• 14 Ottobre 2021

La riforma del catasto, una questione di equità

L’attuale sistema delle rendite catastali genera forti incongruenze, che in genere favoriscono le persone più ricche

di Domenico Di Lisa (da informamolise.com)

14 ottobre 2021

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L’attuale sistema del catasto italiano è stato pensato quasi 70 anni fa ed è rimasto sostanzialmente invariato nel corso degli anni. L’idea era quella di determinare un reddito del singolo immobile, attraverso la “rendita catastale”, ovvero il valore reddituale che il catasto attribuisce per scopi fiscali a un immobile che può generare reddito che si calcola tenendo conto della grandezza dell’immobile (il numero dei vani delle abitazioni), della sua destinazione d’uso e della zona in cui si trova.

La rendita catastale dovrebbe equivalere al cosiddetto “affitto imputato”, ossia all’affitto che un proprietario riceverebbe se decidesse di locare il suo immobile, principio che però non si traduce nella pratica, perché oggi il valore delle rendite catastali non corrisponde a quello degli affitti imputati. Nel corso del tempo si è persa la corrispondenza tra le rendite catastali sia di case simili tra di loro, per esempio di uguale pregio, sia di case diverse tra di loro: pensiamo per un attimo alla rendita catastale di un appartamento ubicato in una zona centrale di una grande città, abitato mediamente da persone benestanti o ricche, che ha una rendita più bassa rispetto ad un immobile della stessa ampiezza situato in estrema periferia, abitato di solito da persone meno ricche, accatastato più di recente.

Pertanto, l’attuale sistema delle rendite catastali genera forti incongruenze, che in genere favoriscono le persone più ricche, poiché il calcolo dell’IMU avviene con le stesse modalità per tutte le case.

A cascata il disallineamento delle rendite catastali crea anche un secondo problema perché esse sono utilizzate anche per calcolare la base imponibile di altre imposte, come quelle sulle eredità o l’acquisto di immobili, o per quantificare l’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) delle famiglie.

Che l’attuale sistema catastale italiano sia iniquo e inefficiente, con conseguenze per gran parte della popolazione, è perciò sotto gli occhi di tutti. Con un catasto riformato, le abitazioni nella stessa zona, se di grandezza e di pregio simile, avrebbero lo stesso prezzo di mercato e quindi la stessa base su cui calcolare le imposte sul patrimonio. In più, si ridurrebbero le incongruenze attuali, per esempio, tra le abitazioni ubicate in periferia e quelle ubicate nei centri delle città.

Eppure la riforma del catasto divide la politica ed è guardata con sospetto dai più, forse perché si ha il timore che essa porterà con sé un aumento delle imposte nonostante anche chi la propone, e lo stesso Presidente del Consiglio, dichiarino che

sarà una riforma a parità di gettito. Concordo sulla parità di gettito ma non capisco, e non condivido, però Draghi quando sostiene che nessuno pagherà di più, perché ci sono situazioni in cui cittadini stanno pagando di più di quello che dovrebbero pagare e altri meno, rispetto ad un catasto aggiornato.

L’obiettivo della parità di gettito non può e non deve significare che tutti continueranno a pagare quanto pagano adesso, perché in questo modo non verrebbe risolto il problema di un sistema iniquo. Se così fosse, perché fare la riforma?

Il catasto attuale é macroscopicamente più ingiusto soprattutto per quei cittadini possessori di immobili nei piccolissimi comuni delle aree interne, comuni falcidiati dallo spopolamento nei quali spesso ereditare una casa equivale ad una sorta di “disgrazia”.

Comuni nei quali esiste un patrimonio edilizio in gran parte inutilizzato e disabitato, dove vengono messe in vendita case al prezzo simbolico di 1 (uno) euro, dove immobili costruiti con immani sacrifici non hanno alcun valore commerciale e sui quali gravano tasse che molti non sono in grado di pagare. Non dobbiamo dimenticare che sugli immobili oltre all’IMU gravano altri tributi quali la TARI, la bolletta per l’energia per non residenti, che è a dir poco esorbitante.

Perché allora gli amministratori di questi piccoli comuni non si organizzano e fanno sentire la propria voce, anche attraverso ANCI e Lega per le Autonomie Locali, per chiedere alle forze politiche ed al Parlamento una riforma che tenga conto di questa situazione profondamente ingiusta?

Sono stato amministratore e perciò non mi sfugge il fatto che rivedendo le basi imponibili al ribasso, in questi piccoli comuni si ridurrebbe sensibilmente il gettito IMU rispetto ad oggi. Ma dalla riforma ci saranno certamente comuni nei quali il gettito aumenterà.

Per garantire pari entrate per la erogazione dei servizi ai cittadini ai piccoli comuni che da questa operazione perderanno gettito, vanno introdotti meccanismi compensativi, ovvero maggiori trasferimenti dallo Stato, da finanziare con il maggiore gettito di quei comuni che dalla riforma del catasto ci guadagneranno.

di Domenico Di Lisa (da informamolise.com)

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