• 7 Giugno 2021

Le ostie ripiene

La dolce tradizione del Molise

di Lara De Luna (da Repubblica.it)

7 giugno 2021

Back

In tutto la regione, da Agnone a Sepino, il natale ha la forma dell’ostia e il ripieno dolce di miele e frutta secca Il Molise è una delle regioni italiane di cui si conoscono meno le tradizioni, gli usi e i costumi.
Di qualsiasi tipo essi siano, in particolar modo quelle enogastronomiche. La maggior parte dei sapori tramandati dalle storie e dei ricordi, qui viaggiano sulla via delle transumanze; ovvero quelle strade che in Molise, ma non solo, venivano percorse dai pastori durante l’inverno ed è proprio nella vita dei pastori, delle loro famiglie e nelle necessità dei lunghi mesi fuori casa insieme al gregge, che nascono la maggior parte delle ricette. In particolar modo quelle di festa e quelle natalizie. Tra queste, uno dei dolci meno conosciuti e dalla storia più intima, particolarmente legata al territorio del basso Tirreno (ne esistono varianti anche nella provincia di Foggia), sono le ostie ripiene. Un dolce semplicissimo, che unisce il sacro al profano: due ostie, ovviamente non consacrate, vanno a racchiudere una mistura bruna e croccante che ricorda quella dei pani dolci del centro Italia, realizzata con frutta secca spezzettata (mandorle e noci, nella ricetta tradizionale), mischiate con miele e zucchero, scorza d’arancia e un tantino di cannella. Come per ogni ricetta tradizionale, nessuno sa davvero come sia nata.
La storia più antica vuole che un cavaliere errante, legato alla religione come succedeva frequentemente durante il medioevo, durante il suo viaggio solitario si fermò al convento di Agnone. Qui confessò alle religiose le sue colpe dovute alla guerra, i suoi crimini, e chiese alle Clarisse un dolce, un gesto fisico e concreto che potesse servire come offerta di scusa. Come omaggio. Il dolce nacque. Il come somiglia molto alla nascita del panettone e di moltissimi altri dolci le cui origini sono perse nella nebbia della storia e il cui presente è invece molto amato: per errore. Leggenda vuole infatti che una chiesa stava caramellando delle noci, una le cadde e si aiutò con un’ostia appena fatta (in passato le ostie venivano preparate per tutte le chiese nei conventi), il profumo che le arrivò alle narici, derivato da questo incontro, la inebriò totalmente.
L’assaggio del dolce confermò la folgorazione sulla via del gusto scoperto per caso e propose al cavaliere di creare un dolce proprio partendo da quella particolare alchimia. Una ricetta che ancora oggi si mantiene semplice, anche se piccole variazioni della ricetta si hanno da paese a paese, una volta che ci si allontana da Agnone per raggiungere altri paesi del Molise, come Sepino, dove la ricetta prevedere un ripieno ancora più basilare nel gusto, con una predominanza di miele e zucchero rispetto alla frutta. Oggi come in quel tempo, quale sia davvero l’anno di nascita preciso delle ostie ripiene, ammesso che sapere l’anno di nascita di una ricetta faccia la differenza, la forza di questo piatto è la sua semplicità e la capacità di cambiare casa per casa rimanendo sempre lo stesso. Come si legge in tutti i breviari di pasticceria tipica e tradizionale, la cottura delle ostie è altrettanto importante quanto quella del ripieno.
Il breviario recita così: “impastate acqua e farina, formando una pastella semiliquida. Versatene un cucchiaio rapidamente sullo stampo rovente, cuocere per 1′, girate lo stampo per terminare la cottura”. Ruolo fondamentale è quello rivestito dai ferri per la cottura, come nel centro Italia è per le tigelle per esempio, che danno la forma e il disegno esterno dell’ostia, chiara nel colore e finemente ricamata nei rilievi. Questi stampi particolari appartenevano solitamente alle famiglie più ricche, solitamente borghesi di riferimento dei singoli paesi che di volta in volta, durante le festività, le prestavano alle singole famiglie. Un po’ come oggi si torna a fare per i forni comunitari, ma con la differenza che l’utilizzo era relegato a un oggetto molto piccolo.
Le sfoglie sottilissime erano opera esclusiva delle massaie, che le producevano principalmente per i bambini, golosissimi di questi dolci; ognuna aveva e ha la sua particolare ricetta dedita a creare la sfoglia più sottile possibile in modo che il sapore e la consistenza siano dati esclusivamente dal ripieno. Eppure questo dolce era e resta un qualcosa di comunitario: una volta creata la sfoglia, tutta la famiglia si riuniva attorno alla tavola per ritagliare un’ostia dopo l’altra e poi farcirle. Riti arcaici e comunitari che si tramandano ancora oggi. Il tutto, secondo la tradizione, durava due settimane: in questo tempo venivano preparati tutti gli involucri e il contenuto veniva preparato negli ingredienti, le noci da mondare e tagliuzzare, il miele da raccogliere e tenere da parte.
Un’attesa che diventa festa e culmina in quella più grande, che non coincide con il 24 dicembre, come invece accade nelle tradizioni natalizie del centro Italia, ma un paio di giorni prima quando le famiglie tornavano a riunirsi per farcire le ostie che avevano precedentemente preparato. Un concentrato di leggende e affetti, ancora prima che un dolce.

di Lara De Luna (da Repubblica.it)

Back