dove il quantitativo di metri cubi da realizzare, ancorché importante non sembra tale poiché articolato in più corpi congiunti fra loro a comporre una sagoma scalettata che segue l’andamento del pendio.

Le altezze sono contenute e ciò, insieme al profilo gradonato rimanda alle immagini delle viuzze dei nostri centri storici che si sviluppano lungo il pendio. Si coglie l’insegnamento del quartiere Tiburtino di Ridolfi a Roma, la massima espressione del Neorealismo in architettura il quale si ispira ai modi di formazione degli aggregati residenziali popolari di un tempo. Ha un ulteriore merito l’opera dell’architetto Ruspoli che è la scelta del sito per il S. Nicola 1, la cui denominazione rivela la sua ubicazione nel vallone S. Nicola, posto distinto seppure adiacente a Campitello, il toponimo della conca, in quanto poco visibile da quest’ultima.

Il S. Nicola 1 è prossimo ad una sciovia per cui uscendo dai suoi alloggi è possibile con gli scarponi da sci già calzati montando su questa entrare nel carosello delle piste, passare a piacimento da una pista alla successiva senza mai dover effettuare tragitti a piedi. In conclusione, il S. Nicola 1 è capace di fornire qualche indicazione su come conciliare le peculiarità di una stazione sciistica con quelle di un villaggio-vacanze.

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

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