Quando il fiume fa a nascondino con i tratturi
Durante il trekking effettuato dal Club Alpino Italiano di Campobasso lungo il tratturo tra medio e alto Molise si è incontrato più volte il Trigno (in 4 tappe su 6)
di Francesco Manfredi Selvaggi
12 aprile 2021
L’avvertenza è che si sta per raccontare il percorso, usando una sorta di éscamotage retorico, parlando piuttosto di ciò che non si vede, o meglio si vede poco, che di ciò che si vede.
Per non essere troppo enigmatici si dice subito che si intende parlare più del Trigno che dei due tratturi che nel suo alto corso lo seguono, a debita distanza prevalentemente, o lo attraversano. Il fiume per gran parte del tempo sta nascosto, non visibile dalle piste tratturali, e solo a tratti emerge alla vista di quanti effettuano escursioni lungo di esse. È un po’, con un’espressione fantasiosa, come se il Trigno giocasse a nascondino da millenni con tali millenari tracciati. Fa, infatti, capolino al ponte di Sprondasino fin nella prima tappa del trekking e dal guado lì presente prende avvio la seconda tappa. A lungo il fiume scompare alla vista degli escursionisti e ricompare, improvvisamente a metà della terza tappa nel ponte di S. Mauro; di nuovo si eclissa (nel bosco o meglio selva, Selva di Castiglione) per farsi rivedere nel mezzo della quarta tappa quando i camminatori lo scavalcano passando su un ponte posto appena dopo l’abitato di Pescolanciano. Il tratturo, che da un po’ non è il Celano-Foggia, bensì il Castel di Sangro-Lucera, corre appaiato all’asta fluviale per un breve pezzo finché il fiume si trasforma in lago, o se si vuole, con un’immagine più efficace, si inabissa nel bacino idrico di Chiauci che esso stesso, paradossalmente, ha formato (un altro modo per celarsi). Bisogna aspettare l’inizio della quinta tappa per rivedere il Trigno il quale, come se nulla fosse successo, cioè che non fosse poco innanzi penetrato in un canyon, sbarrato per la creazione dell’invaso artificiale, scorre abbastanza tranquillo nei pressi di Civitanova. Anche prima della sua costruzione, va detto, esso rimaneva occultato a chiunque infilandosi nella stretta e alta Gola di Chiauci.
Una precisazione doverosa è che adesso, tappe n. 4 e 5, il tratturo, il quale si ricorda essere qui il Castel di Sangro-Lucera, segue il Trigno sulla sponda opposta a quella in cui si sviluppa il Celano-Foggia nelle tappe precedenti. Il parallelismo tra tratturo e il nostro corso d’acqua dura poco perché, alla confluenza con il Fiumarello, la direttrice del primo diventa ortogonale a quella del secondo, abbandonandolo definitivamente fino a raggiungere lo spartiacque tra le vallate del Biferno e del Trigno, sulla cui linea è ubicata Torella. Siamo così giunti alla fine della tappa n. 5, incominciata, si può dire, con i piedi nell’acqua del Trigno, ma nella successiva si ha quasi un ripensamento, frutto certo di un qualche sentimento di nostalgia, e ci si dirige nuovamente verso il versante trignino arrestandosi, è la conclusione del “giro a tappe”, alla Morgia dei Briganti da dove si può guardare come prosegue la storia di questo fiume. La sua valle, in antecedenza incassata e con andamento ondivago, si allarga e acquista rettilineità, una morfologia che conserverà, pressappoco, nel prosieguo, nel tratto finale, quello dello sversamento nel mare, ma ciò sfugge allo sguardo di chi osserva da qui. Il fiume cambia pelle subito dopo l’incontro con il Verrino, sotto l’occhio attento della torre di Terravecchia a Sprondasino, punto in cui si chiude il cerchio che riguarda il corso d’acqua per il tratto interessato dall’itinerario seguito, ampliando enormemente il suo alveo ormai pianeggiante e ricolmo di ghiaie. Alla fine si è svelato totalmente anche se da lontano. Il Trigno incrementa, superato Sprondasino, la sua portata grazie al contributo che riceve, limitando l’analisi al territorio frequentato nel tragitto compiuto, dal Vella che vi sfocia nella tappa iniziale e dal Rivo che ha origine ai piedi della Morgia dei Briganti, nell’ultima tappa.
Si è conosciuto per intero, quando, ovviamente, è stato possibile vederlo, il segmento giovanile di questo corpo idrico, con l’eccezione delle sorgenti, comunque non troppo distanti da ponte S. Mauro. Si è esplorato il bacino idrografico in maniera completa (seppure senza le scaturigini principali di Capotrigno) poiché sorpassato il comune di Carovilli, conclusione terza e principio quarta tappa, si entra in quello del Volturno con il suo affluente Vandra (addirittura versante tirrenico e non adriatico). Oltre a sfuggire alla vista come si è detto, muta spesso sembianze, forse per non farsi riconoscere, ingrossandosi nell’incedere come si è riscontrato nei luoghi nei quali è stata concessa la facoltà di spiarlo dal ponte S. Mauro al ponte di Pescolanciano e, infine, a quello di Sprondasino. Il giovane Trigno come un serpente, appunto serpeggia, ha la coda che è stretta a p. S. Mauro e la testa che è larga a Sprondasino, ma è sempre lui; è la stessa acqua (in verità, mai la stessa per via del suo scorrere, il quale impedisce, peraltro, di poterlo afferrare poiché sguscia via in un attimo, solo la diga di Chiauci riesce a imbrigliarlo). E contemporaneamente a p. S. Mauro, Pescolanciano, Civitanova, Sprondasino con facce, fisionomie, diverse. Un atto di autentico trasformismo è stata la sua mutazione in superficie lacustre. Se ne è avvertita la presenza, pur se l’asta fluviale non è minimamente percepibile, tramite dei “segni” indiretti (anche nella caccia al tesoro si lasciano degli indizi), i grossi piloni della Trignina, l’arteria a scorrimento veloce che nella terminologia ufficiale è denominata Fondovalle Trigno proprio perché solca il fondovalle di questo fiume. Per fortuna, per inciso, il suo tracciato non interessa l’aere, il cielo, del fondo vallivo del Trigno immerso nella Riserva della Biodiversità di Collemeluccio, il quale pertanto rimane invisibile da qualsiasi angolo visuale tanto più che è coperto dagli alberi della foresta primordiale di abete bianco. I viadotti della Trignina stanno in bella evidenza, alti come sono, immediatamente ai margini del suolo tratturale sia nelle 2 tappe con le quali si comincia il cammino sia nella terzultima. Insieme all’impatto paesaggistico che è notevole vi è il rumore dei TIR in movimento sugli impalcati; si ha disturbo acustico dovuto ai mezzi automobilistici pure, siamo in vicinanza del prestigioso Casino del Duca, perciò nella seconda tappa nonostante che la superstrada passi in galleria, all’imbocco della stessa.
Un merito, comunque, va dato alla Trignina ed è che ha permesso di vedere la valle del Trigno, altrimenti non visibile da siti di frequentazione antropica. Il Trigno ha un andamento tortuoso, ma la Trignina che è distaccata da terra non se ne preoccupa, tortuosità dovuta alla disposizione disordinata dei rilievi nella presente area e, per certi versi, il Celano-Foggia, seconda e terza tappa, fa la medesima cosa, allontanandosi, però, dal suo corso. I tratturi scelgono di seguire le dorsali, lo farà pure il Castel di Sangro-Lucera nel salire a Duronia, quinta tappa, poiché in tal modo si evitano torrenti, rii o ruscelli; la regolarità morfologica dei rilievi non è assicurata poiché può risultare localmente disturbata, come nella seconda tappa con il tratturo che è costretto nell’incedere verso monte (o verso valle, a piacere) a sorpassare l’incisione del Rio Siccu. È una zona di dorsale, fatta di due gradini, il tratturo è su un gradino orografico più giù di quello culminale (il gradino terminale, assai più stretto, è il lungo crinale che comprende pure la cima di m. Caraceno) quello che da Pietrabbondante porta a ponte S. Mauro dove più propriamente si dovrebbe parlare di terrazzo vista la sua estensione trasversale (si chiama Piana S. Mauro).
Qui è come se la dorsale si fosse appiattita. Le dorsali sono, è una regola costante, dritte e pertanto il seguirle consente, in aggiunta allo stare a distanza dai corpi idrici, di abbreviare le percorrenze e raggiungere rapidamente, in modo alternato, le mete conclusive della transumanza, le montagne abruzzesi e le pianure pugliesi. Non è un male, comunque, incontrare ogni tanto i corsi d’acqua per permettere alle pecore di abbeverarsi; in definitiva, non è casuale l’intrecciarsi del tracciato dei tratturi con quello del Trigno. Infine, si osserva che il tratturo si invecchia, mentre il fiume il cui flusso si rinnova di continuo (come in un mito greco) rimane giovane: per salvare questo “matrimonio” tra l’uno anzianotto e l’altro nella piena gioventù (si spera eterna giovinezza) occorre cancellare la patina del tempo che ingrigisce il suolo tratturale con opportune azioni di restauro paesaggistico.
di Francesco Manfredi Selvaggi