Terremoto anno ventesimo
Lettera aperta a quanti vogliono terremotare la vecchia politica
di Antonio Di lalla (da lafonte.tv)
3 novembre 2021
Dopo 19 anni da quel fatidico 31 ottobre 2002 quando alle 11,32 il terremoto ha mutato il volto dei nostri comuni, ma soprattutto le coscienze delle persone, sembra ormai che un velo pietoso sia stato steso definitivamente sull’evento e le sue conseguenze. Certo l’Italia è stata sconquassata da altri terremoti, alluvioni, devastazioni e ora c’è anche la pandemia in corso per cui il nostro dramma è sempre più solo il nostro. E il rischio che il tutto si risolva in una stanca commemorazione è talmente reale che possiamo prendere in prestito dal genio di Totò i primi versi de ‘A livella per descriverla, giorno a parte: “Ogn’ anno, il due novembre, c’é l’usanza/ per i defunti andare al Cimitero./ Ognuno ll’adda fà chesta crianza;/ ognuno adda tené chistu penziero”.
Appare sempre più evidente la pochezza della politica locale che non ha saputo trasformare una tragedia in risorsa collettiva. E diversi di quei politicanti sono ancora impunemente in prima linea. Le case in parte sono state ricostruite e chi non apparteneva alla classe “A” ha cercato soluzioni nel progetto nazionale del superbonus 110%. Molti comuni si trovano ora a gestire con affanno pachidermi in muratura – bisognosi di continua manutenzione – voluti più per sfruttare i benefici del terremoto che per reali necessità: edifici scolastici risanati e chiusi per mancanza di materia prima, palazzi inutilizzabili, musei senza visitatori, opere faraoniche all’abbandono. Finanziamenti, spalmati su tutto il territorio regionale, arrivarono anche per la cosiddetta ripresa produttiva che però non c’è mai stata. Il grande errore degli amministratori locali fu quello di non consorziarsi per uno sviluppo collettivo ma ognuno corse per il proprio campanile, affidandosi a soggetti poco raccomandabili che hanno costruito la loro fortuna sui bisogni reali di gente disperata.
Una nuova generazione di amministratori ora si sta affacciando sulla scena. Speriamo che non commettano ancora lo stesso errore di camminare gli uni all’insaputa degli altri o addirittura contro gli altri ma, solidali tra loro, cerchino finalmente una via di riscatto comune. Insieme sono una vera forza, possono costringere i politicanti regionali a tornare con i piedi per terra. Hanno il compito di rivitalizzare i paesi sempre più spopolati, con strade al limite della praticabilità, dove il lavoro è un’utopia e le terre sono preda delle multinazionali pronte a piantare non alberi ma pali eolici e pannelli fotovoltaici, dove la sanità regionale è allo sfascio mentre quella sul territorio non trova ancora radici. La presenza di donne con la fascia fa ben sperare. Il modello Riace, checché ne dica la solita destraccia, è una proposta valida e da praticare prima che il nostro territorio sia popolato da paesi fantasma. Abbiamo espresso, come rivista, solidarietà all’ex sindaco Mimmo Lucano che, al di là di errori formali, sanzionati duramente dalla legge, è riuscito a ridare dignità a una terra che aveva come prospettiva unicamente la desertificazione.
L’elezione nelle due città capoluogo del Molise di sindaci che non rispondono alle vecchie logiche di spartizione clientelare fa ben sperare che qualcosa possa cambiare anche se, a nostro modesto avviso, i buoni risultati sono frutto più di dispetti e prove di forza tra i partiti, che tenevano in scacco le comunità, che forza propulsiva di rinnovamento, ancora purtroppo minoritaria. Noi continuiamo a soffiare sul fuoco perché l’incendio divampi e incenerisca non la natura, come è accaduto nefastamente questa estate, ma tutto il vecchio assetto politico clientelare che tiene in ostaggio il Molise.
L’obiettivo vero, la fortezza da espugnare è il consiglio regionale. E se il presidente della giunta Donato Toma ha già annunciato che si ricandiderà non possiamo che incoraggiarlo così almeno un fronte sarà fuori combattimento. Sansone morirà con tutti i filistei, senza nessun rimpianto. Ci preoccupa seriamente invece il fronte sedicente progressista che spesso non riesce a vedere oltre il proprio ombelico, tant’è che non si è mai preoccupato di rinnovarsi facendo crescere nuovi talenti per competenza e onestà. Finché il PD strizza l’occhio a Patriciello, politico navigato capace di annusare per tempo da che parte schierare la sua fregata, anziché alla società civile, sarà al massimo una vittoria di Pirro, come è emerso con chiarezza nelle precedenti legislature. È proprio nella società civile che bisogna individuare un valido candidato alla presidenza della giunta regionale e ritessere una politica al servizio del bene comune e quindi allontanare, come soggetti indesiderati, quanti già si sono compromessi con la gestione del potere.
Impariamo da papa Francesco che ha voluto che il sinodo non si svolgesse nelle sacrestie ma interpellasse la gente, per strada, per tornare a camminare insieme. È quello che sta facendo, per esempio, il vescovo di Termoli-Larino ponendo la diocesi in ascolto permanente delle istanze che emergono dalla società, nonostante i ricalcitranti ancora convinti che non hanno niente da imparare dai poveri, dagli impoveriti, dagli scarti umani. Se lo fa la chiesa cattolica può farlo anche la politica regionale. I molisani finalmente così non dovranno più vergognarsi dei loro amministratori. Una nuova era può nascere: basta volerlo. A noi sta a cuore e per questo continueremo a lavorare
di Antonio Di lalla (da lafonte.tv)