• 25 Giugno 2021

Le lavorazioni del grano

Tradizioni legate alla mietitura ed alla trebbiatura

di Arnaldo Brunale – fb

25 giugno 2021

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Siamo in piena estate e uno dei più importanti prodotti derivanti dalla lavorazione dei campi è da sempre il grano. La sua coltivazione ha inizio con la semina autunnale e termina a giugno quando le messi dorate sono pronte per essere raccolte all’inizio dell’estate. La mietitura (métenna), che si fa nella fase della luna calante, è ritenuta, fin dai tempi più antichi, uno dei momenti più importanti della vita contadina, insieme alla vendemmia (véllegna) ed al raccolto delle olive.
Una volta, il raccolto del grano avveniva manualmente con il solo ausilio della falce (fàucia). I contadini si alzavano di buon mattino (a prima matina) per dirigersi nelle campagne, dopo aver consumato una sostanziosa colazione a base di peperoni fritti (péparuōle) e baccalà o di frittata con la salsiccia (sauciccia) e aver bevuto un ottimo bicchiere di vino attinto direttamente dalla fiasca di creta (quartāra). Prima di iniziare la mietitura indossavano un grosso mantello di tela o di pelle (mantéra), un cappello di paglia (paglietta) per proteggersi dal sole, ed un fazzoletto a colori (maccatūre) annodato al collo, per tergersi il sudore. Con una mano impugnavano la falce, mentre le dita dell’altra mano, con cui tenevano i ciuffi di spighe da falciare, erano protette da appendici di canna (canniélle), per non tagliarsi. Il lavoro era molto duro e lungo e si protraeva ininterrottamente fino al tocco di mezzogiorno (miézéiuōrne), quando c’era la sosta pranzo. Allora avveniva un rito aggregante molto sentito ed allegro. Si spandeva una tovaglia (tuāglia) sull’erba, all’ombra di un albero frondoso, e si consumava un ricco pasto a base di pasta di casa (làanelle) con fagioli o ceci e salsiccia, contenuto in un grosso vassoio di metallo (spasa), da dove attingevano tutti con le proprie posate. Naturalmente il vino, anche se in modesta quantità, ed il pane di casa non mancavano mai. Dopo una sigaretta preparata manualmente con cartina e trinciato forte (abbrétatūra), i contadini riprendevano il lavoro, mentre le loro donne facevano rientro a casa per accudire i figli, governare gli animali della stalla ed approntare la cena per i loro mariti quando sarebbero ritornati a casa prima del tramonto (véntunóra).
Durante le operazioni di mietitura i contadini erano soliti cantare motivi o stornellate di antica tradizione, un po’ per non avvertire la fatica, un po’ per esternare la gioia per il buon raccolto che stavano facendo. Eduardo Di Iorio, nel suo Saverio ne racconta cento e più…, riporta un antichissimo canto che i contadini di Campobasso intonavano durante la mietitura.
Si tratta di una composizione molto lunga, ma risulta monca nella trascrizione perché l’anziano campobassano che gliela fornì, non la ricordava in maniera completa.
E mo’ ch’abbiamo vibbéte e mangiato, 
E mo’ ch’abbiamo vibbéte e mangiato,
arizilecille tavola da padrone:
A questa tavola n’ c’ha mancate cria, 
E a questa tavola n’ c’ha mancate cria.
Ah! Ringraziam la Vergine de Maria!
E roppe mangiate sott a nu ceppone,
e roppe mangiate sott a nu ceppone,
e ringraziam Dio e lu patrone.
A questa tavola n’ c’ha mancate cria,
E a questa tavola n’ c’ha mancate cria.
Ah! Ringraziam la Vergine de Maria!”.

(Ed ora che abbiamo bevuto e mangiato, 
Ed ora che abbiamo bevuto e mangiato,
si sparecchi la tavola del padrone:
A questa tavola non è mancato niente,
E a questa tavola non è mancato niente.
Ah! Ringraziamo la Vergine Maria!
E dopo mangiato sotto un grosso albero,
e dopo mangiato sotto un grosso albero,
e ringraziamo Dio ed il padrone.
A questa tavola non è mancato niente,
E a questa tavola non è mancato niente.
Ah! Ringraziamo la Vergine Maria!).

Il grano appena mietuto si affastellava e si legava in fasci (méte) che, uniti insieme, formavano il covone (manuōcchie), trasportato successivamente, a dorso di mulo o di asino, sull’aia di una casa colonica per la trebbiatura (tresca).
Al tocco della campana delle 16,00 (véntunora), i contadini lasciavano i campi per fare ritorno presso le loro case dove erano attesi dalle mogli che, nel frattempo, avevano preparato un ricco pranzo serale.
Dopo cena i meno stanchi dal lavoro si concedevano una sigaretta ed una partita a carte tra una bicchierata e l’altra senza, però, andare oltre nelle bevute e nell’orario perché il giorno dopo si sarebbero dovuti alzare di buon mattino per continuare a mietere.
Solo a mietitura ultimata i contadini si regalavano un pranzo più ricco (capécanale).
Questa usanza era rispettata anche in altre occasioni: alla fine della vendemmia, del raccolto delle olive, del mais 

di Arnaldo Brunale – fb

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