Tassa di successione, proposte e barricate
Bisogna cercare di realizzare concretamente l’idea in cui si crede con la forza d’urto delle lotte sociali insieme alle fasce della popolazione più penalizzate dall’attuale organizzazione sociale
di Umberto Berardo
27 maggio 2021
La tassa sulle successioni e le donazioni in Italia, prevista da un Regio Decreto sin dal 1923, è attualmente tra le più basse al mondo ed è molto al di sotto della media Ocse.
L’aliquota in linea diretta con una franchigia di un milione di euro per ciascun beneficiario è attestata al 4% sul valore complessivo netto.
Nei Paesi europei è progressiva ed oscilla dal 5% fino al 45%.
In Germania è al 30%, in Spagna al 34%, in Gran Bretagna il 40%, in Francia il 45%.
L’erario italiano da tale imposizione incassa appena ottocento milioni di euro contro i 14 miliardi della Francia, i 7 della Germania, i 6 della Gran Bretagna e i 2,7 della Spagna.
Sicuramente tale paragone su un solo tipo di imposta non dà un quadro esauriente della pressione fiscale in Europa, ma è certo che l’Italia per la tassa di successione e donazioni rappresenta quello che si definisce un “paradiso fiscale”.
Da anni si continua a parlare di una revisione di tale imposta, ma non si riesce a cavare un ragno dal buco non solo perché una proposta di legge di Sinistra Italiana è bloccata dalla scorsa legislatura alla Camera, ma la stessa iniziativa dell’economista Fabrizio Barca di qualche anno fa è stata affossata senza fare alcun passo verso una proposta di legge organica.
Oggi tale idea viene ripresa da Enrico Letta, attuale segretario del Partito Democratico.
In estrema sintesi si tratta di un’ipotesi davvero minimale che manterrebbe la franchigia di un milione di euro, ma l’attuale tassa di successione o donazione in linea diretta diventerebbe progressiva salendo fino al 20% oltre i cinque milioni di valore complessivo netto.
Nelle intenzioni del segretario DEM tali nuove entrate dovrebbero servire sulla base dell’Isee familiare a dotare almeno una percentuale del 50% dei diciottenni di un fondo di diecimila euro da destinare ad obiettivi essenziali quali formazione e istruzione, lavoro e piccola imprenditoria, casa e alloggio.
Anche con tali modifiche la tassa in questione resterebbe tra le più basse del nostro continente dove la stessa Unione Europea ha raccomandato in merito un’armonizzazione della legislazione nei diversi Paesi.
L’idea rimessa in campo da Letta certamente non sarebbe di alcun aiuto per l’Italia nella riduzione del suo pesante debito pubblico che impedisce da tempo investimenti consistenti nella ricerca, nell’innovazione e nelle infrastrutture; potrebbe tuttavia dare un contributo importante in una redistribuzione un po’ più equa della ricchezza in relazione ai gruppi sociali ed alle fasce di età.
Il fuoco di sbarramento al riguardo non si è avuto soltanto dalla destra sovranista, Forza Italia, Italia Viva, Movimento Cinque Stelle, ma perfino da diverse componenti all’interno del PD a testimonianza del fatto che ormai le forze a sostegno dell’equità e della giustizia sociale in Parlamento occorre cercarle col lanternino.
Qualche oppositore ad esempio ha definito la proposta “immorale” mentre altri l’hanno apostrofata come “illiberale” e “inaccettabile”.
Ci sono anche i distinguo demagogici di quelli che cercano ogni cavillo pur di non toccare e tassare la ricchezza mentre sappiamo che una tassazione più equa, la lotta all’evasione fiscale e l’eliminazione dei paradisi fiscali con una tassazione uniforme in tutta l’Unione Europea sarebbero i sistemi per giungere ad una società meno egoistica di quella che siamo stati capaci di creare fin qui.
Lo stesso Presidente del Consiglio Mario Draghi ha stroncato l’iniziativa con la seguente dichiarazione: “Non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli. L’economia è in una fase di riflessione, e tutto rientrerà nella riforma complessiva del fisco”.
Abbiamo francamente il timore fondato che siamo ancora in un sistema politico che intende comunicare secondo il proverbio “campa cavallo che l’erba cresce”.
Sul piano economico l’Italia ha un debito pubblico che ha superato il 160% del PIL.
Abbiamo di fronte un bivio: tassare la ricchezza e soprattutto quella di tipo speculativo in maniera progressiva per risanare il bilancio dello Stato o andare incontro al default.
Non illudiamoci di poter risolvere i nostri problemi economici unicamente con il Recovery Fund.
Abbiamo al contrario bisogno di riforme strutturali che non si possono rinviare all’infinito, ma che vanno messe in cantiere subito senza rimandarle come fa da anni la politica.
Perfino nei Paesi ultraliberisti stanno cercando i mezzi fiscali per sanare i bilanci e costruire una società più orientata alla giustizia sociale.
Da noi un sistema politico orientato ai sondaggi elettorali e alla difesa della ricchezza dei ceti sociali di riferimento piuttosto che alle necessità di tutti i cittadini rifiuta aprioristicamente ogni cambiamento dello status quo nonostante le crisi economiche e da ultimo la pandemia abbiano aumentato indiscriminatamente le disuguaglianze portando circa cinquemila italiani a triplicare la propria ricchezza, mentre il 50% più povero ha visto il reddito diminuire pesantemente talora fino all’80%.
La proposta di Letta a noi pare piuttosto estemporanea ed improvvisata nella schematica genericità dei contenuti e perfino nella metodologia di comunicazione.
Tra l’altro la nuova aliquota immaginata è ancora talmente bassa che riuscirebbe forse a mettere nelle casse dello Stato non più di due o tre miliardi anche se non si conosce nei particolari la sua progressività dal milione di franchigia fino ai cinque milioni di euro.
In realtà un suggerimento come quello avanzato viene reso pubblico dopo averlo discusso nelle sedi territoriali del partito e dopo averne cercato il sostegno da parte di altre forze politiche e sociali; si presenta allora il progetto di legge nel Consiglio dei Ministri, essendo il PD forza di governo, e si cerca il consenso in Parlamento.
Se oltretutto si crede fino in fondo a un’idea, si cerca allora di realizzarla concretamente con la forza d’urto delle lotte sociali insieme alle fasce della popolazione più penalizzate dall’attuale organizzazione sociale.
Spero di essere smentito, ma pare che questo percorso non sia stato finora posto in essere.
Se si lanciano proposte e poi le si lascia morire senza alcuna coerenza e soprattutto sprovvisti di linearità con le istanze che si dichiara di voler rappresentare, come sta accadendo già con altri disegni di legge, è del tutto evidente che la politica non può che perdere credibilità allontanando sempre più gli elettori dalle urne in una democrazia involuta in cui la sovranità popolare viene sempre più ridimensionata.
C’è da augurarsi allora che per la riforma della tassa di successione non si tratti ancora di uno specchietto per le allodole ed occorre chiedersi quale può essere il ruolo dei sedicenti partiti riformatori e democratici in un governo cosiddetto di unità nazionale dove finiscono per prevalere decisioni contrarie agli interessi delle classi meno abbienti.
Se le idee dichiarate, tra l’altro non sempre in maniera chiara e lineare, non riescono ad impattare minimamente l’agenda del governo, non vedo quale possa essere il ruolo di partiti cosiddetti progressisti che continuano a veder affermati e realizzati molti principi neoliberisti assistendo solo al miglioramento dei consensi della destra.
Credo che forze autenticamente democratiche e libertarie, se davvero volessero disegnare una società egalitaria, dovrebbero ad esempio avere come primo obiettivo una legge sul lavoro di cittadinanza redistribuendolo equamente tra i giovani e rendendolo sempre più sicuro ed adeguatamente retribuito.
Poiché non credo che una politica sempre meno credibile si ponga simili finalità, si pone davvero la necessità urgente di ricostruire un sistema di rappresentanza attraverso una reale democrazia partecipata.
di Umberto Berardo