Un nuovo umanesimo sociale
La disuguaglianza e le povertà stanno crescendo in maniera esponenziale. È importante cercare di delineare una strada percorribile nella direzione di un nuovo umanesimo sociale
di Umberto Berardo
20 dicembre 2021
Da circa un secolo e mezzo ormai la borghesia, il mondo industriale e quello finanziario stanno imponendo una visione della società il cui il fine centrale è il profitto e l’arricchimento mentre la persona non ha più alcuna considerazione come valore in sé, ma viene trasformata sempre più in una variabile dipendente del tornaconto di pochissimi ricchi.
L’organizzazione dei processi produttivi, della distribuzione commerciale, degli assetti finanziari così come gran parte dei sistemi di comunicazione sono ormai nelle mani di una plutocrazia neoliberista e delle lobbies collegate che hanno posto i propri uomini nei punti cruciali di decisione economica e politica.
La forza di questi poteri forti si è talmente espansa che è stata capace di destrutturare le principali istituzioni del processo democratico costruito a fatica con le elaborazioni concettuali ed il lavoro di tanti pensatori e di molti esponenti della politica nel corso di molti secoli.
In molti Paesi ormai l’involuzione della democrazia è talmente inaccettabile che essa appare ridotta talora ad una finzione visto che le forze politiche sono quasi tutte al rimorchio del sistema neoliberista mentre il mondo operaio e soprattutto i disoccupati sembrano non avere più alcun tipo di rappresentanza come dimostra chiaramente in Italia l’iter della legge di bilancio 2022 che sta proseguendo in pratica senza alcuna richiesta di modifica che la porti verso provvedimenti vicini ad una qualche forma di equità.
La mancanza di fiducia nelle istituzioni da noi sta raggiungendo livelli elevati al punto che ormai il 50% degli aventi diritto non si reca più a votare conscio che il Parlamento con l’attuale legge elettorale ha membri che non rappresentano più i cittadini ma oligarchie di vario genere.
Sull’unica forma di opposizione alla Finanziaria in senso egalitario e cioè lo sciopero generale del 16 dicembre 2021, al quale tra l’altro non ha partecipato nessun esponente politico, addirittura il segretario del Partito democratico Enrico Letta, chiaramente spiazzato dalle decisioni di Cgil e Uil, si è detto “sorpreso” giudicando i provvedimenti del governo “equilibrati”.
Non so quale equilibrio si possa vedere in una Legge finanziaria che nella revisione delle aliquote Irpef e degli scaglioni di reddito come nella conferma del Super Bonus del 110% non fa altro che agevolare le fasce sociali più agiate a danno di quelle più bisognose.
In realtà la disuguaglianza e le povertà stanno crescendo in maniera esponenziale e anche quelli che si definiscono ormai impropriamente partiti di sinistra sembrano voler ignorare il fenomeno avendo scelto probabilmente di rappresentare le istanze di ceti sociali che non appartengono certo al mondo del lavoro.
I lavoratori ed in particolare quelli più giovani sono ormai ricattati con contratti di una precarietà impressionante e i disoccupati sono tenuti buoni con forme di sussidio come il Reddito di Cittadinanza che finora è rimasto appunto un sostegno incapace di indirizzare ad una qualche forma di attività.
Il ridimensionamento di molte conquiste da parte delle lotte operaie del secolo scorso ha portato ad una vera deriva nel mondo del lavoro e ad un’involuzione dei diritti relativi.
Warren Edward Buffett, imprenditore ed economista tra i più ricchi del mondo, ha potuto affermare che la lotta di classe non è scomparsa, ancora c’è, ma la stanno vincendo i ricchi.
In Italia di sicuro questa vittoria delle lobbies economiche e finanziarie è ormai palese.
La rinuncia alle garanzie dello Statuto dei Lavoratori, la precarizzazione del rapporto di lavoro, il ricatto delle delocalizzazioni, lo sfruttamento della manodopera con una compressione sempre più accentuata dei salari e la diminuzione degli standard di sicurezza nelle aziende stanno portando ad un progressivo peggioramento della situazione sociale del Paese di cui le forze politiche in Parlamento credo non si rendano più conto.
Gli indirizzi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNNR) orientati alla semplificazione e velocizzazione degli appalti, secondo le indicazione dell’Unione Europea, non aiuteranno certo a rendere più sicuro il lavoro e a diminuire le tante morti bianche il cui numero diventa sempre più allarmante perché l’ispirazione dell’economia è nella competitività, nella concorrenza, nel profitto ad ogni costo e nella logica delle privatizzazioni, tutti principi che da anni in Italia hanno determinato lo smantellamento delle imprese a partecipazione statale con la privatizzazione di molte aziende e di importanti banche.
Nonostante la ripresa economica che sembra delinearsi dopo due anni di pandemia la situazione occupazionale per i giovani non vede numeri accettabili né all’orizzonte si avverte, se non negli annunci, una qualche proposta concreta per rendere il lavoro un diritto sempre più tutelato e sicuro.
L’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro non è diventato solo difficile, ma appare sempre più drammaticamente problematico.
Su tali questioni la politica, anche quella dei cosiddetti “migliori”, appare colpevolmente ferma.
È importante allora cercare di delineare una strada percorribile in tale direzione.
Io credo fondamentalmente che essa possa essere individuata in una forma di umanesimo che riesca a dare un orientamento sociale all’economia eliminando tutte le strutture e gli attuali paradigmi economici che rappresentano la negazione dell’uguaglianza e della giustizia sociale.
La prima cosa da fare è rimuovere la convinzione che le forme di sussidio temporaneo o definitivo possano in qualche modo aiutare la diminuzione o il superamento della disoccupazione o della povertà.
La creazione di imprese socializzate, il principio di pari opportunità e la redistribuzione equa del lavoro a disposizione rappresentano in un Paese i soli sistemi che possono dare dignità alle persone; dunque ad essi dobbiamo guardare per raggiungere la piena occupazione e una forma di produzione che metta al centro non la follia di un consumismo esasperato, ma la creazione di beni funzionali ad una qualità accettabile della vita per l’intera collettività.
Costruire politiche attive del lavoro significa porre in essere innovazioni radicali di carattere legislativo e sociale.
La prima, come ho continuamente sottolineato, è quella di incentivare lo spostamento dei capitali dagli investimenti speculativi all’economia reale.
In un Paese come l’Italia con uno dei più alti numeri di ore settimanali lavorate è indispensabile giungere al più presto ad una riduzione dell’orario di lavoro.
Un altro obiettivo che finalmente occorre mettere nell’agenda politica è l’eliminazione del lavoro nero non solo all’interno dei confini nazionali ma anche sul piano internazionale perché, oltre ad essere sottopagato, è uno degli ostacoli più grandi per la realizzazione della piena occupazione.
Non è un’operazione impossibile se si ha veramente voglia di eliminare la disonestà imprenditoriale di quanti fanno ricorso ad un tale sistema per arricchirsi frodando sia gli operai con un salario inadeguato che lo Stato attraverso l’evasione fiscale che rappresenta una disonestà ma anche una delle cause più rilevanti del debito pubblico e della disuguaglianza sociale.
Vi è poi la necessità di migliorare la formazione professionale che va ovviamente riqualificata sistematicamente.
Poiché è ormai palese l’inefficienza funzionale dei Centri per l’Impiego, occorre pensare a sistemi diversi di orientamento al lavoro attraverso un impegno di collaborazione tra Stato, Regioni, imprese e sindacati che preveda in agenzie appositamente create l’assunzione di addetti con competenze in grado di far incrociare domanda ed offerta, indicare le necessità formative, predisporre piani individualizzati e fare consulenza metodica.
In questa direzione nel PNRR ci sono risorse importanti che non possiamo permetterci di perdere.
Il lavoro in ogni caso non va rivalutato solo nella stabilità dei contratti e sul versante della retribuzione, ma anche nella sicurezza delle attrezzature e dei luoghi in cui si esercita che entrambi devono essere adeguatamente controllati sanzionando chi contravviene alle norme fino a chiudere l’attività di imprese nelle quali gli incidenti risultano troppo ripetuti.
Il governo in carica dispone di risorse importanti come quelle del Next Generation Ue che dovrebbe davvero sfruttare al meglio per il potenziamento delle strutture sanitarie pubbliche nella tutela piena della salute dei cittadini, per la realizzazione della piena occupazione e per la difesa dell’ambiente e del territorio.
Come si dice in gergo, “se perdiamo questo treno, sarà difficile trovarne un altro”..
di Umberto Berardo