Cibo e paesaggio
La filiera del cibo rappresenta il principale canale delle relazioni tra l’uomo e la terra
di Rossano Pazzagli (da nautilusrivista.it)
20 gennaio 2022
Riprendendo l’espressione del contadino e scrittore americano Wendell Berry, secondo il quale “nutrirsi è un atto agricolo” e che, di conseguenza, la produzione agricola può essere considerato “un atto gastronomico”, il paesaggio emerge come elemento di connessione, ricco di valori reali e simbolici.
Il paesaggio agrario, in primis, è stato a lungo lo specchio fedele dell’alimentazione e d’altro canto è ormai appurato che l’agricoltura, oltre a svolgere la sua funzione primaria di produzione di cibo, produce anche paesaggio. È multifunzionale – come si dice – cioè assolve anche alla messa a disposizione di servizi ambientali, sociali, didattici, turistici, di cura del territorio e, appunto, di costruzione paesaggistica.
Cosa sarebbe il bel paesaggio italiano se il territorio non avesse conosciuto i diversi sistemi agricoli che nei secoli hanno contrassegnato le regioni della penisola: la mezzadria dell’Italia centrale, gli alpeggi alpini, le piantate padane o le transumanze e i latifondi meridionali?
La filiera del cibo rappresenta, in effetti, il principale canale delle relazioni tra l’uomo e la terra. Per questo il cibo e la sua produzione devono riconquistare la giusta centralità tra le attività umane.
Siccome l’agricoltura producendo cibo produce anche paesaggio, noi potremmo estendere il concetto espresso da Berry, dicendo che mangiare è anche un atto paesaggistico.
Ma quanta consapevolezza esiste, oggi, di questo legame?
Quando ciascuno di noi mangia potrebbe disegnare, o almeno immaginare il paesaggio corrispondente a ciò che ha nel piatto. Non è un’operazione facile. Mangiare è una delle attività più importanti e ineludibili per l’umanità, ma si è perso la consapevolezza di quello che si mangia. Eppure, dietro a ciascun piatto ci sta un paesaggio: quello giallo del grano, quello verde dell’olivo, un pascolo, una stalla, un frutteto, un orto o un allevamento da cortile.
Nell’immaginario dei nostri ragazzi forse c’è il mercato o il supermercato con le ceste di frutta ben sistemate e gli altri cibi pronti da cucinare, quasi sempre presentati in forme di packaging del tutto innaturali. Ma sarebbe più corretto immaginare la filiera, cioè il percorso che ha portato nel piatto quel prodotto: il seme, le forme di coltivazione e di trasformazione, il lavoro di chi lo ha prodotto, il contadino, la terra, la raccolta, il trasporto, la conservazione, la distribuzione etc.
Il cibo, quindi, evoca un paesaggio agrario o zootecnico, e questi con le loro suggestioni si possono connotare anche come paesaggi del cibo.
L’agricoltura è dunque lo strumento che consente di costruire paesaggio producendo cibo. “Una nobile arte senza la quale nessuno esisterebbe”, scriveva l’illuminista Giuseppe Maria Galanti verso la fine del ‘700 alludendo alla funzione principale dell’agricoltura, che è quella di nutrire il mondo, cioè tutta la popolazione.
Storicamente il campo, il pascolo e il bosco sono state entità diverse e complementari: iI bosco per la raccolta spontanea di frutti vegetali e animali; sullo spazio naturale gli agricoltori hanno, come artisti, disegnato il paesaggio.
È la campagna che ha generato la città. Quando l’uomo ha smesso di essere nomade e si è fermato per coltivare la terra, là sono nati i primi villaggi, i primi agglomerati, antenati delle città medievali e moderne. A un certo punto, almeno dal medioevo in poi, è stata la città che ha governato la campagna. Un dominio economico che è diventato anche dominio politico.
Qual è il rapporto tra città e campagna? Ogni centro urbano è circondato dalla sua campagna e questo modello organizzativo vale per tutta l’Italia e buona parte del mondo. È un tema storico, ma è anche un tema del presente, perché oggi questo rapporto è in crisi: in passato città e campagna erano abituate a dialogare tra di loro, a scambiarsi prodotti, energia, concimi, culture; le porte di ogni città diventavano le valvole che mettevano in comunicazione questi due mondi, l’urbano e il rurale.
Oggi la città moderna sembra illudersi di poter vivere facendo a meno della campagna circostante, mentre la campagna rischia di morire senza che la città di riferimento se ne accorga.
Questa è stata la storia del paesaggio più recente. Il cibo può e deve essere uno strumento per riconnettere questi due ambiti territoriali e per ridare voce al mondo rurale. In questo modo i prodotti alimentari, l’enogastronomia, diventeranno anche una fondamentale leva di sviluppo dei territori, in particolare tramite la promozione di un turismo esperienziale centrato sulla sostenibilità ambientale e sull’integrazione delle risorse territoriali.
Affinché ciò avvenga è necessario, prima di tutto, conoscere i prodotti del territorio e mettere nel piatto quelli, prioritariamente: bere e mangiare a filiera corta, quando è possibile, adottare un approccio local all’alimentazione, riunire il gusto del mangiare e del bere alla bellezza del paesaggio. Ne guadagnerebbe sicuramente il benessere, la freschezza, la salute e l’ambiente, ma anche l’economia, perché riprenderebbero fiato, in questo modo, i sistemi locali di produzione e consumo, circuiti del valore in grado di creare occupazione, reddito per i produttori e qualità del territorio.
Nota bibliografica
W. Berry, Mangiare è un atto agricolo, Torino, Lindau, 2015
P. Bevilacqua, Felicità d’Italia. Paesaggio, arte, musica, cibo, Roma-Bari, Laterza 2017
Paesaggio nel piatto, a cura di G. Bonini e R. Pazzagli, Reggio Emilia, Istituto Alcide Cervi, 2016
R. Pazzagli, La «nobile arte». Agricoltura, produzione di cibo e di paesaggio nell’Italia
di Rossano Pazzagli (da nautilusrivista.it)