Il mercato all’aperto precede il mercato coperto
A Campobasso il mercato “delle erbe”, così come della carne e del pesce si è spostato 50 anni fa e più nel Mercato Coperto.
di Francesco Manfredi-Selvaggi
31 maggio 2021
Si racconterà la storia di piazzetta Palombo la quale più che uno spazio urbanistico è un’opera architettonica per il suo impianto tipologico così definito, anzi troppo, così vincolato all’utilizzo per cui è nata da rendere difficile una riconversione funzionale. Il mercato “delle erbe”, così come della carne e del pesce si è spostato 50 anni fa e più nel Mercato Coperto.
Già Berardino Musenga, autore del progetto vincitore del concorso per l’ampliamento della città del 1812, aveva individuato un suolo da trasformarsi in porticato per allocarvi il mercato. Non se ne fece nulla e bisognò attendere oltre 70 anni perché Campobasso si dotasse di un apposito spazio destinato al commercio, specificamente di prodotti alimentari.
È, infatti, del 1885 la delibera comunale che stabilisce l’esproprio di “un’area di circa 1100 metri quadrati” posta appena dopo la chiesa della Trinità (che solo nel 1929 diventerà Cattedrale) con un ingresso preceduto da un androne trattandosi di quello principale, da via delle Concerie, oggi via Marconi, una strada che ancora nella pianta della città del Bellini di metà ‘800 era destinata ad un settore artigianale causa di cattivi odori; il sito individuato, in definitiva, rientrava in una zona urbana in cui erano relegate attività che non sarebbero state gradite negli ambiti residenziali come il contiguo Borgo Murattiano e nella deliberazione dell’amministrazione civica la scelta è motivata proprio da tale ragione, cioè da una questione di decoro urbanistico.
Si trattava di uno spiazzo di forma rettangolare, caratteristica geometrica che inciderà sul disegno dell’opera, lo vedremo dopo, adiacente ed a servizio della Taverna Caiola, anch’essa fonte di disturbo per la vita cittadina dato il via vai di carrozze qui dirette o in partenza. L’edificio della taverna non viene acquisito e, del resto, non sarebbe stato utile per lo svolgimento degli scambi commerciali immaginando che esso fosse un fabbricato ordinario, con locali di dimensioni contenute. La progettazione venne affidata all’ingegnere Donato D’Alena, affiancato poi dall’ingegnere Marco Bellini, sia l’uno che l’altro dipendenti del Comune, mentre l’impresa chiamata ad eseguire i lavori fu la ditta Rago.
La realizzazione di questo mercato ha rappresentato una operazione di project financing ante litteram perché la costruzione, in vero estremamente celere del primo lotto, pochi mesi, servì, vendendo le “baracche” (così definite negli atti progettuali), a finanziare quello successivo. L’inaugurazione avvenne solo nel 1896, peraltro in una giornata abbastanza particolare, il 16 di agosto, ma il completamento definitivo, ad opera sempre di un ingegnere municipale, Giambattista De Capoa, è in data ulteriore, l’anno 1900.
C’è da credere che quest’ultima fase sia consistita nella edificazione del porticato che occupa uno dei lati del mercato, quello che confina con la Cattedrale, poiché due dei pilastri in muratura che lo compongono servono pure a sostenere l’abside, la quale, pertanto, non poggia sul terreno, bensì, appunto su tale portico; una struttura absidale, per così dire, aerea è davvero inusuale e si deve essere reso necessario adottare simile tipologia costruttiva, così singolare, in quanto unico modo per ampliare, in lunghezza, l’edificio religioso che di lì a poco diventerà cattedra vescovile (altri interventi su questa architettura furono l’innalzamento della navata e il pronao).
È questa l’unica parete in cui invece della pensilina tutt’intorno al mercato vi è il porticato, elementi, comunque, rispondenti alla medesima funzione, quella di proteggere dalla pioggia o dal troppo sole le bancarelle, ed entrambi “segni” che inequivocabilmente qualificano un luogo quale mercato, lo rendono riconoscibile in quanto tale con immediatezza.
Smentendo ciò che si è appena detto, va evidenziato che il fronte che contiene l’entrata è privo di ambedue i manufatti, perché lungo di esso non si appoggiano banchi di vendita, o per lo meno non è consigliabile, sfuggendo al colpo d’occhio dell’acquirente, il quale se li troverebbe alle spalle, nel momento in cui entra nel mercato, sguardo d’insieme che gli consente di indirizzarsi velocemente verso la merce che ha scelto dopo aver comparato le offerte con i relativi prezzi dei vari rivenditori che a loro volta sono sicuri di essere visti.
Si spiega così anche il fatto che la planimetria sia un rettangolo il quale rispetto al quadrato, a parità di area contenuta al suo interno, ha uno sviluppo del perimetro maggiore, cosa che è un indubbio vantaggio per le sale di esposizione (aperte o scoperte) avendosi a disposizione, lateralmente, più posto per esporre. L’architettura annonaria prevede alcuni schemi organizzativi per un mercato, sia di tipo lineare, come potrebbe essere quello di corso Bucci, sia di tipo centralizzato, quello adatto qui.
Alla stregua della “dimensione conforme” di Le Courbisier planimetricamente il mercato non può superare una data estensione, a seconda del modello architettonico che si segue: pensate ad un mercato di strada troppo lungo il quale obbligherebbe il compratore a tragitti estenuanti nello spostarsi da un comparto merceologico ad un altro. Quindi l’impianto architettonico di un mercato deve rispettare diversi condizionamenti e quanto più si attiene alle regole tipologiche, cioè è funzionalmente esatto, tanto più si rivela incapace ad adattarsi ad altri usi, come evidenzia la situazione attuale di piazzetta Palombo.
Essa, pur chiamata così, ha ben poco della piazza, se non la circostanza che è un “vuoto” nel tessuto edilizio. Piazzetta Palombo viveva solo di mattina, la spesa, non esistendo i frigoriferi per i cibi freschi, la si faceva in quelle ore; nel pomeriggio rimaneva chiusa per le pulizie essendo l’igiene il requisito principale di un Mercato dei Commestibili, la sua denominazione ufficiale. Dunque non ci viveva nessuno (vi è la porta di un’abitazione solamente). I corpi di fabbrica che vi prospettano sono bassi, di altezza uniforme, deputati ad ospitare negozi e basta, senza residenze sovrapposte.
Non vi sono fontane al suo centro come si addice ad una piazza perché intralcerebbero gli acquisti. Lasciamo l’argomento della tipologia edilizia e passiamo ad un tema differente che è di qualche interesse anche oggi ed è la gestione di questo che è possibile definire un complesso di botteghe commerciali, piuttosto che un tutt’uno. Infatti, se, da un lato, vi era una concorrenzialità tra gli operatori, in particolare tra quelli che vendono i medesimi beni, dal lato opposto, essi, pur essendo soggetti a sé stanti, avevano la netta sensazione di far parte di un’iniziativa imprenditoriale comune.
È un atteggiamento quest’ultimo che dovrebbe essere replicato se non rafforzato al tempo odierno ed, in effetti, alcune azioni in tale direzione sono state messe in campo (come fanno i negozianti di certe vie che si consorziano per gli addobbi natalizi, a cominciare dalle luminarie). La gente percepisce piazzetta Palombo come una cosa omogenea e non come sommatoria di individualità. Un’immagine forte che si lega pure alla sua riconoscibilità figurativa per l’impiego di ferro e mattone nel fabbricato che le dà il sapore di testimonianza di archeologia industriale che nel nostro caso è pure sostanza.
di Francesco Manfredi-Selvaggi