Papa Francesco sulla condivisione dei beni
Il tema cristiano della misericordia non è solo compassione e perdono, ma capacità di attaccamento amorevole di una persona verso le altre non a parole ma attraverso opere
di Umberto Berardo
24 maggio 2021
Nell’omelia durante la celebrazione eucaristica di domenica 11 aprile nella chiesa di Santo Spirito in Sassia a Roma papa Francesco ha affrontato il tema cristiano della misericordia che non è solo compassione e perdono, ma capacità di attaccamento amorevole di una persona verso le altre non a parole ma attraverso opere.
Questa virtù, proveniente per i cristiani dall’amore infinito di Dio, deve esprimersi attraverso una fede che non può essere vuoto spiritualismo, ma capacità d’incarnarsi nella storia per farsi testimonianza dei doni di Dio all’umanità condividendoli con gli altri.
Il papa ha affermato al riguardo: “Non rimaniamo indifferenti, non viviamo una fede a metà, che riceve ma non dà, che accoglie il dono ma non si fa dono” ed ancora “Siamo stati misericordiati, diventiamo misericordiosi. Perché se l’amore finisce con noi stessi, la fede si prosciuga in un intimismo sterile. Senza gli altri diventa disincarnata. Senza le opere di misericordia muore”.
Attraverso neologismi molto funzionali c’è questa affermazione molto profonda di una fede che necessariamente dev’essere nella storia testimonianza della misericordia di Dio e della necessità che essa viva con la vita dei cristiani nella costruzione della giustizia sociale attraverso le opere di condivisione dell’amore del Padre e dei beni che Lui ha messo a disposizione non dei singoli ma dell’intera umanità presente e futura.
Già lo scorso 30 ottobre in un suo messaggio per la Conferenza Internazionale dei giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America il pontefice aveva ribadito quello che poi è il pensiero espresso dalla Chiesa Cattolica in molti documenti ed in particolare nelle encicliche “Centesimus annus”, “Laborem exercens”, “Caritas in veritate” e da ultimo “Fratelli tutti” e cioè che “Il diritto alla proprietà è un diritto naturale secondario derivato dal diritto di cui tutti sono titolari, scaturito dalla destinazione universale dei beni creati. Non vi è giustizia sociale in grado di affrontare l’iniquità che presupponga la concentrazione della ricchezza”.
Nella sua omelia di domenica 11 aprile dunque papa Francesco ha voluto riaffermare con forza il valore essenziale della misericordia che, quando è autentica, porta necessariamente al concetto di condivisione dei beni con la creazione di uno stile di vita non orientato appunto alla concentrazione della ricchezza ma ad una sua redistribuzione equa.
In tale direzione il suo sermone non poteva che far riferimento agli atti degli apostoli che riferiscono come nelle prime comunità cristiane “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune”.
“Non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro” ha aggiunto poi il pontefice sottolineando che tale stato di comunione tra i discepoli ed i seguaci di Gesù “è tanto più sorprendente se pensiamo che quegli stessi discepoli poco prima avevano litigato su premi e onori, su chi fosse il più grande tra di loro”.
È al solito un appello forte a non cercare prestigio, privilegi e ricchezza superflua ed inutile, ma a vivere la condivisione come stile di vita cristiano aperto alla creazione di una convivenza equa e ad una qualità della vita accettabile per tutti gli esseri umani a qualunque nazionalità essi appartengano.
In questa posizione di papa Francesco ci sono due principi fondamentali ovvero quello della giustizia sociale e dell’universalismo dei diritti d’altronde da sempre affermati nel Catechismo della Chiesa Cattolica ed in particolare nel seguente testo “La creazione è voluta da Dio come un dono fatto all’uomo, come una eredità a lui destinata e affidata”.
Da questo deriva un’esigenza etica concreta che è quella della destinazione dei beni del mondo a tutti ed in modo equo.
Sicuramente, escluse alcune forme limitate di organizzazione sociale, c’è stata sempre nella storia e persiste soprattutto oggi una profonda dissonanza tra tali principi di vita e l’organizzazione di un sistema economico e politico votato piuttosto alla ricerca dell’individualismo più sfrenato che sta determinando disuguaglianze e perfino morti per miseria e fame in un mondo incapace di gestire le risorse per garantire a tutti i diritti fondamentali che pure ipocritamente abbiamo scritto in tante dichiarazioni e Costituzioni di livello nazionale ed internazionale.
Tale discordanza è presente in un neoliberismo speculativo sempre più inaccettabile nelle regole e nelle funzioni, ma anche in tante istituzioni religiose, politiche, finanziarie ed economiche nelle quali il concetto della giustizia sociale è pura affermazione formale piuttosto che criterio di organizzazione reale delle collettività.
La stessa Chiesa Cattolica da Costantino in poi, più che testimone di condivisione, è stata coinvolta nel potere e nella ricchezza con una gerarchia spesso immersa, come con lo IOR, nel giro di quel neoliberismo speculativo che pure si condanna in tanti documenti.
Sicuramente in essa tra principi ed azioni ci sono tante dissonanze cui accennavo e che necessariamente vanno eliminate.
Credo al riguardo sia perfettamente sottoscrivibile quanto afferma al riguardo il vescovo di Noto Antonio Staglianò “Il cattolicesimo convenzionale è l’alienazione religiosa: dove si prega, ma non si opera la carità, dove s’invoca Dio e non si obbedisce al suo comandamento dell’amore, dove si chiede misericordia e non si perdona. Un ‘cattolicesimo svuotato di cristianesimo’ è l’eresia ultima, perché non fa funzionare la salvezza cristiana nella carne degli esseri umani.
L’eresia ultima si vive nel cattolicesimo convenzionale, nel mascheramento complessivo che pur mantiene inalterato il linguaggio cattolico: segni rituali, dottrine, manifestazioni, organizzazioni, preghiere.
Tutto è cattolico, ma non più cristiano, cioè, senza la carne di Cristo, l’umanità di Gesù”.
Papa Francesco, anche se in mezzo a grandi difficoltà, sta provando a dare una nuova immagine della Chiesa e della Curia, ma anche a darle credibilità attraverso la vita di quel popolo di Dio chiamato a testimoniarne il messaggio attraverso uno stile di vita autenticamente ispirato al Vangelo e l’impegno per il superamento di quei modelli economici e politici che oggi stanno creando grande diseguaglianza e miseria in tanta parte del pianeta.
Talora s’insinua la sensazione che nello stesso clero non ci sia poi questa grande attenzione e un sostegno dichiarato alle posizioni di un papa che anzi spesso viene attaccato proprio per questa sua volontà innovativa.
In questo momento su alcuni temi controversi si delineano perfino posizioni divisive nel Sinodo in corso in Germania.
Occorrerebbe un movimento dal basso che metta in campo strumenti di riflessione per una teologia sempre più legata al Vangelo e per una riforma ecclesiale davvero incisiva.
Il mondo cattolico per fortuna negli esempi di condivisione può guardare non solo alla figura di Gesù, ma anche alle prime comunità cristiane, a tanta parte del monachesimo, alla Chiesa missionaria ed ai tanti cristiani impegnati nel lavoro prezioso della Caritas nazionale e di quelle diocesane.
È un mondo che non si spende solo nell’evangelizzazione e nel volontariato, ma cerca di andare alle cause della povertà facendo argine al fenomeno ed individuando i circoli viziosi che generano distinzioni e discriminazioni sociali in ordine al godimento dei beni del creato ma anche di quelli prodotti dall’umanità.
Di fronte a tali fenomeni la politica sembra assente ed incapace d’immaginare un nuovo ordine mondiale rispetto agli attuali sistemi finanziari, economici e politici che appaiono sempre meno neutrali e giusti.
Ci sono partiti e movimenti che, nonostante la loro proclamata ispirazione libertaria, egalitaria e democratica sembrano ormai fantasmi irriconoscibili, inutili e vaganti al servizio degli interessi di un individualismo il quale talora si tinge di mecenatismo e filantropia che hanno poco di meritorio mentre servono piuttosto alle grandi imprese per oliare gli ingranaggi della loro penetrazione in talune istituzioni internazionali.
Una cosa certa è che la voce di questo papa è tra le poche a definire criteri dirompenti per uscire dall’attuale ordine mondiale in cui sembrano saltati tutti i principi di giustizia sociale in grado di rimettere al centro della vita la dignità della persona umana con il suo diritto ad un’esistenza degna, ad un ambiente tutelato, alla cultura, alla salute ed al lavoro attraverso un’inclusione di tutti, sicuramente regolata ma senza frontiere, nell’area dei diritti fondamentali.
Francesco ha il potere di mettere in crisi il quieto vivere di chi pensa di poter rimanere in una fede apparente o del tutto finta ma anche di chi non sa o non vuole riconoscere quel messaggio così dirompente che ci viene da quel Gesù di Nazareth che non ci ha solo indicato la via del bene e dell’amore, ma l’ha mantenuta anche nella tragedia della sua morte segnando l’unico percorso di credibilità che risiede nella coerenza tra i principi affermati e gli stili di vita.
Credo che il messaggio profetico e rivoluzionario di questo papa, certamente rivolto anzitutto ai cristiani, possa avere un valore catartico per tutti nella sua freschezza di un pensiero che prova a suscitare la riflessione e l’impegno verso la creazione di una società che abbia al centro di ogni sua struttura la dignità di ogni persona.
di Umberto Berardo