• 17 Maggio 2021

Il Festival perduto

Elegia di una terra chiamata Molise 

di Lino Rufo* (da moliseweb.it)

17 maggio 2021

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Che bello il Molise!
Quando entri nella regione venendo da Roma, oltrepassata la galleria di “Venafro”, ti sembra di entrare in una favola: davanti agli occhi si dirama una vallata che abbraccia tre quarti della provincia d’Isernia e comprende la stessa Isernia, Monteroduni, Roccapipirozzi, Roccaravindola, Pettoranello, ecc.
In poche parole entri in un altro mondo.
Continuando la marcia, attraversi varie zone di montagna e, dopo un’ora di strada, giungi al mare, che comprende circa trentacinque chilometri di costa.
Lungo il percorso trovi di tutto: castelli, luoghi di culto, anfiteatri e teatri romani, paesaggi mozzafiato, due parchi nazionali, biodiversità e ogni tipo di flora e fauna che la natura possa offrire. 

Un percorso ideale che ti permetta di attraversare l’intero territorio regionale, godendone appieno, potrebbe essere: Venafro, Isernia, Agnone, Trivento, Campobasso, Bojano, Larino, Termoli, naturalmente esplorando ogni località intorno a queste cittadine “capo zona”, che constano di una miriade di borghi di una bellezza mozzafiato. 

Un avventore, vista tanta paradisiaca ricchezza naturale, è portato a pensare: “Chissà come sarà bella la gente che popola queste terre!” E avrebbe ragione se fosse passato di qui qualche anno fa, quando queste terre erano un feudo della Democrazia Cristiana la quale, nonostante tutto, riusciva a tenere tranquille le forze avverse, soddisfacendo gli equilibri e facendo sì che le persone si sentissero serene e tranquille. 

La gente dei paesi porta stampati, sulle rughe del viso, gli stenti di una vita, il terrore della guerra e il duro lavoro in una campagna, su gran parte del territorio, ostica e impervia, che non offre la malleabilità dei terreni di pianura.

Ha un temperamento fintamente servile, pronta a riverire il forestiero che si affacci da queste parti, ma altrettanto svelta a criticare aspramente, e rigorosamente alle spalle, il proprio conterraneo, sotto l’egida della considerazione “Questo è di carne e ossa come me, nato in questa terra da genitori simili ai miei, magari anche parenti, quindi non vale niente!”
Se lavori nello spettacolo, stai tranquillo che qui non avrai mai futuro. I paesani un po’ più evoluti, che si sono arrangiati a fare gli impresari musicali o a organizzare eventi, se scritturano artisti da “fuori” li pagano prima ancora della prestazione, portandogli i soldi “in bocca”; se poi, nella stessa sera c’è un “cantante” locale, anche se storicamente riconosciuto, gli dicono “Tu devi aspettare!”, e non si capisce se i soldi li vedrà mai. 

A me è capitato almeno in due Festival, anche importanti, dove lavoravamo in coppia io e un grosso nome americano nel primo o italiano nel secondo. Ai grossi nomi venivano liquidate in anticipo grosse somme in contanti, con tutti gli onori e i ringraziamenti, a me, che mi accollavo i costi delle spese e del mio gruppo veniva dato un secco: “Poi ti pago!”.

Nonostante le lettere dell’avvocato, negli anni successivi, non venivo mai liquidato, ed è successo in più occasioni, anche dopo promesse da parte di amministratori comunali.

Se in queste circostanze, poi, non stai attento e ti lamenti troppo, magari mettono in giro anche la voce infamante e calunniosa che “ti sei rubato i soldi!”

Questo mi è accaduto soltanto in Molise, perché ovunque sia stato ho avuto i rimborsi la sera stessa, con il rispetto e  gli onori da parte di tutti.
Naturalmente, ci sono state anche situazioni in cui è accaduto il contrario: “dove ci sono le mele marce esistono anche quelle commestibili”.
La proprietà intellettuale, qui, è pura utopia.
Mi è capitato di ascoltare registrazioni di mie canzoni scritte e depositate da me personalmente, eseguite da qualche musicista che aveva collaborato al provino il quale, evidentemente, ha ritenuto che ‘aver suonato il pezzo in una demo’, in qualche modo, l’avesse reso co-autore dello stesso.
Mi è capitato di leggere miei articoli già pubblicati, ripubblicati e firmati da altri.

Mi è successo di venire al corrente che slide di miei seminari scientifici siano state proiettate e illustrate da altri professori in facoltà universitarie importanti.
Nel 1964, dopo che il Molise si era separato dall’Abruzzo, si tenne il “Festival della canzone Molisana” I edizione (e ultima) a Roma. Vinse una canzone dedicata alle mie montagne, le Mainarde, “Alle Mainarde vieni viè”. Le altre canzoni portavano titoli che citavano altri paesi, tipo “Vieni a Roccasicura”, ecc.
La singolarità di questa cosa è che dei cantanti nessuno era molisano e neanche gli autori, infatti la canzone vincitrice era del maestro Ruccione, l’autore di “Faccetta nera”.
E pensare che negli anni ’50, quando la regione era Abruzzi e Molise, esisteva un Festival, anche importante, la cui prima edizione si ebbe il 30 luglio 1955 – 1° Festival della Canzone Abruzzese Molisana, che si teneva all’aperto su corso Italia a Vasto. In questa edizione il presentatore era Corrado Mantoni della Rai.
Alla quarta edizione, il Festival della Canzone Abruzzese e Molisana fece un salto di qualità: rimase la sezione abruzzese con 20 canti corali; si aggiunse la sezione italiana con 11 canzoni composte da compositori nazionali che furono cantate da noti cantanti dell’epoca: Jula de Palma, Franca Raimondi (vincitrice 4° festival di Sanremo), Elsa Quarta, Antonio Basurto, Rosanna Gherardi, Renzo Angiolucci, ecc.; fu assicurata la presenza della RAI.
Vinse Jula De Palma, ma il successo giunto fino ai nostri giorni fu “T’aspetto a Vasto”, cantata sul palco da Renzo Angiolucci (primo maestro di Gianni Morandi), e poi incisa da Gloria Christian, versione giunta fino a noi.
Il 5° Festival di Vasto, 1959 continuò a puntare sui big.
Solo 6 canzoni abruzzesi, selezionate e cantate dal coro, e ben 10 in italiano composte da noti compositori italiani e cantate da famosi cantanti tra cui Nunzio Gallo e Luciano Rondinella.
Il festival fu presentato da Renato Tagliani con Tino Scotti. Presente la RAI.
Il brano più famoso giunto fino a noi, “Ti chiamerò Marina”, fu inciso successivamente da Claudio Villa, nel retro di “Binario”. Al primo Festival della Canzone Mediterranea di Barcellona del 1959 Villa cantò i due brani e “Binario” vinse il primo premio e “Ti chiamerò Marina” il secondo!
Nel testo di quest’ultimo si decantano le bellezze di Vasto…
“Ti vidi a Vasto sull’immenso mare,
quel mar d’Abruzzo pieno di splendore…
Ricordo sempre, amore,
che disegnasti un cuore,
su quella sabbia ardente di pieno agosto
e il grande mare cantava davanti a Vasto…”
L’ottava edizione, che fu anche l’ultima, si svolse nel 1963 con un ritorno alle origini: solo 11 canzoni abruzzesi, ma con cantanti nazionali tra cui spiccavano Achille Togliani e Gino Corcelli & Co.
In realtà, il Molise non ha mai avuto una musica propria. Qualunque canzone abbia un sapore popolare, è fortemente influenzata dalle regioni limitrofe, soprattutto dalla Campania e dalla Puglia. Nella musica etnica s쳭e la stessa cosa. I più attivi esponenti dell’arte del pentagramma prendono spunto dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, da Roberto De Simone, ma anche da De André.
Forse il fenomeno è dovuto alla “forestierofilia” che affligge gli autoctoni o soltanto, come dice il mio amico docente universitario prof. Onorato Bucci, dalla “mmidia e d’mmidia” (invidia) di queste genti.
Prima le persone non erano così. Non so cosa sia successo negli ultimi cinquant’anni, ma ora sembrano incattivite e prive di ogni moto spontaneo.
Prima ti donavano ciò che avevano per se stesse, con naturalezza, senza secondi fini o ipocrisia, ma con un senso di sincera condivisione.
Forse i media, la troppa comunicazione perpetrata ad opera di personaggi senza scrupoli, internet male interpretato e i social che oggi trasformano chiunque in opinion leader, facendo montare la testa anche al più sprovveduto uonuomo dell’ultimo borgo arroccato sulle montagne, hanno cambiato la natura di questa brava gente, rendendola diffidente ed eccessivamente attenta.
Oggi si fanno grandi discorsi sulla cultura, ma in senso speculativo, perché le persone che spingono in tal senso, s’impegnerebbero con tutte se stesse in qualche campo esattamente agli opposti se la politica investisse fondi per quest’altra cosa: quindi la cultura diventa un business, un buon affare, non la necessità di un cambiamento migliorativo ai fini evolutivi della nostra micro società e del contenimento dell’emigrazione altrove.
Se si vuole investire sulla cultura bisogna ricercare all’interno del tessuto sociale molisano le risorse incomprese, di cui è pieno il territorio, a parte i grandi, riconosciuti universalmente, Andrea D’Isernia, Francesco Jovine o Vincenzo Cuoco, ma anche tutti coloro, nascosti, derisi, disprezzati dal volgo, animi sensibili che portano avanti un loro discorso comunicativo in modo originale e personale.
L’arte, in fondo, è comunicazione creativa, spontanea, secondo i propri mezzi e le proprie capacità. Caratteristiche oggi difficili da mantenere integre e protette da avvoltoi pronti a carpire la preda intellettuale per aggiungere un ennesimo merito alla propria insignificante capacità di creare. Costoro hanno un grande talento nel costruire bugie sfruttando la capacità intellettuale altrui e sporcando ulteriormente il mondo in cui viviamo che, invece di essere ripulito dalle scorie, s’inquina sempre più, rendendo impossibile recuperare la vista del vero.
L’oscurità ci coglierà impreparati e sarà la fine…

di Lino Rufo* (da moliseweb.it)

*Artista molisano attivo dalla seconda metà degli anni Settanta con proprie formazioni soprattutto in ambito blues e jazz, ma anche collaborazioni importanti (Enzo Avitabile, Goran Kuzminac, Napoli Centrale, James Senese, ecc.), partecipazioni di rilievo (Pooh), tour con altri giovani artisti (Alex Britti, Edoardo De Angelis, Marco Ferradini, Alberto Fortis, Vasco Rossi, Vincenzo Spampinato, Telesforo, ecc.), arrangiamenti e produzioni (Francesco Pannofino).

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