• 8 Aprile 2021

Trekking sui Tratturi: istruzioni per l’uso

Trekking sui Tratturi tra Medio e Alto Molise del Club Alpino Italiano Sezione di Campobasso

di Francesco Manfredi Selvaggi

8 aprile 2021

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C’è bisogno di rassicurare chi avesse intenzione di percorrere solo parzialmente l’itinerario proposto o anche solo parzialmente una delle sue tappe che è sempre possibile farlo. Infatti, se è vero che in zone altocollinari e montuose quale quella interessata dal trekking descritto di seguito vi sono difficoltà per lo sviluppo di comunicazioni viarie di tipo moderno le quali prediligono le fondovalli, come la Trignina che è tangente al nostro tragitto, è anche vero che vi è una fitta maglia di tracciati stradali secondari, anche se alcuni pure di livello Provinciale, che interseca in più punti il camminamento che qui si indica. Non vi sono solo strade asfaltate perché vi è pure una strada ferrata che si incontra a Carovilli, il treno Carpinone-Sulmona detto la Transiberiana d’Italia, minacciata dall’essere inclusa tra i “rami secchi” della rete ferroviaria nazionale (sono sempre da preferire, come ben sappiamo, i mezzi di trasporto collettivo tra cui vi sono gli autobus di linea che servono i vari comuni). Ci si tiene a precisare, in definitiva, che muoversi sulle piste tratturali è ben diverso che sui “cammini religiosi” che invece devono concludersi necessariamente in quel certo Santuario dove sono custodite le reliquie del Santo. I punti tappa prescelti da noi sono, invariabilmente, i centri urbani, tutti di piccole dimensioni da queste parti, sia per i servizi che offrono (alloggiativi, ristorativi, ecc.) sia per il contatto con le comunità locali che ciò permette; a questo proposito è da dire che la civiltà della transumanza la quale è una forma di semi-nomadismo avanzato non è un sistema chiuso, cioè privo di rapporti con le società stanziali, che sono di tipo non solo commerciale. Gli scambi umani sono inevitabili non limitandosi alle soste nei paesi, perché avvengono lungo l’intera asta tratturale consentendo a coloro che la frequentano (è l’esperienza di chi vive on the road, la cosiddetta vita di strada) di incontrare persone con le quali scambiare quattro chiacchiere o un semplice saluto e ciò, cioè la disponibilità a relazionarsi di quelli in cui ci si imbatte cambia a seconda del momento della giornata, in dipendenza, quindi, dell’orario lavorativo o se si è all’ora di pranzo o alla fine del tempo di lavoro. Non si tratta di distrazioni che rallentano la marcia perché la vicinanza con la gente costituisce elemento essenziale di un viaggio che vuol essere tale e non ridursi a qualcosa di simile ad una visita turistica itinerante.

1a tappa
SALCITO – BAGNOLI

Diciamo che il cammino inizia da Salcito, ma non è proprio così perché il Celano-Foggia, per il tratto interessato dal nostro percorso, non tocca i centri abitati nonostante che sia sempre a breve distanza da questi. Comunque, per ragioni logistiche, e per il fatto che i paesi molisani meritano sempre una visita si fa iniziare il tragitto da un agglomerato urbano. Per quanto riguarda quest’ultimo è interessante osservare che il termine Salcito è legato al mondo vegetale in quanto deriva dal latino Salicetum, formazione di salici e ciò ben si addice al carattere agreste del suo territorio (caso non unico perché in un raggio non troppo largo si trovano Oratino, un tempo Lauretinum, dal lauro, e Spinete). Di frequente nel trekking incontreremo borghi che nel loro nome rivelano un rapporto stretto con il sito: è il caso di quelli che rimandano alla roccia su cui sorge l’insediamento per la quale si usa indifferentemente la parola pietra, Pietrabbondante e Pietracupa, oppure pesco, Pescolanciano, e vi è poi Torella che viene da toro, il cuscino circolare alla base delle colonne, quindi con riferimento alla morfologia del luogo, una collina. Detto tutto questo che è un po’ il viatico del viaggio siamo pronti per il cammino. Si inizia dall’alto, dal colmo del rilievo su cui è assiso Salcito e così il trekking sembra cominciare come una cosa semplice perché si cammina in discesa. Peraltro questa è una discesa facile, non come le altre due che incontreremo nel prosieguo della settimana, quella che dalla piana di Staffoli porta all’altra piana quella di Carovilli e quella che dal passo non distante da Sella Venditto conduce a Civitanova, ambedue su pendii fortemente inclinati. Questa prima tappa è un autentico saliscendi, una specie di “montagne russe” per cui, detto scherzosamente, rimanete ben attenti. Nella discesa che da Salcito va verso il fondovalle del Trigno ci si avvia seguendo, in quanto così fa il tratturo, una dorsale che separa il vallone la cui testata è ai piedi del paese dalla valle del torrente Vella. La pista tratturale del Celano-Foggia non è, tutto sommato, difficile da distinguere pur quando risulta assediato, se non proprio invaso, parzialmente, da vegetazione e, del resto, siamo in un ambiente sì campestre ma che, a chiazze, ha perso la connotazione agricola. Un territorio disseminato di fabbricati rurali come quelli posti a confine con il suolo tratturale volgendo ad esso il lato corto, privo di aperture, fronte corto e cieco, e in ciò seguendo una antica regola non scritta, dettata forse dall’esigenza di tutelare, anche dagli sguardi, il demanio pubblico oppure per evitare che qualche viandante potesse penetrare in casa, nella stalla. Tali manufatti aiutano a leggere nel terreno il passaggio del tratturo; una cosa analoga; in quanto segni verticali visibili da lontano, la fanno le torri di S. Bartolomeo prima e di Terravecchia dopo le quali servono a confermare la direttrice da seguire, se non a segnalarla. La torre di S. Bartolomeo è una massiccia costruzione in pietra a base quadrangolare le cui dimensioni in altezza molto superiori a quelle in pianta, come si conviene ad una torre, rivelano la funzione di vigilanza del territorio circostante e, quindi, del tratturo. Essa è posta all’incirca a metà del versante che stiamo ridiscendendo e come si è detto, non è l’unica struttura turriforme presente in zona perché a conclusione della discesa, sempre sul nostro tragitto, alla congiunzione del Trigno con il Vella e, soprattutto, con il Verrino ci si imbatte in questa stessa giornata nel torrione di Terravecchia, tanto più imponente in quanto posto su un alto costone. È da dire che fortificazioni, corpi turriti o castelli saranno presenze costanti, che ci faranno sempre compagnia nei nostri spostamenti. Si enumerano di seguito altre torri che sono quella di località Torre della Castagna sul tratturello Pescolanciano-Sprondasino di cui, però, rimane solo il toponimo (località sfiorata nella giornata che seguirà) e il torrione circolare di S. Maria del Vignale sul Castel di Sangro-Lucera, che proponiamo di vedere nel terzo giorno di cammino; in definitiva un sistema di controllo sulla transumanza fatto di torri e castelli (molto visibili durante il trekking quelli di Torella  e Pescolanciano) stringente. Riprendiamo ora il filo del discorso, cioè continuiamo a camminare, lasciandoci alle spalle la torre di S. Bartolomeo. Man mano che si prosegue ci si sposta sempre più verso il corso del Vella fino a toccarlo proprio poco prima che esso sfoci nel Trigno. Avvicinandosi al fondovalle il paesaggio gradatamente muta, si entra in un ambiente umido determinato, in successione, dal torrente Vella e dal fiume Trigno. Siamo, ormai, nel punto più basso della camminata, Sprondasino dove sorgeva una taverna al posto degli edifici attuali su una cui parete era affissa una “pandetta” indicante il pedaggio da pagare per poter usufruire del ponte, oggi conservata presso il municipio di Bagnoli e, quindi, ammirabile in serata. Una taverna per così dire rurale mentre quella di Pescolanciano che osserveremo nella quarta tappa è urbana. I ponti, poiché la loro realizzazione è una impresa difficile, sono rari e questo è uno dei pochi, insieme a quello di Pescolanciano e al ponte S. Mauro che sono più a monte e che attraverseremo nel seguito dell’itinerario. Su quello di Sprondasino che è un punto strategico confluiranno numerose strade, compreso il tratturo, ma è, se esso non è ingrossato, possibile camminare nell’alveo del Trigno sfruttando il fatto che qui vi è un guado. Intanto, richiedendo troppo sforzo fisico raggiungere Pietrabbondante prima di sera è opportuno che il tragitto venga spezzato in due con una tappa intermedia a Bagnoli e, pertanto, ci dirigiamo verso quest’ultimo comune. Se finora si è sceso ora si sale (il saliscendi). Con una rapidissima inversione ad U da qui si risale, faticosamente, a Bagnoli detta la Perla del Molise e l’appropriata conclusione della prima tappa, è d’obbligo, sarà il campanile sulla roccia, possibile da visitare, della splendida chiesa romanica di S. Silvestro nel centro urbano da cui si gode un panorama a 360°. Un’autentica ascensione, visto il notevole dislivello, che si fa seguendo una fettuccia di terreno rettilinea tenuta libera dalla vegetazione per il passaggio di una linea elettrica. È da notare che tale striscia di terra segue la medesima direttrice, anche se non coincidente come sedime, di una diramazione del Celano-Foggia che come ogni ramo della rete tratturale è anch’essa lineare, la quale da Sprondasino va verso i luoghi celestiniani di S. Angelo Limosano e Faifoli e di qui a Campobasso. La meta si annuncia da lontano poiché si tratta di una “morgia”, l’imponente masso roccioso su cui sorge l’abitato di Bagnoli. In verità, i due abitati, Bagnoli di Sopra e Bagnoli di Sotto, sì vicini tra loro e, però, tenuti distinti dalla frapposizione di lembi della morgia. È da evidenziare che, così, si viene a perdere la classica compattezza degli insediamenti tradizionali la quale favorisce i rapporti di vicinato, tanto che si hanno due comunità, in qualche modo a sé stanti, con propri bar e momenti di incontro. Ciò che le unifica, non solo separa, è proprio la presenza della morgia la quale nel passato costituiva un presidio difensivo di valore eccezionale per la sua asperità.

2a tappa
BAGNOLI – PIETRABBONDANTE

È l’unico caso nel corso del trekking che si ripercorre un tratto già percorso in precedenza. Solo che ora lo si fa in discesa, dunque è molto meno impegnativo dell’andata. È da aggiungere che la salita a Bagnoli è stata effettuata alla fine della giornata, quando, cioè, si era un po’ stanchi, mentre ora si è nella prima mattinata. Si tratta, in effetti, di uno spezzone di tappa che possiamo definire di avvicinamento perché il vero inizio è dal fondovalle. Si è di nuovo a Sprondasino, un luogo speciale per il ponte, ma non unico nel trekking in corso perché ne attraverseremo altri due (S. Mauro e Pescolanciano), per la taverna che qui non c’è più mentre a Pescolanciano è rimasta, per l’iscrizione indicante la gabella da pagare per il passaggio, iscrizione simile a quella di S. Domenico di Carovilli. Sono tre dei leit-motif del viaggio. Un ponte importantissimo per i collegamenti tra nord e sud della Penisola in quanto dopo il Trigno allargherà di molto il suo alveo rendendo difficile gettare ponti. Di qui, attraversato il Trigno senza che oggi si debba pagare il pedaggio indicato nella pandetta o se non si hanno i soldi passare nel guado sottostante se le acque sono calme, ma senza neppure esserci potuti rinfrancare nella taverna perché ormai scomparsa si intraprende l’ascesa verso Pietrabbondante. Il ponte che sta lì, seppure rinnovato, da tempo immemore è una sorta di soglia da varcare e lo scavalcamento del Trigno è quasi un rito di passaggio perché il fiume segna la transizione tra il medio e l’alto Molise; è, dunque, un rito di iniziazione al comprensorio montuoso per eccellenza della regione. Si riprende a seguire il Celano-Foggia lasciato ieri, il quale, come è usuale per un tratturo, va diritto secondo la linea di massima pendenza del versante. Si sale in direzione opposta al corso del fiume, il quale verrà assecondato unicamente nella seconda metà del viaggio in cui si segue il Castel di Sangro-Lucera. Se nella tappa precedente il tratturo era in discesa per cui si avanzava velocemente ora è in salita e, perciò, si va lentamente. Le greggi con il pastore e il cane fanno anche 20 chilometri in una giornata, ma non quando si sale in questa maniera: occorre perciò procedere di buona lena per arrivare a Pietrabbondante nel pomeriggio e poter visitare il famoso santuario italico (che può essere raggiunto con una breve deviazione lungo il tratturello Sprondasino-Ateleta). Il tratturo, neanche a dirlo essendo passati sull’altra sponda del Trigno, ha cambiato versante per cui anche le visioni panoramiche che si allargano più si va in alto, quasi 1000 metri, cambiano. Gli unici pezzi in cui il tratturo spiana e in cui perciò è possibile muoversi con minore fatica, oltre che riempire la borraccia alle fontanelle sono la borgata Tonniello prima e poi in prossimità del Casino del Duca. Il Casino lo si incontra a metà del tragitto, nel mezzo dell’“ascensione” che ci porterà a Pietrabbondante. Esso è una dimora nobiliare dei secoli passati la cui forma architettonica un po’ richiama le ville di campagna e un po’ i manufatti fortificati. Essere un poco fortificato e un poco residenza signorile è una caratteristica delle case dei duchi D’Alessandro in quanto anche il loro castello nel centro di Pescolanciano con la trasformazione dei beccatelli in loggiato acquista le sembianze di un palazzo aristocratico. Il carattere di opera anche militare del Casino è legato alla presenza ai suoi quattro spigoli di garitte. È un elemento architettonico che sorprende, davvero inusuale nel Molise: le garitte sono dei posti di guardia sporgenti, attaccati ai quattro angoli dell’imponente costruzione, quasi sospesi nel vuoto, protesi come sono all’esterno, nel punto in cui le pareti perimetrali si incrociano, poiché punti di scolta sul territorio: la visuale da qui è molto ampia e, reciprocamente, il casino è ben visibile in un ampio raggio territoriale, venendo a costituire un fulcro visivo nelle vedute prospettiche. I D’Alessandro fanno capo a Pescolanciano, ma qui siamo nel comune di Civitanova dove sull’altra sponda del Trigno e sull’altro tratturo, il Castel di Sangro-Lucera, in qualche modo dirimpetto, vi è il monastero di S. Brigida, un segno territoriale di tipo religioso, mentre il Casino è di tipo civile, entrambi a dominio del paesaggio che li circonda. Possiamo riprendere fiato, sostare un pochino perché oramai la fascia propriamente montana è alla nostra portata. La valle è abbondantemente alle spalle. Ci si allontana, riavviandoci, dal Casino tenendolo comunque sempre d’occhio se non l’edificio il lungo viale contornato da pini che lo precede e che affianca il tracciato tratturale; tale vicinanza fa presupporre che abbia esercitato una funzione di controllo della transumanza. Al di sotto passa una galleria della superstrada Trignina, una moderna arteria che corre in tunnel e viadotti i quali in alcuni tratti sovrastano il tratturo ragione per cui gli escursionisti percepiscono il rumore dei TIR. A tratti, per fortuna brevi, si avverte la presenza antropica, specie quando la pista tratturale si accosta alla strada di grande comunicazione, a tratti tale pista un tempo battuta dagli armenti si svolge in ambiente solitario. Qui la scarsa frequentazione da parte dell’uomo, in passato coltivatore e pastore, ha determinato il reinselvatichimento anche di porzioni del demanio tratturale, con lo sviluppo di una boscaglia che rischia di richiudere il tracciato millenario. Con un certo sforzo si riesce a transitare aprendosi un varco nella vegetazione infestante con stupore della poca gente che abita al contorno del tratturo, la quale a lungo non ha visto sbucare alle proprie spalle, è un’immagine efficace, persone che passano di lì. Finalmente si raggiunge la Coperchiata dove il tratturo incontra, a tre chilometri dal paese, la strada che dalla frazione S. Andrea porta a Pietrabbondante e basta così per la giornata. Se non fosse stato tale nastro asfaltato ad interrompere il tratturo (il quale, comunque, continua oltre trasformandosi in una sterrata in località Fratte) a limitare l’incedere dei camminatori sarebbero stati, fino alla seconda guerra mondiale allorché venne distrutta, i binari della Pescolanciano-Agnone (una ferrovia di montagna come la Carpinone-Sulmona la quale essendo transappenninica è servita pure per trasportare le pecore in transumanza). Da notare che il canale di comunicazione, la ferrovia Pescolanciano-Agnone, su ferro, è andata in disuso similmente a quella su erba, il tratturo. Impreziosisce la giornata la visita al sito archeologico, bello e interessante in sé e anche per il suo rapporto con la natura circostante, altrettanto bella, e per il legame che ha con il tratturo.

3a tappa
PIETRABBONDANTE – CAROVILLI

Nella giornata che inizia siamo ormai in altitudine, anzi alle massime quote che raggiunge l’intero trekking. La risalita dal fondovalle del Trigno è stata lunga e faticosa, è costata tutto un giorno di cammino, ma adesso per gran parte dell’itinerario da seguire si procede in piano. È la situazione tipica delle montagne appenniniche quella di versanti erti seguiti da ampi altopiani al loro smonto; è usuale pure che le pendici siano prevalentemente boscose e le piane poste al di sopra delle distese prative. Proprio come sul resto dell’Appennino tale fascia pianeggiante precede le groppe sommitali una delle quali è m. Caraceno la cui cima è appena sopra l’abitato di Pietrabbondante, raggiungibile con una breve deviazione dal nostro percorso tramite un sentiero attrezzato il quale congiunge pure con l’anticima intorno alla quale, per un pezzo, si sviluppa una murazione megalitica di epoca sannitica. La differenza con gli altri monti molisani è che qui i centri urbani non stanno alla loro base, bensì a curve di livello elevate ed è il caso di Pietrabbondante, il punto di partenza della tappa, che sta a 1000 metri permettendo proprio per questo lo svolgimento di una porzione della camminata senza che si abbia un dislivello significativo. La terza tappa si svolge in gran parte, quindi, in ambito montuoso per cui ci dobbiamo abituare a temperature più basse. Lo stesso pastore, del quale ricalchiamo i passi poiché ci muoviamo sul tratturo, durante la transumanza deve sapersi adattare alle più varie condizioni climatiche, dal caldo delle afose piane dl Tavoliere, al freddo e alle avversità atmosferiche delle zone montane. Sperando nel buon tempo ci si incammina lungo il tratturo cui è sovrapposta una strada asfaltata, forse la via Regia che correva nella mezzeria del suolo tratturale, per evitare la quale ci si è mantenuti un po’ più in alto su una dorsale boscata che si concluderà, ma noi non arriviamo fin lì, a Tre Termini. Siamo nel bel mezzo di una vasta distesa boschiva formata anche dalla foresta demaniale di Collemeluccio, Riserva della Biosfera, dunque in un ambiente oscuro e per guardare il panorama si deve, chi vuole, deviare minimamente per salire sula sommità di m. Caraceno, o Saraceno, la quale spicca di poco dal versante boscoso dove, poiché sgombra da alberi, si aprono visuali a 360 gradi. Andando avanti, magari dopo aver aspettato che ridiscendano coloro che si sono inerpicati sulla vetta, ci si inoltra per un vasto pianoro, davvero vasto, che si segue secondo il suo asse longitudinale. Improvvisamente il bosco è terminato e si è penetrati in una vastissima prateria, con un brusco salto dal buio profondo alla luce intensa. Essa si chiama Piana S. Mauro la quale confina, separata dal giovane corso del Trigno, con un lembo della Piana di Staffoli che dobbiamo attraversare per un tratto. Le due pianure sono divise dal Trigno e dalla strada statale Istonia e l’escursionista per spostarsi sull’altro lato di questa arteria dovrà porre abbastanza attenzione poiché trafficata. Le due pianure, S. Mauro e Staffoli, dovevano essere dei pascoli comuni. Infatti, la pastorizia richiede una gestione comunitaria delle terre, alla stessa maniera della transumanza che imponeva ai proprietari degli armenti di consorziarsi fra loro per il lungo viaggio da compiere, associandosi sotto le insegne, siamo nel comune di Vastogirardi, della Confraternita del SS. Sacramento. Il mutamento del contesto ambientale condiziona pure l’esperienza percettiva; occorre abbandonare le abitudini visive che avevamo acquisito nelle due tappe precedenti, quelle di stare attenti ad ogni particolare, casa rurale, fonte, ecc. perché ormai ci troviamo in spazi ampi privi di elementi minuti da osservare in maniera distinta, uno per uno. Siamo all’interno in questo pezzo del cammino di insiemi naturali amplissimi indifferenziati, sia esso una foresta, il Bosco della Posta e, ai suoi margini, quello di Collemeluccio, sia una prateria, o meglio due, quella della Piana di S. Mauro e quella di Staffoli, nell’ordine in cui le si è elencate. All’inizio la distesa boschiva, dopo la distesa erbosa. Non c‘è più il chiaroscuro delle giornate trascorse e l’occhio si deve saper adattare alle mutate condizioni di luminosità, la superficie boschiva è cupa, le estensioni prative sono inondate di luce. Per quanto riguarda la capacità di orientamento, tema centrale parlando di escursioni, è da dire che nelle masse boscose e nelle entità prative ambedue tanto estese, il camminatore odierno rischia di smarrirsi se non ci fosse il filo conduttore del tratturo da seguire, a differenza che nel passato quando i nostri progenitori avevano maggiore confidenza con tali situazioni ambientali, per certi versi estremi. Un’ulteriore annotazione relativa a questa tappa è relativa alla pratica dell’escursionismo è la seguente: uno dei motivi per cui la transumanza la si fa in certe stagioni tra le quali non c’è l’inverno è il fatto che i rilievi montani, tipo quello altomolisano, nel periodo invernale si coprono di neve e i fiumi, in verità uno, il Trigno, ingrossano (anche se ci sarebbe il vantaggio della caduta dalle piante delle foglie, stiamo in boschi di latifoglie perché sfioriamo solo Collemeluccio con i suoi celebri abeti bianchi, e quindi di migliore visibilità del tracciato). È ormai da tempo che ci siamo lasciati alle spalle Pietrabbondante, o meglio in basso, così come in basso è Carovilli, la meta odierna, essendo questa l’unica tappa in cui l’itinerario si sviluppa più in alto rispetto agli insediamenti umani; trovandoci a metà tragitto allorché si giunge sul ponte S. Mauro è necessaria una sosta nell’agriturismo omonimo. Non vi sono, infatti, altre strutture ristorative e ricettive lungo il tratturo, il Celano-Foggia il quale, è un suo connotato, corre discosto dai paesi, a differenza del Castel di Sangro-Lucera seguendo il quale, nelle due tappe in cui lo si percorre, oltre ai punti di partenza e di arrivo si tocca sempre, e sempre nel mezzo, un altro centro abitato che diventa per noi un’occasione per fermarsi brevemente (i borghi, è la regola, sono equidistanti fra loro). Non vi sono neanche case sparse che invece ci sono tra Salcito, Bagnoli e Pietrabbondante e ciò perché i due sistemi ecologici che caratterizzano l’area, la foresta e la prateria, non ammettono nel loro seno presenze antropiche. Come abbiamo visto i boschi (il complesso Bosco della Posta, c’è anche la chiesa romanica di S. Lucia alla Posta, appena un po’ discosta dalla direttrice del nostro cammino, e di Collemeluccio) e i prati (S. Mauro e Staffoli) sono le componenti dominanti dell’ecosistema e ciò rende la presente tappa completamente diversa da tutte le altre, come se il trekking avesse cambiato aspetto, da agreste a montano. Invero, non ci si accorge pienamente di essere in altura se non nel momento in cui occorre intraprendere la ripida discesa che porta a Carovilli.  Solamente allora ci si rende conto che prima si era stati in una piana sospesa sulla vallata, che in direzione di Carovilli è quella del fiume Tirino, sottostante. È talmente scosceso il pendio che fu necessario un rimboschimento per evitare lo scivolamento del terreno sulla storica ferrovia Carpinone-Sulmona, la quale venne protetta in corrispondenza del fianco del rilievo cui si accosta anche con una galleria artificiale, simile a quelle paravalanghe, che l’escursionista ha sotto i propri piedi quando giunge a Fonte Curelli in agro di Carovilli, senza che neppure se ne accorga.

4a tappa
CAROVILLI – CIVITANOVA

È questa tappa un po’ più breve della precedente, ma soprattutto essa è quella in cui il dislivello positivo e negativo è superiore a quello di tutte le altre a favore di quest’ultimo; si cammina, cioè, prevalentemente in discesa. Ciò, però, non vuol dire che sia meno intensa per l’elevato numero di emergenze ambientali e culturali che si incontrano lungo il percorso. È un po’ una cavalcata nel paesaggio in cui si incontrano in successione serrata varie categorie di beni. A cominciare dal punto di partenza, la cappella di S. Domenico appena fuori di Carovilli, uno start d’eccezione. Su una parete frontale di questa è affissa un’iscrizione seicentesca riguardante il dazio che i pastori devono pagare per il permesso di transito, essendo un passo abbastanza obbligato, posta com’è su una sorta di valico (non più un ponte come a Sprondasino) ai piedi di monte Ferrante (che si segnala per la cinta fortificata sannitica). In definitiva, accanto al significato religioso questa bella architettura ne ha anche uno civile, non altrettanto gradito, che è quello di dogana per le pecore transumanti. Questo edificio di culto è su due lati porticato, cosa inconsueta per le cappelle di campagna in quanto i portici sono tipici delle aree urbane, a corredo, specialmente, delle piazze, ma qui si giustificano quali ripari essendovi obbligati alla sosta per il pagamento del pedaggio che permetteva il passaggio degli animali. Il valore devozionale del luogo è rafforzato, a fianco della chiesetta da una antica croce viaria, non stazionaria perché quelle stanno all’interno degli aggregati abitativi, tipica delle vie di pellegrinaggio e qui siamo su un percorso di lunga percorrenza, si scusi la cacofonia. I luoghi della spiritualità lungo il nostro itinerario sono tantissimi, disseminati sia nel comprensorio rurale, S. Domenico appunto, S. Lucia alla Posta (previa breve deviazione, nella tappa precedente), S. Onofrio (in questa tappa), S. Brigida (a lato di quella successiva), sia dentro i nuclei abitativi come la parrocchia di S. Silvestro a Civitanova in cui sono custodite le reliquie di S. Felice visitate dai pellegrini e, quindi, meta di «cammini», uno dei quali si incrocia con il percorso odierno. È venerata, poi, la statua della Madonna della Transumanza nella stessa S. Domenico e nella chiesa di S. Nicola a Torella. Siamo pronti adesso per iniziare l’escursione la quale prevede che si imbocchi il tratturello che attraversa il locus di S. Domenico, il quale è, per così dire, un affluente del tratturo, in questo caso il Castel di Sangro-Lucera che ci condurrà a Civitanova. Se nelle giornate che hanno preceduto questa si è andati in direzione nord-ovest, ora svoltiamo verso sud-est. Abbiamo lasciato i paesaggi montani e ci inoltriamo in una zona collinare con lo stesso grado di spettacolarità di quelli per le cose che incontreremo, oltre che per il paesaggio: il selciato che copre un pezzo del suolo tratturale, al quale forse si sarebbe dovuta porre maggiore cura, il temerario castello D’Alessandro ubicato su una rupe e, perciò, inattaccabile, lo stesso borgo di Pescolanciano il cui impianto urbanistico è condizionato dal tratturo, talmente è la forza di quest’ultimo, il bacino artificiale di Chiauci, ancora non riempito che oggi assomiglia ad una «zona umida» con il percorso che ne segue, in alto, il perimetro. Abbiamo anticipato i temi della camminata in maniera sintetica e ora li vediamo distintamente. Ci si avvia lungo il tratturello su cui si sono sovrapposte stradine campestri fino a raggiungere le Masserie Fischietto, inusitata tipologia di complesso edilizio rurale insolitamente sviluppato in altezza, con un’unica linea di gronda che denuncia l’unitarietà e finestre minute, rivelatrici della rigidezza dell’insieme di queste parti (o almeno del «piccolo inverno» terminato nel XVIII secolo). Qui ci si immette nel Castel di Sangro-Lucera il quale presenta dei tratti pavimentati con basole lapidee, solo dei pezzi discontinui e viene da immaginare che nel resto del tracciato esse siano state divelte per ricavarvi materiale da costruzione, nonostante il controllo ferreo esercitato dall’autorità regia su questa proprietà demaniale, testimoniato dalla frequenza dei cippi di confine, ben 3 nel centro abitato di Pescolanciano. L’innesto del tratturello con il Castel di Sangro-Lucera coincide con l’incrocio con il Sentiero Italia; si va avanti insieme fino a Pescolanciano, divaricandosi poi, l’uno, il Sentiero Italia che prosegue verso sud e l’altro, come è scontato per un tratturo, verso sud-est. Poco prima di giungere al paese si può fare una piccola deviazione verso S. Maria del Vignale che è un presidio fortificato medioevale costituito da una cinta muraria collegata ad un imponente torrione circolare. Dentro questo centro il tratturo funge da circonvallazione (a Civitanova e Torella sarà una tangenziale) perché vi si può accedere al principio e alla fine dell’abitato dove sta la taverna; così era sicuramente all’epoca d’oro della transumanza, terminata la quale nel 1800 il tratturo si è trasformato in un asse viario urbano perché l’espansione residenziale che è di tipo lineare si è attestata proprio lungo di esso. Si è detto della taverna che sta proprio nell’aggregato edilizio e non nell’agro come abbiamo visto a Sprondasino ed in effetti le taverne possono essere pure “cittadine”; il fatto è che il Celano-Foggia passa discosto dai nuclei insediativi e, perciò, necessita di taverne “rurali” mentre il Castel di Sangro-Lucera, lo constateremo anche nelle giornate seguenti, li tocca. Quindi vediamo entrambe le tipologie di taverne nel nostro trekking, all’andata e al ritorno, per così dire, in quanto esso è stato pensato ad anello con un tratturo, il Celano-Foggia, che sale, verso l’Abruzzo, e uno, il Castel di Sangro-Lucera, che scende, verso la Puglia. Pescolanciano è famoso per il suo castello, così grande che sembra addirittura fuori misura per un agglomerato contadino di dimensioni ridotte, ma che si spiega con le forti ambizioni della famiglia feudale, i duchi D’Alessandro. È tempo di lasciare questo borgo e di seguire la traccia del tratturo, fin quando è possibile, cioè fin quando si è in corrispondenza della chiesetta di S. Onofrio che è immersa in una faggeta trasformata in “parco avventura”, in quanto poi si perde subissato dalle acque dell’invaso di Chiauci. Si è lasciata alle spalle l’immagine del maniero reso più imponente, guardando dal basso, la posizione attuale, dalla morgia su cui è situato. Oramai l’attenzione è tutta per il bacino idrico. È un lago artificiale alimentato dalle acque del Trigno che ne costituisce l’immissario e l’emissario e che, quindi segue la direzione di marcia del fiume e nel farlo sommerge il tratturo; del resto quest’ultimo non poteva seguire l’asta fluviale neanche prima della costruzione della diga per via del profondo canyon in cui il Trigno si infila, la celebre Gola di Chiauci, purtroppo irriconoscibile a causa dello sbarramento. Il lago non riesce a condizionare i panorami ad una scala più ampia di quella della valle in cui ricade, quella in cui noi passiamo, non tanto per il non essere ancora pienamente riempito, quanto per la morfologia del territorio dell’alto Molise fatto da vallate di ampiezza contenuta. Lo sforzo dell’uomo di catturare la risorsa idrica non è rivolta solo ad imprigionarla, ma pure a captarla che è quanto si fa nella stazione di S. Onofrio dove ha origine uno dei principali acquedotti molisani, visitabile su appuntamento, che si è appena oltrepassata. Superato in qualche modo l’invaso si continua verso Civitanova della quale si ha una suggestiva veduta a volo d’uccello dal ripido pendio che occorre seguire. In verità, anche Pescolanciano, lo si raggiunge, secondo l’itinerario proposto, da monte e, però, adesso l’impressione, avvicinandosi, è di poter addirittura sfiorare, protendendo la mano, con l’estremità di un dito i tetti delle case del paese (facendo attenzione a non pungersi con la cuspide del campanile!) tanto è inclinato il versante: assai emozionante.

5a tappa
CIVITANOVA – TORELLA

Il tratto finale del tratturo che ieri ci ha condotti a Civitanova serve oltre che allo spostamento del bestiame dall’Abruzzo alla Puglia, dunque transumanza, anche all’alpeggio sulla Montagnola, il massiccio montuoso che sovrasta il paese e che chiude gli scorci visivi che si aprono in tale direzione nel tragitto della quinta tappa, il fondale delle vedute da questo lato per i camminatori. In questo ambito è ancora viva la pastorizia e i Colantuono di Acquevive di Frosolone, vicinissima a Civitanova, sono gli ultimi transumanti della regione. Ci si incammina, dunque, avendo di fianco la Montagnola la cui vista ha sostituito quella dei monti dell’alto Molise che hanno dominato il paesaggio finora. Nella quinta tappa, poiché è la penultima e, quindi, il grosso è stato fatto, non c’è più quella frenesia naturale di arrivare in fretta dei giorni d’esordio, si può, cioè, indugiare un po’ sui blocchi di partenza. È consentito ritardare l’avvio per fare qualche riflessione a cominciare da quella che Civitanova è un comune interessato dal passaggio di ben due tratturi, il Celano-Foggia e il Castel di Sangro-Lucera, il secondo dei quali oggi noi seguiamo. Si tratta dei due tratturi centrali nella maglia tratturale che innerva il Contado di Molise (il Centocelle-Montesecco e L’Aquila-Foggia sono esterni ad esso, alla vecchia delimitazione della regione). Tutte le piste tratturali convergono verso il breve tratto dell’asta fluviale del Sangro che ci separa dall’Abruzzo e, pertanto, avvicinandosi a questa si avvicinano tra loro facendo sì che nel medesimo territorio comunale, di Civitanova, Pescolanciano, ecc. insistano più tratturi, in verità semplicemente due. In tali ambiti le piste tratturali condizionano fortemente la configurazione paesaggistica dei luoghi sia perché “segni” di considerevole larghezza ben distinguibili per la loro linearità sia perché vengono a costituire una cesura nel tessuto agricolo e forestale, oltre che della trama viaria in quanto le strade non potevano interromperle, l’unica via carrabile ammessa sul demanio tratturale è la Via Regia che ne è al centro. Adesso è improcrastinabile ripartire anche se, lo si confessa, piacerebbe rimanere altro tempo a Civitanova e, del resto, giunti al quinto giorno si avverte una certa stanchezza. Se questa con la parrocchiale dedicata a S. Silvestro in cui è venerato S. Felice, le sue reliquie, e con il palazzo baronale è stata una piacevole sorpresa, si è sicuri che ulteriori bellezze da vedere ci riserverà il prosieguo (secondo il detto “il buon giorno si vede dal mattino”). A dire la verità è un go and stop perché immediatamente dopo aver lasciato l’abitato, alle sue porte, si invita ad una breve digressione verso il monastero d S. Brigida, segnalato da lontano dal suo campanile, ricordato negli antichi documenti con la denominazione “de iumento albo”, la cui localizzazione si deve proprio alla vicinanza con il tratturo, la strada del passato sulla quale hanno viaggiato abati, pellegrini, artisti e circolato le idee. Ai benedettini si deve la rinascita della vita sociale nei secoli bui dell’alto medioevo. Ora si è pronti davvero per il viaggio a piedi, sia quello che stiamo per fare noi, alla stregua di moderni chierici ambulanti. L’escursione ci condurrà in serata a Torella, all’identica quota di Civitanova per cui i dislivelli che pure sono notevoli, dovendo passare per Duronia il quarto comune più alto della provincia di Campobasso, si annullano. Ci si incammina per una stradina campestre anche se la traccia a terra non serve perché la direzione del tratturo la si intuisce facilmente: è l’energia della linea, la sua assoluta determinazione di voler andare in Puglia, a indicarti la traiettoria da seguire. La salita inizia quasi subito, lasciata Civitanova nel Largo della Fiera, pure della transumanza, (dopo ovviamente aver aspettato chi ha fatto la piccola deviazione per visitare S. Brigida). Si attraversa una fascia agricola periurbana, sede privilegiata di piccole vigne e orti rigorosamente recintati per prevenire i danni da cinghiale. Si supera l’ottocentesco “casino” Cardarelli, della famiglia del celebre medico, e appena passata una stele commemorativa di un pastore morto durante la transumanza, presso cui è d’uopo deporre un fiore, ci si inizia a inerpicare. Il tratturo nonostante l’erta che deve scavalcare conserva la sua rettilineità, senza deflettere come invece fa la strada “rotabile” che con numerosi tornanti ne segue il tracciato fino a raggiungere il valico prossimo a Duronia; in effetti, in linea d’aria, che è, poi, la linea del tratturo, Civitanova e Duronia sono molto meno distanti che mediante la via carrabile. Sicuramente la meta a lungo raggio della direttrice tratturale è il Tavoliere, ma a breve raggio è quella sella che separa il nucleo urbano di Duronia dalla sua Civita, un’emergenza rocciosa riconosciuta Sito di Importanza Comunitaria. Il tratturo sceglie nella sua ascesa una striscia di terreno più stabile, evitando superfici che qui, dato il substrato geologico di tipo argilloso assieme all’acclività, sono soggette a fenomeni erosivi i quali potrebbero accentuarsi in occasione di piogge intense a causa del pascolamento delle greggi che riduce il cotico erboso. Le uniche fasce di questo versante che non sono boscate sono quelle a frana, una lingua molto evidente, e quella in cui si sviluppa la pista tratturale, mentre sopra, una volta conclusa l’ascensione, si apre di fronte a noi un paesaggio completamente nuovo, di tipo prativo, fatto di spazi aperti. Quel passaggio obbligato di cui si è detto è una specie di portone che si spalanca su contesto percettivo differente: abbiamo lasciato l’Alto Molise e siamo entrati nel Medio. Per quanto riguarda il bosco è da aggiungere che stupisce il vedere gli appezzamenti forestali sotto, salvo la pineta di Duronia, e le parcelle di terre coltivate sopra, siamo abituati a immaginare il contrario; il tratturo che non è un manufatto, cioè fatto dalla mano dell’uomo, bensì ha il sedime forgiato dal passaggio ripetuto, per millenni, delle bestie, si confonde con i campi. Abbiamo fatto tutta una tirata per giungere qui su per cui è d’obbligo una sosta a Duronia, altro ridente paesello, bell’agglomerato di origine medioevale un tempo la Civitavecchia da cui deriva Civitanova; non siamo ancora per lunghezza a metà percorso, ma per fatica si. È una tappa che ha come motivo di interesse peculiare quello della visita ai borghi, Civitanova, Duronia e Torella nell’ordine, posti in comunicazione fra loro dalla pista tratturale, una congiunzione tra insediamenti abitativi e tratturo che è caratteristica del Castel di Sangro-Lucera. Bisogna, poi, osservare che i centri ubicati lungo tale asse sono, su per giù, equidistanti fra loro e che la distanza che li separa è contenuta per cui si hanno diverse strutture di appoggio. Vale la pena fare un’ulteriore annotazione che è la seguente: il salto altimetrico complessivo del cammino, che abbiamo detto essere pari a zero, sia che lo si faccia partendo da Civitanova, sia all’incontrario, da Torella, nonostante che Castel di Sangro e Lucera, i punti terminali, siano, rispettivamente, in montagna e in pianura. A rivelarci la ragione del rapporto stretto tra i nuclei insediativi e l’asta tratturale è il castello di Torella (che in quanto a traguardo visivo indicante la fine del percorso odierno è preceduto dal serbatoio dell’acquedotto, un po’ discosto dal paese) il quale pare stare proprio lì, con la sua mole, a controllo della transumanza. Il maniero turrito è affiancato, e ciò succede spesso, dalla chiesa parrocchiale cui si accede passando sotto il campanile, e ciò succede assai raramente, a costituire un polo di riferimento, civile e religioso, della comunità, e di questa sorta di compenetrazione ci interessa sottolineare soprattutto la presenza nella chiesa di una statua della Madonna della Transumanza che ci illumina sul legame tra il paese con il suo castello e il tratturo.

6a tappa
TORELLA – MORGIA DEI BRIGANTI

Siamo all’ultima tappa la quale è la più corta. È, dunque, il momento di fare qualche bilancio, o meglio riflessione ai margini di ciò che abbiamo visto, mentre si cammina verso la meta finale. Il punto di partenza della sesta tappa, evidentemente coincidente con quello della quinta, è Torella. Una considerazione, quella appena espressa, che potrebbe apparire stupida perché scontata se non fosse che tale regola di inizio e fine dell’itinerario nel medesimo punto non è un assioma sempre valido come dimostra il fatto che il luogo di partenza del trekking settimanale, Salcito, non è lo stesso della conclusione la quale avviene a metà strada tra quest’ultimo paese e Pietracupa. Ci muoviamo da Torella il cui borgo è dominato dal castello non solo in senso figurativo, ma pure letterale nel senso che esso è a dominio della popolazione della quale, contemporaneamente, era pure a difesa. Il maniero è anche a sorveglianza del percorso tratturale e, forse, per questo le sue torri, dovendo servire da avvistamento di chi vi transitava, sono più alte della cortina muraria. Quella delle torri è una specie di ossessione nel nostro itinerario avendone incontrate molte, da quella di S. Bartolomeo a quella di Terravecchia a quella di S. Maria del Vignale. Si esce da Torella per intraprendere il cammino di una rozza, per il suo massiccio architrave in legno grossolanamente intagliato con l’ascia, non¸ cioè, a squadro, porta urbica la quale, in qualche modo, fa la “faccia brutta” a chi proviene dal tratturo; un aspetto, quello della durezza dell’immagine della porta, che è in antitesi con quello del castello il quale venne ingentilito nel 1704 realizzando tra le torri una balconata, elemento che è in evidente contrasto con gli apparati difensivi. Di qui ci si incammina su viottoli campestri verso Pietracupa. Si tratterebbe quello cui si va incontro, poiché collinare, di un paesaggio tranquillo, assai umanizzato dai tanti casali sparsi che costellano la campagna, anche raggruppati fra loro come nella Piana Sciarra, e dalle colture agricole, se non, qua e là, intervenissero a drammatizzarlo delle strane emergenze rocciose dalle forme fantasmagoriche chiamate localmente morge, tutt’altro che dolci, ma di queste parleremo meglio dopo. Il percorso è tortuoso, aggrovigliato, ci si aggira tra collinette della stessa altezza per cui non si può avere un punto di vista complessivo. Vi sono continui saliscendi, con la linea ideale del terreno sotto i nostri piedi che una volta si abbassa, una depressione, una volta si alza, una prominenza. Si è anticipato poco fa che ci saremmo soffermati sul tema delle morge e lo facciamo ora procedendo dalla morgia che è a conclusione, degna, del nostro trekking, poiché bella come è stato bello il viaggio effettuato. Si tratta della Morgia dei Briganti oppure Pietravalle, nel primo caso per la presenza al suo interno di cavità nelle quali potevano facilmente nascondersi individui dediti al brigantaggio che, magari, assalivano per derubarli coloro che transitavano sull’importante via di collegamento fra Campobasso e Trivento (la quale la si attraversa nel già citato Piano Sciarra, fra Torella e Pietracupa durante l’escursione di oggi), nel secondo caso per il bosco omonimo che sta nei pressi, una vasta distesa forestale talmente impenetrabile da costituire il confine dell’antica diocesi di Limosano con quella di Trivento. La Morgia dei Briganti è inserita nel Parco delle Morge di cui fa parte pure la rupe, o pietra, appunto, di Pietracupa la quale si trova lungo l’itinerario della giornata a metà percorso, paese in cui ci si arresta il tempo necessario sia per riprendere fiato in quanto sta «nel mezzo del cammin» sia per una doverosa visita alle sue bellezze che non sono solo il masso su cui è poggiato. È interessante il confronto tra la Morgia dei Briganti e quella di Pietracupa, esemplare di una certa categoria di morge che si distinguono perché “abitate”, stiamo rivelando la risultanza della comparazione, in quanto tale messa a raffronto fa emergere che non tutte le morge sono state “sfruttate” in chiave insediativa: nella Morgia dei Briganti è immaginabile solamente l’utilizzo delle sue grotte da parte di individui isolati, pastori eremiti e, certo, briganti, mentre a Bagnoli, Pietrabbondante e Pietracupa esse ospitano comunità. Sempre rimanendo alla verifica di ciò che distingue  (o accomuna) la Morgia dei Briganti alla Rupe di Pietracupa, ambedue vistabili in giornata, è da dire che se i luoghi di eremitaggio, spesso le cavità in cui i primi cristiani andavano a rifugiarsi, uno dei quali è immaginabile sia stata la Morgia dei Briganti, stavano lontano dagli insediamenti umani non è detto che non possano trovarsi caverne che ispirano il raccoglimento spirituale nei centri urbani, tipo la suggestiva chiesetta rupestre di Pietracupa. Questa, ricavata in un antro, i quali in genere sono poco profondi e che, però in questo caso si sviluppa abbastanza dentro il masso roccioso, può essere letta indifferentemente quale chiesa ipogea oppure cripta della parrocchiale sovrastante. I nostri antenati, anche quelli non troppo remoti, hanno sempre mostrato interesse per lo sfruttamento del sottosuolo, per svariati fini: tra questi c’è quello del nascondiglio, di persone e di refurtiva, come in alcune grotte della Morgia dei Briganti, e quello del carcere, adesso nella rupe di Pietracupa, probabilmente per i banditi che partivano proprio dalla Morgia dei Briganti per le loro scorribande, una volta catturati. Vi è un assoluto parallelismo. La funzione carceraria svolta dalle cavità è ricordata da una mostra permanente sugli strumenti di tortura allestita all’interno di queste. Le morge in cui ci imbattiamo oggi sono due delle tante che abbiamo incontrato durante la settimana itinerante che si va concludendo. Elenchiamo di seguito le più appariscenti emergenze rocciose che sono disseminate nel comprensorio in cui abbiamo circolato durante i 6 giorni di escursione: nella prima tappa si è vista la Morgia di Bagnoli del Trigno in cui sono incastonate, quali gemme preziose, la chiesa romanica di S. Silvestro con il relativo campanile e il palazzo Sanfelice, nella seconda tappa le Morge, sono 3, sopra le quali si attesta il borgo di Pietrabbondante, nella quarta tappa la morgia su cui sorge, pur non essendo il punto più alto dell’abitato, il castello di Pescolanciano e, ancora in questa tappa, si è passati accanto verso la fine, al Morricone (sinonimo di morgia) del Pesco con le sue pitture rupestri nel perimetro comunale di Civitanova del Sannio e nella quinta tappa, nella sua fascia mediana, il camminamento ha sfiorato il Monte La Civita di Duronia, anch’essa una morgia. Le morge, salvo qualche sporadica eccezione come la Rocca di Oratino, non sono presenti nel resto della regione o, almeno, il loro numero si infittisce in questo territorio solcato dagli escursionisti nel corso della vacanza settimanale sui tratturi. Tale area costituisce il limite del mondo delle Argille Varicolori da cui, abbastanza casualmente, spuntano queste formazioni calcaree, al quale succede un ambiente, geologicamente parlando, completamente diverso dove il substrato è formato non da terre, quali sono le argille, bensì da ammassi rocciosi. Si tratta di due contesti differenti per quanto riguarda la natura del terreno e l’ambito interessato dal nostro trekking plurigiornaliero rappresenta la zona di transizione dall’uno all’altro che è, poi, il passaggio dal Medio all’Alto Molise. Si può ascrivere, per intero, al territorio altomolisano l’escursione tra Pietrabbondante e Carovilli, cioè la terza tappa, l’unica in cui, se non alla partenza, non abbiamo incontrato morge. Il suolo argilloso è soggetto a frane, che in questi paraggi sono frequenti per cui si rimane colpiti dal dualismo tra l’”immobilità” delle morge e la “mobilità” della superficie circostante. Le morge sono elementi di interesse paesaggistico, per la loro spettacolarità, ecologico in quanto habitat di particolari specie vegetali e animali (varie di esse sono state riconosciute Siti di Importanza Comunitaria), scientifico, per la loro singolarità geologica (più di una rientra tra i Geositi), paleontologico, sulla roccia di Pietracupa vi sono resti fossiliferi e non finisce qui, ma purtroppo è finito il viaggio la cui eccezionale conclusione è la Morgia dei Briganti, diversa dalle altre che, peraltro, sono tutte diverse fra loro. Finisce a tavola, nel ristorante che sta proprio sotto di essa.

di Francesco Manfredi Selvaggi 

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