Cibo: punto di rottura
Le mani sono la sintesi della preparazione, esprimono la tecnica, la misura, la forza, il calore della Cucina tradizionale
di Silvia Santorelli – fb
3 febbraio 2022
Sempre più, negli ultimi anni i social network hanno favorito in modo positivo la condivisione dell’esperienza del gusto, quella provata fuori casa, quella prodotta con le proprie mani, quella ereditata dalla tradizione di nonne e mamme. Tutte queste esperienze sono precedute dall’immancabile scatto, sempre più vanitoso (spesso una rottura per gli altri commensali ma anche per i camerieri), che ne ferma la memoria e fa venire l’acquolina virtuale.
Due anni fa, poi, la reclusione forzata a causa del C19 ha favorito l’esaltazione dell’impossibile: il lievito di birra e la farina, prodotti insignificanti per molti, sono stati tramutati in beni irraggiungibili nei quali la popolazione italiana si è rifugiata per sentirsi al sicuro.
Già, perché il cibo è proprio così, una tana e, quando si sperimenta quello della tradizione, il piatto rappresenta il salvadanaio del cuore che richiama a sé ricordi e affetti.
Sperimentare il cibo della tradizione è provare a fare esercizio con cibi che in passato rappresentavano il piatto unico dell’intera settimana che oggi, invece, sono il piatto speciale della domenica o di una ricorrenza e, nel caso della pandemia, il piatto-conforto-gua’ che so fa!.
La Tradizione esprime il significato di consegnare, trasmettere e, nell’evoluzione etimologica, tradire. La tradizione infatti è il passato che si fa presente e proprio in questo essa esprime la consegna che si adatta al tempo (e quindi tradisce) senza colpa e senza rimpianto, attuando rinnovamento o divenendo punto di rottura.Ma come accade la rottura? Gusto, Approvvigionamento, Manualità, Casualità innescano la consegna adattata al tempo che in parte si rompe, in parte continua.
Gusto: ricordo con incredibile affetto ed esilarante divertimento la pranzo di nonna Annunziata a base di Testina di Agnello. Gli adulti mangiavano e condividevano tra loro la Coccetta e parti di essa come nel mercante in fiera: chi distribuiva occhi, chi lingua, chi cervello. Noi ragazzi eravamo lì a mangiare la nostra salsiccia con le patate senza colpa e senza rimorso poiché, benché provata e proposta, quel gusto non era nostro.
Del resto, ci rimproveriamo di aver abbandonato la salsa liquida puzzolenta di interiora di pesce per salare i piatti o siamo disperati poiché abbiamo perso la pratica di mangiare le pietanze in agrodolce, anzi tanto dolce e molto sciapo, come nel Medioevo? No, la rottura è avvenuta e il tempo ci ha consegnato prodotti che continueremo ad adattare al nostro gusto, senza rancore.
Approvvigionamento: abbiamo fatto estinguere specie vegetali e animali, non mangiamo più il ghiro (anche perché sai che rottura scovarli) così come non mangiamo più il pecorino strastagionato che a stento si rompe, ma ricerchiamo il pecorino di razza, stagionato in grotta o con fresche frasche, del contadino fidato, quello che se avanza una fetta si assapora con le marmellate o con il miele durante l’antipasto o l’aperitivo (che non esistono nella tradizione, eppure!). Non mangiamo più per giorni la stessa minestra ma variamo la nostra alimentazione con una vasta scelta di soluzioni e prodotti. Vallo a dire allo zio di Michele Fratino che non ne voleva sapere più di mangiare la pizza di granone perché lui si era stufato, anzi rotto, e voleva i maccheroni, quelli comprati. Come dargli torto visto che la pasta non solo è tradizione ma simbolo della buona cucina italiana. In sintesi l’uso o non uso di prodotti si racchiude in questa frase “la salsiccia nelle pallotte la mette chi la ha” così diceva mia nonna Maria, classe 1910, che in casa aveva scorte di salsiccia stagionata e si vantava che nella sua ricetta c’era più sapore.
Manualità: quanto è difficile passare le ricette! tutti sono gelosi delle proprie ricette come se la ricetta fosse l’unica soluzione alla realizzazione del piatto. Gli strumenti più o meno di moda, dalla cucchiarella di legno alla planetaria guidata da Alexa, sono gli accessori; ma le mani sono la sintesi della preparazione, esprimono la tecnica, la misura, la forza, il calore. Ogni ricetta è diversa perché ogni mano rompe lo schema precedente, anche nella stessa casa. Ed ecco allora che ognuno si è specializzato in una ricetta e nei momenti di festa, quando arriva il turno del proprio piatto trova la soddisfazione più grande.
Casualità: similmente agli imprevisti del monopoli, la casualità è una vera rottura. Oggi mamma per esempio ha sbagliato a comprare la salsiccia: il caso ha voluto non la classica salsiccia secca ma quella aromatizzata al tartufo (che tradimento!). Una volta a casa si è accorta dell’errore e siccome non poteva più uscire ha usato un sapore nuovo (e buono, infatti abbiamo bissato onorando la tradizione). Non si può definire il momento e il modo in cui accade il caso, ma una volta successo non si torna in dietro. E’ così forte la casualità che alcuni la legano alla nascita delle tradizioni alimentari. A San Michele Arcangelo si narra che le clarisse erano intente a preparare le ostie destinate alla consacrazione, involontariamente un’ostia è caduta sul miele e sulle vicine mandorle: così sono nate le ostie ripiene, cibo sacro legato al gagliardo arcangelo!
Altro che rottura! Una vera bontà che non si è fermata alla Puglia ma che ha camminato, tra altre rotture, fino a raggiungere le montagne del Molise. Capocefalo tu che dici? la versione delle ostie ripiene con i popcorn di Zio Mn’cuccio Del Castello tradiscono il passato o sono la sintesi perfetta e gustosa di tutto questo papiello?
(Foto: La forma ovale delle Pallotte è quella preferita dalla mia bisnonna Carmela, ovali e grandi che ovviamente non si rompono durante la cottura nel brodo e nel sugo)
di Silvia Santorelli – fb