La geometria per capire la geografia
Oppure “una regione a misura di fiume”, dimensionata in relazione alla risorsa idrica geometricamente definita
di Francesco Manfredi-Selvaggi
21 ottobre 2021
I fiumi vengono qui visti come elementi geografici e la maglia geometricamente definita che formano le loro aste contribuisce a disegnare la planimetria della regione. Del resto il Molise si presta bene per tale tipo di lettura visto che la sua forma sostanzialmente è un parallelogramma regolare come direbbero i geometri (non i tecnici dell’edilizia, gli altri!), una sorta di rettangolo.
Controllare un fiume significa esercitare un potere enorme. Poter decidere a chi assegnare l’utilizzo delle acque e quale utilizzazione privilegiare, se per l’irrigazione, se per la molitura del grano, se lasciarla scorrere in alveo per consentire la pesca, quindi cose legate al bisogno primario dell’alimentazione, rappresenta una delle leve di comando più importanti. A bilanciare la convenienza, cioè la facoltà di incidere su settori dell’economia da parte di colui che governa l’asta fluviale, vi sono gli oneri che gli amministratori dei bacini idrici devono assumersi, oltremodo gravosi, i quali vanno dal fronteggiare le piene al ridurre l’erosione e quindi le frane prodotte dai corpi idrici, la causa principale.
Dunque, vantaggi e svantaggi che non possono essere scissi fra loro neanche operativamente e da nessun altro punto di vista. È indispensabile, in definitiva, una visione unitaria nella gestione di un corso d’acqua del quale, è evidente, ce ne si deve occupare dall’inizio, sorgente, alla fine, foce. Non è sicuramente così, ma viene da pensare che ci sia un legame, invero stretto, tra l’unità amministrativa, la quale oggi conosciamo quale Regione, che presiede il territorio molisano e la sua idrologia.
L’indizio è la forma della nostra regione la quale si sviluppa in senso longitudinale, dall’Appennino all’Adriatico, in modo parallelo all’andamento dei maggiori corsi d’acqua che l’attraversano, il Biferno, o la costeggiano, il Trigno e, parzialmente, il Fortore. Non si è citato, lo si sarà notato, il Volturno il quale, tutto sommato, è marginale nell’assetto territoriale del Molise e sulla cui anomalia, comunque, ci soffermeremo in seguito. Così come gli assi fluviali di cui si è detto seguono delle direttrici rettilinee anche l’area occupata dal Molise, per gran parte, ha una configurazione basata su linee rette, a costituire un rettangolo, dimostrando una dipendenza, in quanto a figura geometrica, dall’idrografia.
È questa appena esposta, di certo, una spia e, però, la prova schiacciante è data proprio da quelle porzioni di superficie regionale che, è evidente, contraddicono l’impianto tendenzialmente rettangolare della nostra terra. Stiamo per vedere che sono eccezioni che confermano la regola. Sono comprensori, quello dell’Alto Molise e quello ricomprendente S. Croce di Magliano, che fuoriescono quasi, alla stregua di protuberanze, dallo schema in pianta di tipo rettangolare del Molise, il primo per contenere il pezzo iniziale del Trigno il quale nasce dai monti dell’Altissimo Molise, il secondo perché condizionato dalla curva che disegna il Fortore all’uscita dal lago di Occhito.
Il fatto che si tratta di, per così dire, escrescenze di dimensione ridotta non smentisce la lettura proposta della planimetria del Molise quale parallelogramma regolare, ovvero, non un poligono, la sua rettangolarità. Un rettangolo, peraltro, assai più lungo che largo e ciò si spiega con la circostanza che qui da noi la catena appenninica non è nella mezzeria della Penisola, bensì spostata verso occidente per cui i corsi d’acqua che vi hanno origine devono compiere un lungo tragitto per raggiungere la costa; c’entra, a questo proposito, in particolare quello della lunghezza, che nell’ottica dell’unitarietà gestionale dei fiumi è stata opportuna l’estensione del vecchio Contado di Molise fino al litorale avvenuta nel momento della sua trasformazione in Provincia (si immaginino i contrasti che si sarebbero avuti nell’assegnazione delle acque dell’invaso del Liscione, simili a quelli odierni relativi allo sbarramento di Piana dei Limiti sul Fortore tra Molise e Puglia).
Non doveva essere, ad ogni modo, questa la finalità della ripartizione provinciale voluta dai Francesi se, al capo opposto del territorio molisano, si fece, appunto, l’opposto aggregando al Molise quel lembo di Terra di Lavoro che risalendo il Volturno, fiume essenzialmente campano, anzi il corso d’acqua più grande della Campania, si protende da Venafro fino all’abbazia di S. Vincenzo. Siamo debitori, come preannunciato poco fa, di una spiegazione, quanto più plausibile possibile, sull’anomalia del Volturno che compie quella sterzata all’altezza di Colli al Volturno, dopo la quale, unico tra i fiumi che nascono in Molise, si indirizza verso il Tirreno.
La ragione va cercata nell’esistenza dell’Antiappennino, un sistema di rilievi montuosi che taglia trasversalmente la regione ad una certa distanza dalla dorsale appenninica. Incidentalmente si nota che c’è anche qui quel parallelismo che ritroviamo longitudinalmente tra le teorie di colline separate l’una dall’altra da vallate dei corsi d’acqua che si concludono nell’Adriatico; piace segnalare ciò, non è nient’altro che una segnalazione, per evidenziare la capacità della Geometria di descrizione della Geografia. Nel Rinascimento si pone al centro del mondo misurando lo spazio mediante la Prospettiva che è, poi, la Geometria Proiettiva.
L’Antiappennino è un termine, forse un neologismo, che richiama quello utilizzato dai geografi di anticima per indicare le emergenze sommitali che precedono la vetta vera e propria. Lucio Gambi aveva impiegato l’espressione, per definire tale insieme concatenato di episodi montani che caratterizza l’ambito molisano con altitudini la metà di quelle dell’Appennino, circa m. 1000, di «piccolo Appennino». Una diramazione dell’Antiappennino è la serie di complessi montagnosi che, in maniera continua, chiude il tratto iniziale della valle del Volturno e, pertanto, dirimpettaia delle Mainarde.
Il Volturno avendo trovato tale ostacolo deve, gioco forza, piegarsi e cambiare direzione di marcia, lasciando il versante adriatico e passando a quello tirrenico. L’atteggiamento che i fiumi assumono imbattendosi in tale struttura morfologica in cui convivono elementi altocollinari e di bassa montagna è differente da fiume a fiume, in dipendenza della orografia dei luoghi. Partendo da nord, il Trigno, uscito dalla stretta di Chiauci, si imbatte nei primi contrafforti della Montagnola, con i suoi oltre 1400 metri la cima più alta dell’Antiappennino, è costretto a deviare la sua corsa, ma ciò si rivela in qualche modo provvidenziale perché solo a causa di quest’incontro comincia a prendere l’aspetto appropriato di un fiume appenninico che è di essere perpendicolare al mare.
Scendendo verso sud abbiamo il Biferno i cui affluenti della prim’ora vengono convinti dallo stesso membro dell’Antiappennino, anche se nella faccia contrapposta, il retro, a confluirvi attraverso un percorso obbligato nella mezzeria della conca di Boiano la quale è stretta tra il Matese e la Montagnola. Nel limite meridionale della regione c’è il Tammaro che si incunea nella piana frapposta tra il massiccio matesino e monte Saraceno, il punto di partenza dell’Antiappennino, raggiungendo il Volturno che intanto ha completato l’aggiramento del Matese. Governare la rete idrica, chiunque ci si metta, è complicato in diretta conseguenza della sua complessità pur in un areale relativamente ristretto com’è il Molise e tenendo conto che alcuni fiumi sono in comune con regioni confinanti.
di Francesco Manfredi-Selvaggi