Il contratto di fiume e dei suoi affluenti
La “liquidità” è un carattere di diversi scorci panoramici della terra molisana
di Francesco Manfredi-Selvaggi
4 gennaio 2022
È evidente che non si può limitare la concertazione per la stipula di questo innovativo documento contrattuale alla sola asta principale della rete idrografica, bisogna includere anche i suoi affluenti. Questi ultimi sono altrettanto importanti, naturalisticamente e percettivamente, dei loro corpi recettori, cioè non sono semplici portatori d’acqua dei fiumi, semplici gregari.
I corsi d’acqua come è naturale che sia dovrebbero stare in tutto il Molise; ciò che apparentemente è scontato, lo si ripete, viene smentito dall’assenza di circolazione idrica in superficie nelle aree, peraltro ampie, qui da noi caratterizzate dal fenomeno del carsismo. Sul Matese, salvo poche sorgenti in quota tra le quali vi è Capodacqua vicino a Campitello, non vi è la presenza neanche di rivi, non si dice di fiumi. Nei massicci carsici, comunque, si formano al momento dello scioglimento delle nevi, quelle raccolte nelle doline, laghetti stagionali, prendi il piccolo lago dei Castrati e il grande Lago di Civitanova sulla Montagnola.
L’allargamento dello sguardo dai corpi idrici di tipo lineare a quelli di tipo areale, cioè gli specchi d’acqua, ci è utile anche per formulare la seguente osservazione: nel paesaggio molisano la componente, per così dire, acquosa ha una incidenza maggiore che altrove perché siamo ricchi di invasi, da quello del Liscione a quello di Occhito a quello di Castel S. Vincenzo e che nel prossimo, futuro aumenteranno ulteriormente con il riempimento dei bacini di Chiauci e di Arcichiaro. È doveroso, seppure non essenziale per ciò che riguarda il discorso sull’influenza che essi esercitano sulle vedute paesaggistiche, evidenziare che i primi, quelli carsici, sono di origine naturale, mentre i secondi sono artificiali, frutto dello sbarramento della corrente fluviale.
La “liquidità” è, in qualche modo, un carattere di diversi scorci panoramici di una terra, quella in cui viviamo, fatta di terra, appunto, e di acqua; essa sarebbe addirittura superiore, in verità di pochissimo, se tutti i corsi d’acqua scorressero in superficie, ma ve ne sono alcuni, pochissimi, che spariscono alla vista o perché fluiscono, è il caso del Callora, al di sotto del letto di detriti che essi stessi hanno trasportato e che si sono depositati nel loro, per l’appunto, letto o perché si infiltrano nel sottosuolo, il canale S. Nicola a Monteroduni e, piace citarlo nonostante non sia in territorio regionale, bensì ai suoi confini e, però, nel comprensorio matesino il fiume Lete.
Il Molise è una regione assai ben dotata dal punto di vista idrico tanto da rifornire di tale preziosa risorsa le regioni vicine tra cui la Campania, tramite la captazione del Biferno, anche se non è detto che l’intera acqua che vi circola sia scaturita da fonti che sgorgano dal suo suolo. Il Trigno ha origine nell’alto Molise il che non vuol dire che la sua corrente idrica sia interamente molisana, ricevendo nel cammino che compie l’apporto di vari affluenti del versante abruzzese. Ai bordi l’ambito regionale, i panorami che lo comprendono, è vivacizzato dal movimento delle acque di fiumi provenienti da altre regioni quali il Fortore che ha inizio da 3 sorgenti e non da un’unica appena più in là del perimetro comunale di Riccia, in Campania, e il Sangro che, invece, viene da più lontano, dai monti dell’Abruzzo.
Entrambi toccano, a differenza del Trigno, solo per un breve tratto il confine del Molise, il quale per quanto riguarda il Sangro presenta la singolarità di estendersi per 200 ettari sulla sponda opposta dell’asta fluviale; probabilmente ciò è avvenuto perché il corso d’acqua che qui è in piano formava lì un’ansa la quale dopo la rettificazione dell’alveo è rimasta separata dal resto del territorio regionale (un indizio forte è il nome di quest’area occupata da un bosco igrofilo, Isola di Fonte della Luna), un pezzo di Molise fuori dal Molise.
Viceversa, dalla nostra regione prende origine il Volturno che in seguito diventa il fiume maggiore della Campania; è da notare che è un suo affluente il Tammaro, difficile da crederci in quanto sta nel vertice contrapposto della regione in senso trasversale. Siamo di fronte, in base a quanto finora detto, ad una idrografia complessa la quale rende complicati i quadri visivi molisani che essa condiziona. I piani paesistici vigenti devono operare necessariamente delle semplificazioni allo scopo di fornire norme di tutela unitaria com’è nello spirito di qualsiasi normativa.
Per far ciò occorre una classificazione dei corsi d’acqua riconducendo ad un numero limitato di categorie gli elementi della rete idrografica per ciascuna delle quali è stabilita una fascia di rispetto la cui larghezza varia a seconda se il corpo idrico sversa direttamente nel mare (per il Volturno è il Tirreno) che, perciò, del I ordine oppure se è un tributario di questo, II ordine, fermandosi al IV ordine. La tassonomia è il fondamento dell’attività normativa e, però, si scontra con una realtà idrologica costituita da una congerie di entità idrauliche molto differenti fra di loro.
Lo rivelano pure le loro denominazioni le quali comprendono rio (con le sue varianti, Riovivo, Termoli, Riosecco, Macchiagodena, Riochiaro (Colli al V.), rivo (Rivo a Trivento), torrente (Cervaro a Castelmauro), vallone (delle Coste a S. Massimo), fosso (della Neve a Boiano), fossato (Cupo a Campobasso), fossa (Fossaceca a Fossalto che sta più in alto), rava (a Pozzilli), ravarelle (ovvero Lavarelle a Campitello, mero ruscellamento) fino ai distinti nomi che identificano le sorgenti (il già citato Capodacqua, Caporio a Macchiagodena di nuovo, Foce, in dialetto locale Fota, incredibilmente, con un’inversione di significato, a Campobasso dove c’è pure Focetta).
Tali toponimi hanno poco a che vedere con i connotati idrodinamici del corso d’acqua, con la sua lunghezza, la sua larghezza e, in fin dei conti, con l’ambiente fluviale, problema che hanno in comune con la ripartizione della rete fluviale a seconda di quale posto occupa il corpo idrico nella gerarchia degli affluenti prevista dalla pianificazione paesistica. Un problema nel problema è chi è affluente di chi, dilemma che riguarda le coppie Tappino-Fortore, Trigno-Verrino, Vandra-Volturno; per esemplificare e spiegare vediamo che in quest’ultima accoppiata il primo nei periodi di piena, avendo un bacino idrografico maggiormente ampio, porta più acqua del secondo il quale si prende la rivincita nelle stagioni meno piovose essendo alimentato da copiose sorgenti piuttosto che da precipitazioni atmosferiche come l’altro.
C’è, poi, il caso quasi enigmatico del trinomio Sordo-Carpino-Cavaliere, scomponibile in uno dei due possibili binomi Sordo Cavaliere-Carpino o, al contrario, Carpino Cavaliere-Sordo poiché il Cavaliere non è un’asta fluviale a sé stante, autonoma nei confronti del resto, configurandosi quale prosecuzione di qualsivoglia dei due rami che lo precedono.
di Francesco Manfredi-Selvaggi